Qualcuno, come Andrea Boitani, docente di Macroeconomia ed Economia Monetaria all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lo ha definito uno zombie. In realtà il Ponte sullo Stretto di Messina è un incubo ricorrente. Dopo essere tornato nel mondo di Morfeo per un paio di anni, infatti, è tornato alla ribalta grazie a una mozione parlamentare del Nuovo Centro Destra (peraltro votata anche da alcuni deputati del Pd). Con una variante rispetto al passato: il nuovo Ponte questa volta dovrebbe essere solo ferroviario. Cioè, se prima il project financing, peraltro già onirico, prevedeva un ammortamento dell’opera grazie ai pedaggi pagati dagli automobilisti, la nuova proposta dovrebbe sorreggersi finanziariamente solo sul costo del ticket aggiuntivo di chi prende il treno, ovviamente esteso a chi invece di optare per mezz’ora di traghetto facesse trasportare l’auto via rotaia, giusto per risparmiare una manciata di minuti. Saggiamente, il ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio ha preso tempo e ha fatto presente che il Ponte-zombie non è tra le priorità del governo, aggiungendo democristianamente che si riserva di valutare i costi e i benefici una volta che un businessplan fosse messo nero su bianco. In ogni caso, un nuovo progetto sarebbe una beffa, dato che impegnerebbe il governo a stanziare una montagna di denaro, mentre l’esecutivo fatica a trovare i fondi per stabilizzare gli eco bonus sulla casa. Senza conta re che, inoltre, sul vecchio progetto pendono le richieste di risarcimento da parte del consorzio Eurolink (Salini-Impregilo, la spagnola Sacyr, Condotte d’Acqua, Cmc di Ravenna, la giapponese Ishikawajima-Harima Heavy Industries e Aci scpa), che chiesto alla concessionaria pubblica del Ponte, controllata all’80% dall’Anas, 700 milioni di euro di risarcimento danni per la cancellazione del contratto siglato da uno dei governi Berlusconi. Tutti soldi gettati al vento e a carico dei contribuenti. Ma evidentemente non è bastato.