Le ricette per risollevare l’economia e, in particolare, il settore delle costruzioni sono tante. C’è però un elemento che non è sostituibile: la fiducia. È il mattone dei mattoni, la base su cui si può investire sul futuro. E, tra le tante storture che affliggono l’Italia, ce n’è proprio una che incrina ancora di più la fiducia della gente, in particolare di oltre 400mila italiani che hanno creduto nel mattone. È la storia degli investitori che tra la fine degli anni Novanta e fino al 2006 hanno puntato sul settore immobiliare e hanno sottoscritto, agli sportelli delle banche e negli uffici postali, quote di speciali fondi che investono in case e uffici. Si tratta di apposite società quotate a Piazza Affari. Diciamo la verità: era il momento dell’euforia e tutti si sentivano immobiliaristi: così, chi non poteva acquistare appartamenti da rivendere, guadagnandoci, si limitava ad acquistare quote di questi fondi. Ma chi ci ha creduto ora è nei guai. La maggior parte di questi 23 fondi quotati, che hanno in carico circa 5 miliardi di euro in immobili, è in scadenza. Proprio come un surgelato, i fondi devono essere spacchettati e mangiati in fretta. In sostanza, cioè, devono sciogliersi, mettere sul mercato gli immobili, venderli, e distribuire il ricavato ai possessori delle quote in modo proporzionale. Le regole, insomma, impongono di liberarsi di tutto il patrimonio tra il 2013 e il 2015, cioè proprio ora che tutti vendono e nessuno compra, nel periodo peggiore della crisi economica. Risultato: chi ha investito nel mattone si prenderà una batosta, perdendo gran parte di quanto investito e, di conseguenza, anche la fiducia in questa tipologia di investimento. Non solo: se consideriamo la massa di invenduto sulle spalle di molte imprese di costruzioni è facile comprendere quale danno provocherebbe una brusca discesa dei prezzi determinata da una pioggia di vendite obbligatorie per legge.
Certo, mettere i propri soldi nel mattone non è garanzia assoluta di guadagno privo di rischi. Ma qui è evidente che il problema non è accettare la perdita, quanto farsi carico di una regola che andrebbe modificata. Basterebbe, infatti, prorogare di qualche anno la «data di scadenza» dei fondi per evitare che sul mercato si riversi un diluvio immobiliare. Per la verità, una proroga di qualche anno (tre) alcuni fondi l’anno già ottenuta, ma per allungare ancora i termini ci vuole un provvedimento del ministero dell’Economia nel pieno dei poteri. Che farebbe bene a muoversi, prima che il mercato tocchi il fondo, quello vero.