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La rivendita edile nell’era dell’intelligenza artificiale

Rivendita edile
L'intelligenza artificiale entra in rivendita

Mantenere una certa coerenza nella rivendita edile in un mondo che cambia comincia a essere un lavoro complicato. Dopo decenni di faticosa crescita, anche per distinguersi, la tentazione di lasciarsi affascinare dal nuovo finto appare sempre più forte. Ma certi valori della rivendita edile non dovrebbero essere messi sul mercato dell’innaturale.

Forse sarete d’accordo con me che i valori veri di una rivendita edile, per intenderci quelli da preservare e cercare di migliorare, sono la sua storicità (quindi la sua oggettiva diversità), la sua competenza (quindi il suo contributo di esperienza), la sua crescita intellettuale (quindi la sua capacità di selezionare e offrire innovazione), la sua empatia (quindi l’abilità di relazionarsi con il cliente).

Si tratta di concetti che dovrebbero essere ormai assodati, non se ne dovrebbe più nemmeno parlare, ma il mondo sta cambiando e l’invasione dell’intelligenza artificiale, con la sua promessa neanche tanto velata di appiattimento cerebrale che porta con sé, potrebbe affascinare i più pigri: perché perdere tempo a pensare se c’è qualcuno che può farlo per te? Magari anche meglio, sicuramente più velocemente?

Ecco allora che i valori qui sopra elencati, ancora autentici e veri, cominciano ad assumere oggi una valenza rivoluzionaria.

L’identità della distribuzione edile all’interno della filiera delle costruzioni è sempre stata messa a dura prova.

Per decenni considerati un inutile passaggio in più, giusto buono per far lievitare i costi dei prodotti, gli imprenditori della distribuzione edile si sono dovuti reinventare come fornitori di servizi, per aggiungere valore al semplice prodotto e anche per avere una identità più marcata e distinguibile, per dare un significato apprezzabile alla loro presenza nel mercato.

Costruzione della competenza, crescita tecnica, miglioramento della relazione con il cliente (meglio: i clienti, non ce n’è più solo un tipo) sono costati per molti sangue sudore e lacrime, soprattutto quando si doveva decidere se provare a crescere oppure no, se investire o aspettare tempi migliori che magari non sarebbero nemmeno mai arrivati.

Tutto questo lavoro non è certo andato sprecato. Seppur fra tante difficoltà, oggi un punto vendita di materiali edili organizzato, che sa quel che vende e che sa anche consigliare in modo pertinente, da passaggio in più è diventato un passaggio necessario. Non solo per i suoi clienti, ma anche per i fornitori.

Quindi, dopo questa bella rivincita morale la questione dell’identità e dell’adeguatezza di un’azienda all’interno della succitata filiera delle costruzioni potrebbe essere rivolta ad artigiani, imprese edili e in parte anche al mondo della produzione. Questi interlocutori sono certi di essere cresciuti in modo altrettanto convincente?

Ovviamente non si può generalizzare, le eccellenze esistono in tutti i comparti produttivi, ma è indubbio che il successo della distribuzione edile nazionale sia anche dovuto al fatto che esistono artigiani, imprese e anche parte della produzione che, almeno per il momento, non hanno saputo fare passi avanti, rimanendo ancorati a principi commerciali inadeguati al nuovo mercato.

Allo stesso modo, non tutta la distribuzione edile è oggi in grado di competere con armi che non siano il prezzo, sempre che il prezzo possa essere considerato un valore coerente per competere, ed è un discorso che riguarda anche la produzione.

Se la filiera delle costruzioni ha bisogno di una identità marcata per essere credibile e affidabile, la crescita dovrebbe riguardare tutti i suoi protagonisti, chi più chi meno, ma tutti. Inutile dire che così non è, da sempre.

Per questo è forse il caso di sottolineare che i valori espressi all’inizio di queste note hanno di bello che non sono punti di arrivo ma eterni work in progress, ovvero peculiarità che hanno bisogno di un monitoraggio e di una attenzione seri e costanti.

E di bello hanno anche sono il risultato di impegno e sacrificio, la loro solidità arriva anche dalla moltitudine di errori e di ravvedimenti che si sono sviluppati negli anni. Insomma, una bellissima storia di umanità, con tutti i suoi fallimenti e i suoi successi.

Ma nel mondo che ci aspetta, quello che pensiamo di costruire e che invece stiamo più o meno coscientemente subendo, ci sarà ancora spazio per questi romantici valori? Servirà ancora, domani, avere una identità precisa e differente da altre, avrà ancora un senso cercare di distinguersi, di essere migliori?

Come ricordo sempre, il nostro è un mondo pragmatico, ma anche molto fragile. Le scorciatoie, per esempio delegare a un programma i pensieri, come sceglierli e come esprimerli, potrebbero diventare una povera e sgradevole alternativa all’identità così duramente conquistata.

di Roberto Anghinoni

Carenza alloggi: per le grandi città urge un Piano Casa. L’iniziativa di Milano

Affitti a milano

La carenza di alloggi e il costo degli affitti a Milano, ma anche nel resto d’Italia, è un’emergenza. Per risolverla c’è anche chi ha presentato un Piano Casa per realizzare 10 mila appartamenti. Basterà?

A novembre, ultimi dati disponibili secondo Immobiliare.it, il prezzo di un alloggio a Milano oscillava tra 3 mila e 11 mila euro al metro quadrato, con punte di oltre 20 mila per gli appartamenti nelle zone più esclusive.

E nell’analisi di Abitare Co. il prezzo di acquisto nel capoluogo lombardo supera in media i 4.700 euro al metro quadrato per l’usato (+42,4% sul 2019) e 7.690 euro per il nuovo (+48.1% sul 2019).

