Sicurezza antincendio, Massimo Lommano: «Le regole ci sono, scarseggia la buona esecuzione nella posa dei materiali»

«La sicurezza antincendio è un settore diventato di nicchia, molto specialistico», spiega a YouTrade Massimo Lommano, che si occupa di sicurezza antincendio dal 1994, da quando sviluppò la tesi di laurea sul tema dell’esodo di emergenza per i sistemi antincendio nei servizi ospedalieri.

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Da lì Lommano ha iniziato l’attività professionale, per poi diventare docente in diversi corsi universitari, fino a entrare nel 2014 nella Commissione Sicurezza Antincendio dell’Ordine degli Ingegneri di Milano, di cui fa parte anche oggi, oltre a essere titolare di uno studio di ingegneria. «I lavori ormai si fanno in team, e ognuno deve fare il suo, nella propria specializzazione, puntando al massimo del risultato», aggiunge.

Domanda. Come è arrivato a occuparsi di antincendio?
Risposta. Quando ho incominciato a lavorare in proprio, da subito ho collaborato con l’ingegnere Franco Luraschi, e dal 2000 con Msc associati, lo studio del professor Migliacci che ha sempre sviluppato progetti di grandi opere e grandi strutture, alberghi, centri commerciali, sale multifunzionali. Poi, nel tempo sono diventato consulente per i property management delle grandi aziende internazionali, come Cushman & Wakefield, Cbre, Bnp Paribas, Coima. La mia attività, quindi, si è sempre più indirizzata sul tema della prevenzione incendi di palazzi uffici.

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Collaudo di impianti di protezione attiva nello stabilimento industriale Arkema a Rho Milano

D. La progettazione antincendio in Italia è in linea con quella degli altri Paesi?
R. Dal 2015 è in vigore il Codice di prevenzione incendi, revisionato poi nel 18 ottobre del 2019. Prima comunemente chiamato Testo Unico, il nuovo Codice di prevenzione è un testo che riassume al suo interno gran parte dei riferimenti degli standard internazionali, come British standard e Nfpa, utilizzati attraverso una lettura calata nella realtà delle attività italiane. Mentre prima del 2019 l’adozione del Codice era volontaria, adesso è diventata sostanzialmente cogente per tutte quelle attività che prima non erano normate. Per le attività classiche come alberghi e uffici, invece, esiste un doppio binario: può valere la precedente Regola tecnica verticale (che per gli uffici, per esempio, risale al 2006) oppure si può applicare la Rtv legata al Codice (Regola tecnica verticale, acronimo frutto della terminologia del Codice).

D. Che cosa comporta?
R. In sostanza, gli uffici si possono progettare sia con la vecchia regola sia con la nuova, che racchiude riferimenti presi a larghe mani dagli standard internazionali, soprattutto dalla Bs 9999. Questi standard, per esempio, hanno chiarito che il vecchio calcolo delle vie di esodo, compiuto con il metodo capacitativo, risulta un approccio che non è più considerato buona tecnica a livello internazionale. Anche in Italia è stato adottato un nuovo metodo di calcolo, con riferimento ai British standard, che è molto più aderente alla realtà dell’esodo delle persone. Le nuove regole non sono più stringenti, ma più dettagliate: per il momento sono relative a uffici, centri commerciali, alberghi, autorimesse e scuole.

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Analisi dei fumi per il Museo di Santa Maria della Scala a Siena

 

Analisi delle temperature e della visibilità per lo stesso edificio

D. I professionisti italiani sono sufficientemente preparati sull’argomento?
R. Da quando è utilizzato il nuovo Codice di prevenzione incendi, i professionisti italiani si dividono in due gruppi: una gran parte che si occupa di attività di basso rischio, ovvero quelle che il Dpr 151/2011 ha identificato come di categoria A (per cui non è nemmeno previsto l’esame progetto da parte dei Vigili del Fuoco, ma si va direttamente in Scia, con la segnalazione certificata di inizio attività). Gli altri professionisti, più specializzati, si orientano sulle attività di complessità maggiore, di categoria B e C. E devo dire che sono sufficientemente preparati, anche perché esiste un’obbligatorietà dei corsi di aggiornamento per mantenere l’iscrizione all’Elenco speciale del Ministero degli Interni per i professionisti e i tecnici antincendio. Questa scrematura, durata un quinquennio, ha fatto sì che la presenza dei professionisti oggi sia sicuramente molto qualificata. Stiamo parlando di un settore diventato di nicchia, molto specialistico: è difficile che il singolo professionista o uno studio piccolo abbiano la competenza per possedere tutte le caratteristiche che richiede oggi la normativa. I lavori ormai si fanno in team, e ognuno il suo, nella propria specializzazione, puntando al massimo del risultato.

