La notizia è ghiotta: ci sarebbe allo studio un piano per trasformare in social housing gli immobili invenduti. Con l’aiuto delle casse pubbliche o, meglio, della Cdp. L’idea, che comincia a circolare negli ambienti romani, è dall’Ance, che l’avrebbe proposta al governo. Sul dossier stanno lavorando le banche, cioè l’Abi, la Cdp, l’Anci e l’Alleanza delle cooperative. Il piano sarebbe una boccata d’ossigeno non solo per i costruttori, am anche per le banche, che riuscirebbero a smaltire i cosiddetti «non-performing loans immobiliari», cioè immobili rimasti invenduti e messi a bilancio con prezzi che non sono più competitivi: una mssa che è stimata inc irca 40-50 miliardi e pesa sui conti, soprattutto in rapporto con la stretta sui crediti in atto dopo il passaggio della sorveglianza da Bankitalia alla Bce.
Trovare la quadra non sarà facile, perché si tratta di coniugare la finanza con la grigia realtà di immobili spesso costruiti senza grande appeal negli anni in cui si vendeva tutto, e ora con caratteristiche che sono poco digeribili per un mercato asfittico. La proposta, però, comprenderebbe non solo l’invenduto, ma anche i progetti che sono rimasti congelati a causa della grande crisi economica, e questo darebbe fiato al settore dell’edilizia, da anni in caduta libera. L’operazione potrebbe essere interessante anche per le banche, che vedono immobilizzati asset in pegno o ricevuti in eredità da fallimenti e liquidazioni di aziende che hanno chiuso i battenti. Il progetto riguarderebbe, come riporta il Ghirlandaio, nella «riconversione per finalità di social housing di investimenti immobiliari, finanziati dalle banche, che nel nuovo contesto di mercato hanno difficoltà a essere portati a termine secondo quanto originariamente programmato». Ma che ruolo ricoprirebbe la Cdp? Secondo l’Ance dovrebbe attivare il Fondo investimenti per l’abitare per acquisire immobili a garanzia di crediti bancari, oggetto di procedure esecutive, a un prezzo compatibile con le finalità di edilizia sociale. Il progetto, sempre secondo le indiscrezioni, vedrebbe la creazione di un fondo per ogni banca che partecipa all’iniziativa, con la Cdp chiamata a individuare e valutare gli asset da valorizzare. A questo punto la Cassa depositi e prestiti dovrebbe avanzare un’offerta all’istituto di credito e al costruttore, o alla curatela in caso di procedure giudiziarie. Gli immobili, insomma, passerebbero in sostanza in area pubblica (cioè al fondo controllato da Cdp), mentre a banche e imprese edili resterebbe un chip del 15-20%.
Certo, si porrà poi il problema della scelta. Tutti gli immobili, di qualsiasi tipologia saranno soggetti? E chi, per la Cdp, si incaricherà di vendere quello che costruttori e banche non sono riusciti a piazzare sul mercato?
Gli interrogativi sono molti e fanno sorgere il dubbio che il piano si risolva più in un salvataggio pubblico delle imprese (al di là del giudizio che ognuno può riservare all’operazione), più che in un’operazione di social housing. Certo, smaltire gli immobili invenduti o rimasti a metà dell’opera non può che fare bene a un settore ridotto ai minimi, ma senza incentivare le imprese a non considerare la qualità degli edifici. Che è la vera sfida per i prossimi anni.