Sempre a novembre scorso, per l’affitto sono stati richiesti in media 22,47 euro al mese per metro quadrato, con un aumento dello 0,18% rispetto a dicembre 2023.

Quindi, in sostanza, sempre in media, affittare un appartamento di 100 metri quadrati costa 2.247 euro al mese. Ovvio che il calcolo comprende cifre molto più basse per un trilocale in periferia, rispetto al corrispettivo in zone come Brera o Magenta.

Ma si tratta pur sempre di affitti ampiamente al di sopra delle possibilità della maggioranza delle persone, dato che un monolocale si trova a non meno di 800 euro al mese.

Prezzi alti

La richiesta di case a prezzi compatibili con il reddito, che si tratti di acquisto (e, quindi, con un mutuo da accendere) oppure di locazione, non è peraltro una prerogativa di Milano, anche se nella città lombarda il problema raggiunge l’apice (come abbiamo scritto nell’inchiesta pubblicata sul numero dello scorso luglio-agosto di YouTrade).

Sotto la Madonnina, così come in altri centri italiani, come Roma e Firenze, una buona parte delle case sfitte sono in realtà adibite alle locazioni turistiche, con gli affitti brevi o brevissimi che sono una fonte di reddito per i proprietari, ma che tendono a trasformare le città in luna park per visitatori occasionali, mentre gli abitanti sono spinti sempre più spesso a traslocare a parecchi chilometri di distanza.

Dal 2006 al 2023 a Milano è stato consumato suolo per 302,67 ettari, eppure solo due anni fa più di 15.400 residenti milanesi si sono trasferiti in provincia (+9,7% sul 2019).

Insomma, per le grandi città urge un piano casa, per realizzare nuove abitazioni da mettere in vendita o in affitto a prezzi commisurati al reddito degli italiani, ma anche degli stranieri che vivono in pianta stabile in Italia: sono circa il 9% della popolazione.

Milano skyline
Milano skyline

Blocco dei cantieri

A Milano, per esempio, la richiesta di nuove abitazioni ha spinto una grande attività edilizia. Nuovi edifici sono sorti sulle macerie di vecchie costruzioni. Un’attività che ha spinto la magistratura a bloccare tutto (circa 12 miliardi di lavori) a causa della differente interpretazione della normativa che riguarda i permessi.

Per riassumere: il Comune di Milano ha dato il via libera alla ricostruzione secondo la prassi abituale, mai contestata, adottata secondo le regole della Regione Lombardia e in uso da una decina d’anni senza che nessuno avesse nulla da obiettare.

La magistratura, però, non ha considerato sufficiente questo punto di vista e ha messo i sigilli ai cantieri.

L’accusa è di aver permesso cantieri per la costruzione di grattacieli con il solo strumento dell’autodichiarazione, con una Scia, senza chiedere un piano attuativo più complesso. Risultato: cantieri fermi,

200 pratiche edilizie bloccate, un danno economico per imprese e acquirenti. E un pasticcio da sanare solo attraverso un apposito e contestato provvedimento legislativo, il cosiddetto Salvamilano, arenato in Parlamento dopo gli avvisi di garanzia nei confronti di alcuni dirigenti del Comune. In ogni caso, la sanatoria non sarebbe sufficiente a soddisfare la richiesta di alloggi.

Piano Casa Milano

Che fare, dunque? La soluzione più semplice, a Milano come altrove, è costruire nuovi edifici, ripristinare abitazioni da riqualificare, rigenerare interi quartieri. E, a sorpresa, qualcosa si muove.

Le novità arrivano proprio dal capoluogo lombardo, forse anche sull’onda del blocco dei cantieri, oltre che per la necessità di non svuotare la città dai suoi abitanti, e renderla disponibile solo a chi ha redditi alti, ricchi stranieri e turisti.

L’amministrazione comunale ha quindi messo a punto un piano casa che offre spunti interessanti di riflessione.

Insomma, a prescindere dagli aspetti che riguardano il dibattito politico, spesso capzioso, sembra interessante considerare nel dettaglio l’iniziativa che, con le opportune modifiche, potrebbe essere scalata su altre realtà italiane.

E, in ogni caso, il piano è interessante per chi con l’edilizia commercia, per i progettisti, oltre che per le imprese di costruzione.

Il piano casa meneghino può essere preso in esame come tentativo di mettere una pezza al problema. Prevede un focus immediato su quattro quartieri: Porto di Mare, via Sant’Elia (Palasharp), via San Romanello e via Demostene.

Su queste aree sono in programma un totale di 174 mila metri quadrati da edificare per 2 mila appartamenti, con un investimento complessivamente tra i 300 e i 400 milioni.

Questo primo passo avrà tempi di costruzione dai due ai cinque anni. Ma è solo l’inizio. Secondo i piani, ci sono altre 17 aree interessate da un programma che comprende i prossimi dieci anni.

In tutto è prevista, con notevole ottimismo, la realizzazione di 10 mila case (6.500 a Milano e 3.500 nell’hinterland) da mettere sul mercato con affitto calmierato, per una cifra annua di 80 euro a metro quadrato, cioè meno della metà del canone medio attuale.

Prevista anche la riqualificazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica: in città ci sono 16.400 case popolari sfitte.

Per riuscire nell’intento il Comune sta cercando le risorse per manutenzione e ristrutturazione.

La filosofia del piano casa, in ogni caso, è chiara: il Comune mette a disposizione una parte del patrimonio immobiliare per costruire alloggi destinati al ceto medio in difficoltà e bilanciare così la costruzione esclusiva di case di lusso.

Scadenza a 90 anni

Innovativa anche la formula, già adottata in altri paesi come la Svizzera: le aree sono rese disponibili per 90 anni ai privati che costruiscono, poi torneranno in mano pubblica. Facendo due conti non è una prospettiva da buttare via.

