I bonus casa vanno bene, ma non per una messo in sicurezza contro i terremoti. Lo sostiene Unicmi, l’Unione nazionale delle industrie delle costruzioni metalliche, dell’involucro e dei serramenti e Isi, Ingegneria sismica italiana. Il bonus del 65% inserito nella legge di Stabilità riguarda gli intervenenti di messa in sicurezza sismica degli edifici. Le due associazioni, però, hanno inviato una lettera al ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Maurizio Lupi, e ai presidenti delle commissioni Ambiente e territorio di Senato e Camera Giuseppe Francesco Maria Marinello (Pdl) e Ermete Realacci (Pd), denunciando come l’attuale provvedimento inserito nella Legge di Stabilità rischi di rimanere solo un segnale di attenzione alla messa in sicurezza sismica, non supportato però da una reale operatività.
Secondo Unicmi e Isi, la scadenza temporale al 31 dicembre 2015 è troppo ravvicinata: un intervento di messa in sicurezza sismica precede un iter complesso sia in termini di consenso (basti pensare agli interventi nei condomini), sia da un punto di vista operativo (analisi dello stato dell’edificio che spesso comprendono prove, progettazione dell’intervento, preventivazione e realizzazione, sono punti di un percorso lungo e articolato). Inoltre, un arco di tempo così limitato, probabilmente non è utile neppure a far conoscere il provvedimento sul territorio, vanificando così gli eventuali sforzi delle imprese coinvolte. Non va neppure la limitazione alle zone sismiche 1 e 2: la misura riguarda le opere che ricadono in aree ad alta pericolosità sismica, mentre la commissione Ambiente, per prevenire la triste consuetudine in cui, solo dopo un evento sismico un dato territorio sia inserito in zone a rischio sismico, aveva chiesto di estendere il bonus anche ai Comuni a rischio sismico basso. Infine, la copertura finanziaria limitata a 101,7 milioni di euro. Poco, confronto a più 180 miliardi di euro (stima Ance-Cresme) le risorse stanziate dallo Stato per riparare i danni dei terremoti in Italia dal 1944 al 2012, pari a un costo medio annuo di 2,6 miliardi di euro. Unicmi e Isi auspicano quindi una modifica del provvedimento già nel corso della lettura al Senato.