D. Parliamo di protezione passiva antincendio. Che cosa prevedono le normative nazionali?
R. La protezione passiva riguarda le caratteristiche di resistenza al fuoco delle strutture e il comportamento al fuoco delle strutture. Sia le normative di vecchio ordinamento sia il nuovo codice prevedono delle caratteristiche prestazionali, ovvero delle indicazioni molto rigorose riferite a standard europei. Ormai si parla di Euroclassi, quindi di reazione al fuoco certificata con i metodi delle Uni En o degli Eurocodici. In ogni caso, con riferimenti normativi riconosciuti a livello europeo. Per la protezione passiva, poi, esistono diversi metodi di valutazione delle caratteristiche prestazionali. Per i professionisti della categoria A, a basso rischio, un metodo è quello di individuare la resistenza al fuoco attraverso delle tabelle, in modo da certificare strutture senza grossi problemi di ottimizzazione delle caratteristiche e, quindi, con un grande margine di sicurezza. Altri metodi, invece, sono di natura o sperimentale o analitica: nelle attività di categoria C si fa ricorso quasi sempre a valutazioni di tipo sperimentale, se parliamo di nuove costruzioni. Per attività non prefabbricate si parla di operazioni analitiche, dove i riferimenti sono appunto gli Eurocodici. L’importanza della produzione passiva nella strategia antincendio è un tassello all’interno di quella che è la strategia globale della prevenzione incendi: una materia molto interdisciplinare dentro a cui esistono tanti elementi che concorrono alla formazione della sicurezza.

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Padiglione Uruguay di Expo 2015

D. Qual è la caratteristica più importante all’interno della strategia globale di prevenzione incendi?
R. Una caratteristica a livello strategico molto importante è quella di reazione al fuoco, assieme alla caratteristica di produzione dei fumi dei materiali e, quindi, la capacità di auto estinguersi, ovvero di avere un buon comportamento nei confronti del ritardo di propagazione dell’incendio e dei fumi. Oggi, anche grazie al Codice di prevenzione incendi, l’approccio nella valutazione della strategia è sempre più condotto con riferimento al Fire safety engineering, cioè a quelle metodologie di calcolo e valutazioni analitiche che permettono di trovare delle soluzioni alternative rispetto a quelle di base del Codice.

D. E questa è una cosa positiva?
R. Sì, è la grande novità del Codice, che non è più una norma stringente ma una norma che permette la valutazione da parte del tecnico antincendio di una gamma di soluzioni alternative. Ovviamente queste hanno un maggior onere di progettazione: devono essere fatti dei modelli e bisogna valutarli anche con sistemi avanzati di calcolo, come i Cfd ovvero modellazioni fluido-dinamiche, che possono valutare quali sono gli effetti reali di una propagazione di incendio almeno nelle sue prime fasi, ovvero quelle determinanti per la sicurezza degli occupanti. Quindi, una delle caratteristiche fondamentali di questo approccio della Fire safety engineering è quello di andare a valutare il tempo disponibile per l’evacuazione e confrontarlo con il tempo reale richiesto dall’evacuazione. Per esempio, in un grande capannone con altezze interne rilevanti, di 10 metri, la stratificazione dei fumi avverrà con un ritardo rispetto ai grandi volumi d’ambiente, per cui è possibile calcolare il tempo di esodo delle persone in relazione al tempo di rilevazione dell’incendio. Insomma, il primo punto da prendere in considerazione è sicuramente la salvaguardia delle persone, e qui la strategia porta all’individuazione di materiali che possono avere un ottimo comportamento nella produzione dei fumi e gas tossici, e con una reazione al fuoco limitata: tutte queste indicazioni portano alla riduzione dei tempi di evacuazione.

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Campus Cameo a Desenzano del Garda Brescia

D. Quando si parla di incendi, qual è il punto più critico della struttura e quali sono le soluzioni per mettere in sicurezza l’edificio?
R. I punti più delicati sono i transiti delle compartimentazioni. E questo perché il compartimento ha la funzione di selezionare il rischio ed evitare che diventi fuori controllo e generalizzato. La compartimentazione deve essere a tenuta sia di fumi caldi sia di fumi freddi: per esempio, sono nate le guarnizioni di tipo Sa di tenuta ai fumi freddi per le porte tagliafuoco. Tuttavia, nell’applicazione pratica bisogna stare molto attenti: se da una parte la produzione tecnologica è molto avanzata e molto attenta, dall’altra non bisogna fare l’errore di vanificare gli sforzi fatti dai produttori. Infatti, le piccole-medie imprese italiane vivono da sempre il problema della frammentazione e, quindi, non hanno al loro interno servizi tecnici di posa in opera. In questa catena di attività si rischia che l’ultimo soggetto non abbia le competenze per un’esecuzione a regola d’arte di questo tipo di sigillature, come bende, collari, sacchetti termo-espandenti, guarnizioni o serrande tagliafuoco.