Il business plan, inoltre, prevede una rigenerazione urbana con la realizzazione di servizi pubblici, aree verdi e strade.

Secondo le previsioni, a essere interessate al piano casa sono prevalentemente le cooperative, tra cui in particolare le più grandi di Milano, come Uniabita, Abitare, Lum.

«Questo Piano casa, concreto e in grado di rispondere ai problemi delle persone, è finalmente una vera scelta politica», ha commentato a caldo Pierpaolo Forello, presidente di Uniabita.

Alloggi a canone calmierato

La Cooperativa sociale Il Melograno, invece, ha raccolto l’invito di riqualificare gli alloggi sfitti: si prenderà in carico, gradualmente, circa 120 appartamenti da ristrutturare e poi assegnare a prezzi bassi.

L’iniziativa fa parte del progetto del Comune di un bando per 270 immobili disponibili sparsi per la città, vinto da Atm, A2A e Il Melograno, per offrire alloggi a canone calmierato a lavoratori che con il loro stipendio non possono permettersi di vivere a Milano.

L’iniziativa comprende, per esempio, l’accordo sottoscritto con Atm, l’azienda di trasporti municipale, per 30 alloggi popolari da ristrutturare e mettere in affitto ai dipendenti. Per i prossimi 12 anni, in cui Atm progetterà e realizzerà a proprie spese interventi di adeguamento edilizio e impiantistico.

Terminata la ristrutturazione, l’azienda metterà gli appartamenti a disposizione dei dipendenti con canoni calmierati, soprattutto assunti da meno di due anni, in possesso di specifici requisiti, tra cui Isee non superiore ai 26 mila euro.

Aziende municipali

Inoltre, a inizio dicembre il Comune ha siglato un accordo simile con A2A, l’azienda energetica, per assegnare altre 30 unità abitative sfitte situate nei Municipi 2, 3 e 4 da rinnovare e mettere in locazione a dipendenti di Amsa (la municipalizzata che gestisce i rifiuti) e Unareti.

Secondo quanto comunicato, per esempio, l’accordo consentirà a un dipendente di Unareti di affittare un trilocale di 80 metri quadrati spendendo circa 480 euro al mese (più le spese), cifra che corrisponde a meno della metà del prezzo di mercato.

Sulla stessa lunghezza d’onda è la proposta chiamata Una casa per i giovani, avanzata da Edison.

Si tratta di un piano rivolto ai propri neolaureati che non hanno un alloggio diverso da quello della propria famiglia.

A loro il gruppo energetico offre la possibilità di affittare un bilocale arredato, in una zona che si trova entro mezz’ora dalla sede di lavoro e collegato con mezzi pubblici.

Certo, si tratta di iniziative di impatto limitato, ma che possono essere un esempio di come le amministrazioni locali e le aziende con patrimonio immobiliare, se vogliono, possono fare di più.

di Giuseppe Rossi

L’industria ceramica italiana stretta tra Ets, dazi e concorrenza extra Ue

Il settore piastrelle ceramiche, uno dei fiori all’occhiello della produzione italiana, è nella tenaglia di un sistema regolatorio che non funziona, del costo dell’energia e dell’import extra Ue. E ora c’è l’incubo dazi.

«Il preconsuntivo per l’anno 2024 mostra una crescita del 2% delle vendite complessive di piastrelle e lastre ceramiche espresse in volume, principalmente spiegata dalle esportazioni, in quanto l’Italia è praticamente ferma sui livelli dell’anno precedente.

I mercati che hanno meglio performato in quantità sono quelli extra europei, a partire da Nord America e Golfo, mentre la congiuntura su quelli comunitari ha registrato flessioni, marcate in Francia e Germania.

Non abbiamo a oggi il dato sui fatturati, ma se la dinamica registrata nei primi nove mesi proseguirà, ci aspettiamo un calo», aveva anticipato a YouTrade Augusto Ciarrocchi, presidente di Confindustria Ceramica.

Augusto Ciarrocchi Presidente associazione dei produttori
Augusto Ciarrocchi 

La previsione per il 2025 potrebbe rivelarsi anche più severa per una delle industrie cardine del sistema industriale italiano, che dovrà vedersela anche con il rincaro dell’energia e l’incubo dei dazi minacciati da Donald Trump.

Ma non solo. Resta sul tappeto anche la revisione sistema Ets, Bref Ceramico e il contrasto alla concorrenza sleale dei prodotti extra Ue, decisive per la competitività dell’industria ceramica nazionale.

Il sistema Ets e il Bref Ceramico: cosa sono?

Il sistema Ets (Emission trading scheme) è un commercio delle emissioni progettato per chi emette anidride carbonica (Co2) e altri gas serra.

Le Bref (Best Available Techniques Reference Documents), invece, sono relazioni di riferimento elaborate nell’Unione Europea per descrivere i processi industriali, i livelli di emissione e di consumo delle tecniche applicate e le migliori tecniche disponibili per la prevenzione e il controllo integrati dell’inquinamento che deriva dalle attività industriali.

Due aspetti su cui Confindustria Ceramica è molto critica. La domanda di ceramica, ha fatto sapere l’associazione confindustriale, ha registrato andamenti diversificati sui mercati esteri e sostanziale stabilità sul mercato domestico.

Ora, però, «la competitività futura dell’industria ceramica italiana dipenderà da decisioni fondamentali in sede europea, quali il Clean Industrial Act, la revisione del sistema Ets sulle emissioni di Co2, quelle del Bref Ceramico sulle migliori tecniche disponibili e dalle iniziative di contrasto alla concorrenza internazionale sleale».

piastrelle-ceramica

Industria ceramica italiana: i numeri 2024

Il bilancio del 2024 per il settore, in ogni caso, presenta luci e ombre: l’industria italiana delle piastrelle di ceramica ha terminato l’anno passato con un lieve incremento dei volumi di vendita, ma anche con una contrazione della produzione.

