Secondo un’analisi di Ref Ricerche, società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali, condotta da Donato Berardi, Francesca Casarico, Michele Tallarigo e Samir Traini, il settore idrico italiano ha urgente bisogno di una nuova governance, oltre che di interventi strutturali.
Secondo i ricercatori, infatti, Il 38% dell’acqua prelevata – stando ai numeri forniti da Istat, non giunge all’utente finale, disperso tra la fonte e il “rubinetto”, lungo un percorso costituito da infrastrutture di rete vetuste, non manutenute e dunque poco efficienti. La dispersione è, tuttavia, solo il fenomeno più evidente e tangibile – specie in quei territori dove il razionamento è una spiacevole costante – cui si aggiungono oltre 1.000 agglomerati urbani che non hanno fognature e depuratori adeguati, con procedure di infrazione e sanzioni da parte dell’Unione Europea.
È la fotografia di un sistema che deve ancora compiere molta strada prima di raggiungere un grado accettabile di efficienza e modernità. Soprattutto in termini di omogeneità, il che significa che nel nostro Paese vi sono situazioni molto diverse – per grado di avanzamento o arretratezza – non solo tra regione e regione, ma anche per zone all’interno delle stesse aree geografiche.
I tentativi vanno avanti da almeno due decenni (Legge Galli del 1994, decreto Sblocca Italia e regolazione affidata all’Authority) e tra alti e bassi qualcosa si muove, pur con lentezza.
Il risultato? Se l’individuazione degli ATO (ovvero la suddivisione del territorio regionale in ambiti ottimali di gestione) può dirsi compiuta da un punto di vista formale, i cosiddetti EGA (enti di governo d’ambito), ovvero gli organismi individuati dalle Regioni per gestire il servizio idrico a livello locale, non sono attivi in maniera uniforme e diffusa su tutto il territorio italiano. Secondo quanto rilevato da ARERA, ad oggi risultano operativi 58 EGA su 62. Nella realtà il riassetto della governance del servizio idrico italiano è effettivo solo nel 67% dei casi.
In circa 940 Comuni italiani – cioè per 7,1 milioni di abitanti – l’integrazione gestionale del servizio idrico deve tuttora realizzarsi. Ancora oggi, vi sono poi quasi 1.780 i Comuni italiani che gestiscono in proprio (o come si dice “in economia”) il servizio di acquedotto, fognatura e/o depurazione. In alcune aree del Paese la gestione unica d’ambito non è ancora realtà. Una frammentazione che – com’è facile immaginare – non favorisce né la comprensione più ampia dei bisogni del territorio (oltre i confini del Comune interessato) né gli investimenti in infrastrutture, troppo onerosi per realtà comunali talvolta piccole o piccolissime.
Tuttavia, ridurre il numero dei soggetti (enti pubblici e simili) che gestiscono un bene così importante come l’acqua si è dimostrata un’operazione tutt’altro che semplice: inadempienze, inosservanza della legge e le già citate resistenze degli Enti locali hanno condotto a contenziosi e stallo amministrativo, con la conseguenza di ritardare il tempo della gestione unica. E, in ultima analisi, con ricadute negative sul servizio e, quindi, su di noi utenti che ne beneficiamo.
Il fatto che i maggiori ritardi nell’entrata in funzione di organismi di pianificazione e organizzazione del servizio quali gli EGA sia concentrata essenzialmente al Sud e nelle Isole ha contribuito a creare un water service divide, ossia un divario tra le diverse aree del nostro Paese.
Quindi, completare la governance e il riassetto del settore è la chiave per:
• superare la galassia di piccoli e grandi enti locali, spesso resistenti al cambiamento, consolidando il settore
• realizzare politiche di intervento e investimento di più ampio respiro e a lungo termine per lo sviluppo dei territori
• avere gestori con capacità gestionali e di carattere industriale coerenti con le sfide dei prossimi lustri
• coniugare la tensione all’efficienza con la realizzazione delle opere e migliorare la qualità del servizio
Di progressi ne sono stati comunque fatti. Al Sud Italia, nelle regioni rimaste indietro nel riassetto della governance e che vivono situazioni di forte criticità e arretratezza qualcosa si muove.
Il superamento delle criticità storicamente persistenti in alcune aree del Paese potrebbe beneficiare di forme di intervento pubblico rafforzato, l’institutional building.
Le resistenze ci sono ancora, ma occorre perseverare. Perché una governance chiara e coerente è fondamentale se si vuole ben amministrare il settore idrico e conservare una risorsa che – stando anche ai cambiamenti ambientali in atto – sarà sempre più preziosa.