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Progetto Garibaldi 123 a Milano

D. Come ovviare?
R. Sono fondamentali i tecnici antincendio, ovvero coloro che compilano il modulo Dich Prod, necessario per la produzione della Scia autorizzativa delle attività. In modo da controllare la conformità tra rapporto di prova e classificazione dell’elemento, anche verificando la Declaration of performance dei prodotti marcati Ce e le condizioni di impiego. Per esempio, un quadrotto di un pavimento galleggiante ha a livello di prefabbricazione la caratteristica corrispondente alla classe 1 di reazione al fuoco, ma leggendo il rapporto di prova e classificazione si scopre che questa condizione è stata testata su un supporto incombustibile, quindi al di sopra di quel quadrotto non potrà essere applicata una moquette, perché in quel caso le condizioni di test non sono garantite.

D. La qualità dell’installazione è uno dei problemi dell’edilizia italiana. Quale potrebbe essere la soluzione?
R. La filiera è costruita bene, ma esistono delle problematiche a livello di installazione. Soprattutto, la fatica la facciamo noi tecnici antincendio per seguire la produzione di documenti da parte di imprese che non sono attrezzate per produrre la documentazione certificativa corretta. La parte critica non è tanto la tecnologia, ma la buona esecuzione, e soprattutto la difficoltà di dover inseguire questa buona esecuzione alla fine dell’opera, quando tutti hanno fretta di chiudere per presentare la Scia, altrimenti non viene approvata la richiesta di agibilità. Di conseguenza non si può consegnare l’immobile e scattano le penali. Questa corsa finale nel processo edilizio fa male alla buona esecuzione.

D. E quindi?
R. Non credo esista una soluzione preconfezionata, ma il primo passo dovrebbe essere quello di riconoscere una funzione articolata già nelle fasi di progettazione e di direzione lavori della figura del tecnico antincendio, che poi sarà quello che emetterà i documenti certificativi finali. Molte delle commesse che seguiamo con molti studi di progettazione ci «prendono a bordo» fin dalla fase di progetto, e nella fase di cantiere li assistiamo nella scelta del prodotto giusto al posto giusto, partecipando alle riunioni di cantiere e verificando in itinere che l’installazione degli elementi sia corretta. Alla fine riusciamo a fornire il documento finale del modello Dich Prod con la consapevolezza che quello che firmiamo sia corretto. Tutto questo non è ufficializzato a livello normativo, ma è
una best practice di alcune aziende e alcuni professionisti del settore. Nemmeno nelle opere pubbliche è riconosciuta la figura dell’assistenza antincendio alla direzione lavori. Secondo me, il primo passaggio dovrebbe essere questo: assicurare l’assistenza di un tecnico antincendio in tutto il processo, in modo che possa entrare nel team di progetto fin da subito.

D. Parliamo di cappotto termico. Quando è sicuro e quando non lo è?
R. In Italia esiste una lettera circolare volontaria, che è una linea guida del ministero degli Interni per la sicurezza antincendio delle facciate degli edifici. Si applica sopra i 12 metri di altezza e indica criteri di delimitazione tra l’interno e l’esterno. In sostanza: una linea
guida che si prefigge come scopo di limitare il rischio del propagarsi di un incendio da un cappotto esterno all’interno dell’edificio. Quello che abbiamo visto succedere alla Grenfell Tower a Londra difficilmente potrebbe capitare da noi, non solo per le dimensioni degli edifici con cappotto, ma anche perché negli edifici progettati con il Codice la linea guida è richiamata per intero, e in pratica viene resa cogente. I prodotti che compongono il cappotto, poi, possono essere combustibili o no, la differenza è tutta qui: esistono prodotti come il gas beton o le fibre minerali che sono incombustibili. È chiaro che la maggiore efficienza energetica di un edificio è conferita da materiali come il poliuretano o il polistirene, che sono anche infiammabili, qualora non vengano usati degli additivi per la riduzione della propagazione del fuoco. Il rischio zero non esiste e il Codice di prevenzione incendio lo dice chiaramente nelle sue premesse. La buona pratica consiste nell’analisi del rischio corrente, teso a mitigare il rischio per renderlo accettabile.

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Hotel VIU a Milano

D. È possibile far convivere tecnologie antincendio con i principi di sostenibilità edilizia?
R. Perché no? Ci sono tantissimi edifici per uffici che stiamo seguendo marcati Leed. Tutte le attività antincendio vengono valutate con un loro peso e vengono inserite all’interno dei principi di sostenibilità edilizia e della salvaguardia dell’ambiente. Gli accorgimenti possono essere tanti, come l’impiego dell’acqua piovana per il reintegro delle riserve idriche per l’antincendio. E come questo esistono tanti casi di attenzione verso la sostenibilità edilizia. Sul tema della caratteristica di reazione al fuoco, produrre meno fumo in caso di incendio è sicuramente un bene per l’ambiente, e quindi bisogna tenere conto dei costi/benefici di una scelta di un prodotto anche in relazione a questo.

 

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