Il preconsuntivo 2024 elaborato da Prometeia evidenzia per l’industria italiana delle piastrelle di ceramica un lieve incremento, con volumi di vendite intorno ai 376 milioni di metri quadrati (+1,9% rispetto al 2023), derivanti da esportazioni nell’ordine di 291 milioni di metri quadrati (+2,4%) e vendite sul mercato domestico prossime agli 85 milioni di metri quadrati (+0,3%).

A fronte di dinamiche complessivamente stagnanti sui mercati europei, recuperano le vendite in Nord America e Asia.

Rispetto ai dati pre-pandemici, la flessione dei volumi è nell’ordine di -7,5%. Il dato di preconsuntivo della produzione è stimato in contrazione del -2%.

Il nodo decarbonizzazione

«Il contesto competitivo nel quale le nostre aziende sono chiamate a operare sarà determinato da decisioni di straordinaria importanza che l’Europa prenderà nei prossimi mesi, per le quali chiediamo il supporto ed il sostegno di tutte le istituzioni nazionali ed europee», ha commentato Ciarrocchi in occasione della presentazione dei dati.

«Siamo a favore di una decarbonizzazione pragmatica, che avvenga in tempi adeguati alle tecnologie realmente disponibili, evitando però di continuare a penalizzare la nostra industria che, grazie ai rilevanti investimenti fatti nel corso degli anni, ha già avviato percorsi con riduzione nelle emissioni che non hanno pari nel contesto internazionale.

È essenziale che nella definizione delle norme in tema ambientale si abbandoni l’approccio ideologico fin qui seguito, che definisce aprioristicamente il traguardo ed i tempi, senza considerare quali siano i possibili percorsi da intraprendere per arrivare al risultato».

Co2, le emissioni italiane

Revisione del sistema Ets

L’industria ceramica italiana, ha specificato un comunicato ufficiale dell’associazione, considera fondamentale e urgente la revisione del sistema Ets, dove la speculazione trasferisce in modo assurdo risorse dall’economia reale alla finanza e dove l’assenza di alternative tecnologiche trasforma l’obbligo di acquisto di quote di CO2 in una tassa sulla produzione.

Il commercio delle emissioni di carbonio (Ets) ha l’obiettivo di limitare il cambiamento climatico creando un mercato con quote limitate per le emissioni.

Il commercio delle emissioni di carbonio è un metodo comune che i Paesi usano per tentare di rispettare i loro impegni nell’ambito dell’accordo di Parigi, con schemi operativi in Cina, nell’Unione Europea, mentre la nuova amministrazione Usa ha stracciato gli impegni presi e si è tirata fuori.

Il commercio delle emissioni stabilisce un limite quantitativo totale alle emissioni prodotte da tutti gli emettitori partecipanti, che determina di conseguenza i prezzi delle emissioni.

Il problema è che, come avviene in Borsa, su questo trading si innesca anche una componente speculativa.

Con il commercio delle emissioni, in ogni caso, un’industria energivora che emette più CO2 della sua quota deve acquistare il diritto di consumare di più e acquista questo diritto dalle imprese con meno emissioni.

Le quote di scambio delle emissioni coprono un’ampia fascia di prezzo, che varia secondo i momenti.  Per esempio, può andare da 12,7 euro per tonnellata di CO2 nel sistema nazionale di scambio delle quote di carbonio della Cina per salire a 77 euro per tonnellata di CO2 nell’Eu-Ets (prezzo a fine gennaio 2025): una disparità evidente, considerando anche che Pechino è responsabile di buona parte delle emissioni globali.

Anche altri gas serra possono essere oggetto di trading, ma vengono indicati come multipli standard dell’anidride carbonica in relazione al loro potenziale di riscaldamento.

Energia e concorrenza

Un sistema che penalizza anche la cogenerazione, la tecnologia che presenta i maggiori livelli di efficienza energetica a parità di energia primaria utilizzata. 

Inoltre, secondo Confindustria, le bozze del Bref Ceramico, ovvero delle nuove norme che individueranno le migliori tecniche disponibili e i limiti ad esse associate, «registrano limiti incomprensibilmente bassi, il cui rispetto appare tecnicamente impossibile e dove nessuna valutazione economica è stata svolta per identificarne l’effettiva sostenibilità, una condizione invece richiamata espressamente dalla nuova direttiva sulle Emissioni Industriali 2.0».

Anche perché, dicono con ragione gli industriali, il problema dei prezzi di gas metano ed energia elettrica in Italia, molto più alti sia rispetto a quelli dei concorrenti internazionali che degli altri Paesi europei, va risolto con il completamento del mercato unico dell’energia, in grado di evitare troppe disparità continentali e di costruire un campo di regole e di aiuti per le imprese realmente armonizzato.

energia-gas

C’è, poi, il problema del commercio internazionale, che presenta forti criticità. L’Europa registra crescenti importazioni di ceramica a basso costo dall’India, provenienti da fabbriche con discutibili (o, meglio, discutibilissimi) livelli di tutela dei lavoratori e dell’ambiente.

«Abbiamo bisogno di politiche e strumenti di difesa commerciale adeguati ed è indispensabile alzare significativamente i dazi antidumping all’import di piastrelle indiane e delle stoviglie cinesi», protestano gli imprenditori per bocca dell’associazione.

«Se la tutela del consumatore ed il rispetto delle sue scelte è un caposaldo dell’essere cittadini dell’Europa, allora non si capisce la ragione per cui l’Europa non abbia già approvato il made in, ovvero l’obbligatorietà dell’indicazione di origine dei prodotti.

Una misura in grado anche di combattere efficacemente le distorsioni derivanti dall’italian sound, recuperando rilevanti introiti per le produzioni fatte nel nostro Paese».

Incubo trumpiano

Come se non bastasse, i rischi di rialzo di dazi e tariffe all’import negli Stati Uniti generano preoccupazione per un settore campione di export come è la ceramica italiana.

Una criticità resa ancora più marcata dalla concomitanza tra i possibili minori flussi di ceramica italiana venduti oltremare che si sommerebbero alle decisioni di altri Paesi esportatori verso gli Usa i quali, trovando questo mercato chiuso, potrebbero dirottare proprio in Europa la loro sovrapproduzione.

«Come ceramica italiana siamo certi, con l’appoggio delle nostre istituzioni, di poter affrontare qualsiasi discussione e negoziato consapevoli della qualità dei nostri prodotti e del livello dei nostri prezzi di vendita, in media doppi rispetto a quelli della concorrenza presente sul mercato statunitense», spiegano in Confindustria Ceramica.

Infrastrutture

Infine, un altro fondamentale fattore di competitività sono anche le infrastrutture al servizio dei distretti della ceramica emiliani, romagnoli e laziali.

In particolare, la Bretella Campogalliano Sassuolo è attesa nei primi mesi dell’anno ad alcuni passaggi fondamentali, quali l’approvazione del bando per la realizzazione del project financing complessivo di tutte le opere di ammodernamento relative all’intera A22 del Brennero, alla Cispadana ed alla Bretella Campogalliano Sassuolo.

Ma in questo caso Bruxelles o Washington non sono i colpevoli: l’invito va rivolto a Roma.

 

 

di Giuseppe Rossi

A Corsico (Milano) la prima villa in Dekton by Cosentino

Dekton

Firmata dall’architetto Alaa Negm, Villa Labriola a Corsico (Milano) è la prima villa in Italia realizzata quasi totalmente in Dekton by Cosentino, una miscela sofisticata di vetro, materiali porcellanati ricavati da oltre 20 minerali naturali e materiali riciclati, che compongono una superficie ultracompatta declinata in lastre di grande formato fino a 320×144 centimetri.

Villa Labriola a Corsico (Milano)

Le lastre Dekton

Le lastre di Cosentino sono protagoniste anche dell’ambiente bagno della villa. Al primo piano, dove sono presenti due bagni, Dekton è stato utilizzato in due modalità differenti: superfici marmorizzate Onirika Neural, caratterizzate da sottili venature scure su fondo bianco, nel primo; Pietra Kode Sabbia, che ricodificano fedelmente il colore e la texture del travertino, nel secondo.

Lavabo in Onirika Neural
Lavabo in Onirika Neural

Il bagno padronale al secondo piano, invece, ha lavabo, rivestimento parete e pavimento in Marmorio.

La collezione Pietra Kode Travertine nei colori Sabbia e Marmorio è ripresa anche all’esterno per le mura di cinta, la cucina e il bagno turco.

Collezione pietra Kode nei colori sabbia, marmorio e travertine
Collezione Pietra Kode nei colori sabbia, marmorio e travertine.

Le applicazioni

Dekton by Cosentino permette una vasta gamma di applicazioni outdoor e indoor, grazie anche all’ampia disponibilità di spessori: 0,4 – 0,8 – 1,2 – 2 e 3 centimetri.

A impatto zero, nel 2020, ha ottenuto la certificazione Carbon Neutral per l’intera gamma di colori, distinguendosi come l’unica superficie a zero emissioni di carbonio.

Tutti i colori Dekton incorporano dal 15 all’85% di materiali riciclati dal processo di produzione del prodotto. Il marchio offre inoltre una garanzia di 25 anni.

Dekton

Anche in facciata

Le collezioni Dekton sono state utilizzate per tutte le superfici di Villa Labriola. In facciata le lastre Laurent, di un intenso sfondo marrone attraversato da venature dorate, sono contrapposte alla tonalità chiara delle lastre Kraftizen Nacre, utilizzate per pavimentazione esterna, patio, piscina e terrazze.

La pavimentazione in Nacre, in soluzione di continuità visiva prosegue all’interno in alcuni ambienti del basement come l’ingresso, il living, la cucina e il bagno.

«La versatilità delle superfici Dekton ha permesso di creare grandi superfici senza giunture, garantendo una continuità visiva che amplifica la percezione dello spazio», commenta l’architetto Alaa Negm.

«Inoltre, le proprietà tecniche delle lastre assicurano che la villa mantenga la sua bellezza estetica nel tempo, anche negli spazi esterni, dove materiali meno resistenti potrebbero deteriorarsi.

Infine, la sostenibilità del prodotto e del processo produttivo riflette il nostro impegno verso l’architettura sostenibile e responsabile».

DektonDekton

Resistenza

Oltre a rispondere ai requisiti di sostenibilità, qualità, durata e design in ogni applicazione, le lastre Dekton sono risultate la scelta vincente in particolare in bagno e in cucina grazie all’elevata resistenza alle macchie, ai graffi, al calore e ai prodotti chimici aggressivi.

In outdoor assicurano inoltre resistenza ai raggi Uv, pioggia, temperature estreme e gelo.

In più la bassissima porosità delle superfici e l’elevata resistenza all’idrolisi e agli shock termici ne fanno il rivestimento ideale anche per la piscina e l’area spa.

di Sara Giusti

Deltacalor presenta Plate: il radiatore minimalista

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È un design improntato sulla sottrazione quello di Plate, il nuovo radiatore di Deltacalor, dalle linee essenziali e dalla personalità decisa, espressione di un processo creativo che mira a raggiungere la purezza formale.

Plate di Deltacalor

Razionale nelle linee e nel concept, Plate riesce a condensare in pochi tratti netti funzionalità e rigore geo-metrico. Elemento squadrato di forma rettangolare, dallo spessore estremamente sottile, Plate si adatta a ogni ambiente domestico e a ogni stile, con eleganza e discrezione. 

Raffinato e formale, disponibile in due versioni

Parte della collezione Warm, Plate ne esprime a pieno i principi, ovvero la ricerca di raffinatezza formale attraverso prodotti capaci di emozionare per l’elevato impatto scenografico e l’utilizzo di tecnologie all’avanguardia.

In questo senso, la linea Warm è una chiara espressione dell’eccellenza del Made in Italy alla base della filosofia Deltacalor, che si ritrova in ogni aspetto progettuale: dalla scelta delle materie prime fino alla lavorazione e alle esclusive finiture cromatiche e tattili. 

Plate è una piastra radiante tecnologicamente evoluta disponibile in due versioni, a seconda del tipo di alimentazione: idraulica o elettrica. 

Plate Electric Plus

In particolare, la versione Plate Electric Plus è completa di cronotermostato ambiente caratterizzato da un’interfaccia con schermo LCD retroilluminato, attraverso la quale è possibile impostare un programma di accensioni su base settimanale, impostando il livello di calore desiderato a seconda dei propri ritmi e delle proprie esigenze.

Il sistema include nove programmi preimpostati e quattro programmi personalizzati. 

 

Il termostato di Plate

In un’ottica di attenzione al risparmio energetico, il sistema integra anche la funzione di rilevatore di finestra aperta, che si attiva allo scendere improvviso della temperatura interrompendo il riscaldamento ed evitando così inutili consumi energetici.

Inoltre, è dotato di un sistema di blocco comando che impedisce che le impostazioni di riscaldamento possano essere inavvertitamente modificate o dai bambini di casa. 

 

Plate di Deltacalor

Grazie a queste accortezze, Plate Electric Plus risponde pienamente alla direttiva europea EcoDesign che mira a ridurre il consumo di radiatori elettrici eliminando dispositivi con insufficiente capacità energetica e inutili consumi.

Estremamente versatile, il radiatore Plate è disponibile oltre che nella versione singola, sia verticale sia orizzontale sotto finestra, nella versione doppia per aumentare la capacità riscaldante pur mantenendo una larghezza contenuta.

Molteplici le varianti come la versione acciaio lucido effetto specchio, la nuova proposta inox spazzolato e le molteplici finiture e tonalità della cartella colori offerta da Deltacalor, offrendo così la massima flessibilità per adattarsi a diversi spazi e preferenze di arredamento. 

Plate effetto specchio

Plate è inoltre disponibile in diverse misure, per adattarsi a vari contesti architettonici. 

Questa flessibilità si traduce in un totale di otto combinazioni di potenza e dimensioni, consentendo una scelta accurata in base alle esigenze specifiche dell’ambiente. Per la versione elettrica, sono invece disponibili cinque varianti.

La catena JYSK installa pannelli solari sui suoi centri di distribuzione

JYSK
Da sinistra: Daniel Schöniger, Direttore Logistica DCK: Max Jetzfellner, Responsabile Progetto MaxSolar; Florian Schillmeier, Team Avviamento MaxSolar; Torsten Ebel, Responsabile Progetto FV Germania; Denis Dieterich, Responsabile Tecnico DCK

JYSK, catena danese specializzata in arredamento per la casa e il giardino, ha deciso di installare pannelli solari sui tetti dei suoi centri di distribuzione. 

Sei centri di distribuzione della catena di arredamento dispongono di pannelli solari sui tetti. Di recente, sono stati installati nei tre centri di distribuzione situati a Kammlach, Homberg e Zarrentin, in Germania. Anche i due centri in costruzione in Spagna e nei Paesi
Bassi saranno dotati di pannelli solari.

«Tutti i nostri nuovi centri di distribuzione saranno costruiti per supportare
l’installazione di pannelli solari sui tetti ed è nostro obiettivo chiaro che la maggior
parte della nostra energia provenga da fonti rinnovabili. I pannelli solari sono una
tecnologia ben collaudata e rappresentano anche un investimento redditizio», afferma
Morten Venborg Hansen, Direttore dei Progetti Logistici di JYSK.

A seconda della quantità di luce solare, i pannelli solari possono coprire fino al 30%
del consumo energetico annuo totale dei centri di distribuzione.

Nei centri di distribuzione più datati, come quelli di Uldum (Danimarca) e Nässjö
(Svezia), JYSK sta valutando alternative come pompe di calore e teleriscaldamento,
poiché le strutture dei tetti non sono adatte a supportare pannelli solari.

Da sinistra: Daniel Schöniger, Direttore Logistica DCK; Denis Dieterich, Responsabile Tecnico DCK
Davanti: Torsten Ebel, Responsabile Progetto FV Germania. Dietro: Max Jetzfellner, Responsabile Progetto MaxSolar; Florian Schillmeier, Team Avviamento MaxSolar GmbH

Il progetto rientra nel piano di JYSK per ridurre le proprie emissioni di
gas serra Scope 1 e 2 del 50,4% entro il 2032, prendendo il 2022 come anno di
riferimento.

«Credo che abbiamo fissato obiettivi ambiziosi e significativi per i
prossimi anni in tutto il nostro business, con focus sui nostri clienti, la nostra catena
del valore e il nostro ambiente di lavoro per ridurre il nostro impatto climatico. Ogni
passo è per garantire la nostra competitività e restare la prima scelta dei clienti
nell’ambito dello sleeping e del living», ha dichiarato Rami Jensen.

«Abbiamo già implementato soluzioni accessibili, come illuminazione a LED, sistemi
di illuminazione e riscaldamento controllati da sensori nei nostri centri di
distribuzione, e continueremo a esplorare e implementare ulteriori iniziative per
ridurre il nostro consumo energetico e garantire che l’energia utilizzata provenga da
fonti rinnovabili», afferma Morten Venborg Hansen.

Tutti i negozi JYSK sono stati dotati di un nuovo sistema di illuminazione che ha
ridotto il consumo energetico per l’illuminazione di almeno il 25% rispetto a prima.

Haulotte festeggia 40 anni tra successi e grandi sfide

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Specializzato nella costruzione di macchinari per il sollevamento di persone e carichi, il gruppo Haulotte festeggia 40 anni. 

Guidata da Pierre Saubot, fondatore, e suo figlio Alexandre Saubot, attuale Ceo, l’azienda sta affrontando grandi trasformazioni per rispondere alle nuove sfide del mercato: dall’elettrificazione e transizione ecologica, adattando le macchine ai nuovi standard ambientali e riducendo l’impronta di carbonio, alla digitalizzazione e intelligenza artificiale per soluzioni di manutenzione da remoto e macchine più intelligenti.

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Altro tema chiave è l’ascesa della concorrenza cinese: il mercato globale sta cambiando rapidamente, e per rimanere competitiva l’azienda continua a investire in Ricerca e Sviluppo, con un approccio pragmatico e visionario.

La storia di Haulotte

Nel 1984, Pierre Saubot acquistò l’azienda Pinguely-Haulotte.

«Ho investito tutti i miei risparmi in questa impresa, in un momento in cui l’industria francese stava attraversando una profonda crisi. Lanciare un’attività industriale con sede in Francia, nel mezzo di una tempesta economica, era oggettivamente irragionevole», ricorda il fondatore che gettò le basi di un’azienda che sarebbe diventata un attore importante nel settore delle piattaforme aeree.

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«Ero appassionato di questa attività e conoscevo bene il team, essendo stato il loro concorrente. Con una sana dose di incoscienza semi-giovanile, mi sentivo in grado di affrontare qualsiasi sfida, prevista o imprevista».

Negli anni ’90, Haulotte ha vissuto una fase di espansione. L’IPO (Initial Public Offering, l’offerta di obbligazione azionaria) del 1998 ha segnato una svolta importante, consentendo all’azienda di finanziare il suo sviluppo mantenendo la sua indipendenza.

«Tutti i consigli che ho ricevuto all’epoca erano sulla stessa linea: mantenere la maggioranza delle azioni. Era fondamentale dimostrare che avevamo ancora il controllo e che avevamo una visione a lungo termine», spiega Pierre Saubot.

Questa volontà di preservare l’identità familiare dell’azienda ha guidato anche il passaggio di consegne al figlio Alexandre. Già nel 1999, Pierre pensava alla sua successione: «Mi sono detto che era giunto il momento di assicurare il futuro a lungo termine dell’azienda e di preparare una transizione senza intoppi».

Dopo una carriera progressiva all’interno del gruppo, Alexandre Saubot ha ufficialmente assunto la direzione dell’azienda nel 2004.

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«Tutto è stato fatto per consentirmi di assumere gradualmente delle responsabilità. Mio padre mi ha prima messo a capo della finanza, poi ha lasciato che il personale si abituasse a vedermi prendere delle decisioni».

Quando Pierre Saubot ha annunciato ufficialmente il passaggio, ha applicato una regola ferrea: «La sera in cui ho detto ai nostri team che Alexandre era il loro nuovo capo, non ho preso una sola decisione. Non doveva esserci confusione. Questa è la chiave per una transizione di successo».

Questa chiarezza ha permesso all’azienda di continuare il suo sviluppo senza intoppi, mantenendo una linea guida forte e una gestione coerente.

«Ogni manager ha il suo stile. C’è continuità nella nostra visione a lungo termine e nel nostro impegno verso i nostri clienti, ma era importante adattare l’azienda alle nuove realtà del mercato» afferma Alexandre Saubot .

Uno dei maggiori cambiamenti sotto la sua guida è stato il graduale rinnovamento dei team di gestione.

«Molti dei collaboratori più stretti di mio padre sono andati in pensione durante questo periodo. Ciò mi ha permesso di mettere insieme un team allineato con la mia visione e le sfide future», spiega.

«Non si può dire che sia stato facile durante i 20 anni in cui sono stato al timone. Ora è ancora più semplice. E ho una grande ammirazione per il modo in cui, con il vecchio team e con quello nuovo, Alexandre ha padroneggiato le cose. Con la stessa audacia e forse un po’ più di cautela di me. Con l’esperienza che ho acquisito, sono sbalordito da come stanno andando le cose, felicemente sbalordito», dichiara Pierre Saubot.

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Pierre Saubot

Haulotte resta fedele alla sua filosofia di indipendenza. Le decisioni non sono dettate dalle fluttuazioni del mercato azionario, ma dal desiderio di garantire una crescita sostenibile. «Un’azienda familiare significa un impegno a lungo termine. Ci consente di innovare, investire e garantire la continuità strategica essenziale in un settore esigente come il nostro», conclude il Ceo.

Perché le tasse sono aumentate

Tasse time
Tasse time

Meno tasse per tutti? Non proprio: lo scorso anno la pressione fiscale è aumentata in termini nominali del 5,7%, mentre il Pil, sempre in termini nominali, è cresciuto di solo il 2,9%. Risultato: le tasse per imprese e cittadini sono più pesanti e rispetto a tutto quanto l’Italia produce il 42,6% è andato al fisco. Difficile che nel 2025 vada meglio. E dire che diminuire le tasse era al primo posto degli obiettivi del governo. Contrariamente a quanto la pancia suggerisce, però, non bisogna dimenticare che il vero problema non è l’aumento delle tasse. D’accordo, a tutti piace pagarne meno, anzi, non versarne affatto. Ma il punto è un altro: dipende tutto da come si spendono i soldi pubblici. I soldi incassati da Irpef, Ilor, Iva, Imu eccetera sono impiegati in modo razionale? La sanità funziona? I treni sono sufficienti, funzionano e arrivano in orario (chiedere ai pendolari). Le forze dell’ordine, che in Italia sono molto più consistenti rispetto a Francia e Germania, tengono sotto controllo la criminalità? Rispondete voi. Valutare la pressione fiscale senza tener conto di quello che produce, insomma, ha poco senso.

Anche perché lo Stato italiano spende più o meno come gli altri. Secondo Eurostat, l’ente statistico europeo (un organismo tecnico, non politico), la media Ue di spesa pubblica è del 47%. In Italia (dati 2018, ma non è cambiato granché) era del 48,4%, superiore al 44,6% della Germania, ma simile a quella dei cosiddetti Paesi frugali (cioè Svezia, Danimarca, Olanda e Austria). Senza contare che in Francia lo Stato assorbe il 56% del Prodotto interno lordo.

Calcolo delle tasse
Calcolo delle tasse

E, certo, anche negli altri Paesi i cittadini non fanno salti di gioia nel pagare le tasse. Ma la risposta anche all’estero sta nel risultato, cioè nei servizi che lo Stato, ma anche Regioni e Comuni, forniscono a cittadini e imprese (scuola, sanità, sicurezza, infrastrutture, pensioni). Insomma, il motivo dell’insofferenza italiana è in parte culturale (la scarsa propensione a considerare la cosa pubblica un bene comune), ma anche il fatto che non tutte le tasse si traducono in servizi per imprese e cittadini. Ma perché i servizi pubblici in Italia sono spesso inferiori a quelli degli altri paesi? La colpa è di un mostro vorace: il debito pubblico. Se lo Stato non dovesse pagare dai 40 ai 70 miliardi all’anno di interessi sul debito (la cifra varia secondo i rendimenti pagati sui Btp), l’incidenza del fisco della spesa pubblica sarebbe lievemente inferiore alla media dell’Eurozona e non molto superiore a quella della Germania.

Sempre secondo Eurostat, si escludesse dal calcolo il pagamento degli interessi sul debito pubblico, il tasso di restituzione (cioè quanto torna ai cittadini sotto forma di servizi) sfiorerebbe il 94%, meglio di tutti i Paesi dell’eurozona.

Tasse time
Tasse time

Il risultato è che sulle imprese pesa un carico fiscale complessivo pari quasi il 60% dei profitti commerciali, con 238 ore necessarie per gli adempimenti fiscali distribuiti su 14 pagamenti l’anno (dati anche questi al 2018), contro una media europea di 161 ore. Numeri che sono frutto del rapporto Paying Taxes 2020, realizzato dalla Banca Mondiale e da Pwc, e che assegna all’Italia il 128esimo posto sui 190 Paesi in esame, in peggioramento rispetto al già non entusiasmante 116esimo posto della precedente edizione. Ci sono, poi, i costi indiretti: sempre secondo il report, le aziende impiegano 42 ore per la richiesta di rimborso Iva, incluso il tempo speso per rispondere alle richieste ricevute nel corso delle verifiche fiscali dal fisco, molto più delle 18,2 ore della media mondiale e delle sette ore della media europea. Come stupirsi, quindi, se le tasse risultano così antipatiche?

Termosan Nhl: l’intonaco macroporoso che deumidifica e coibenta

Intonaco macroporoso

Il risanamento delle murature umide e degradate è forse il tema più ricorrente nel campo della riqualificazione e conservazione architettonica delle strutture esistenti, soprattutto per quelle storiche.

Per offrire una soluzione alla deumidificazione, al risanamento e al miglioramento energetico delle strutture murarie soggette a umidità di risalita, General Admixtures, azienda di Ponzano Veneto (Treviso) specializzata in prodotti innovativi per i settori del cemento e del calcestruzzo, dei sistemi di ripristino, consolidamento e dell’edilizia leggera, ha messo a punto Termosan Nhl, intonaco macroporoso dai molteplici benefici.

Restauri conservativi con l’intonaco macroporoso

Termosan Nhl rappresenta una evoluzione dei tradizionali intonaci macroporosi, avendo non solo una notevole capacità deumidificante e risanante, ma anche proprietà coibenti utili per migliorare la prestazione energetica dell’involucro (λ 0,115 W/mK).

Un vantaggio non da poco nell’ambito nei restauri conservativi di palazzi storici, in cui spesso non è possibile intervenire con sistemi di protezione termica integrale come i cappotti.

Con Termosan Nhl, in un’unica tecnologia, è invece possibile riqualificare in maniera semplice, completa e duratura tutte le tipologie di edifici in muratura.

Con riferimento alla normativa Uni En 998-1, il prodotto è infatti classificato come malta per intonaco leggero (Lw), specifica per interventi di risanamento e isolamento termico.

La formulazione a base calce idraulica naturale rende questo prodotto estremamente compatibile (meccanicamente, fisicamente e chimicamente) con le strutture murarie esistenti, anche di pregio e rilevanza storica.

Come funziona l’intonaco macroporoso?

La struttura macroporosa di Termosan Nhl, associata alla sua elevata traspirabilità, permette di assolvere in maniera efficace alla funzione di deumidificazione muraria.

La struttura a macrocelle consente poi al prodotto di essere estremamente durevole nei confronti dell’accumulo di sali (anche di natura solfatica) e nei confronti degli sbalzi di temperatura (cicli di gelo/disgelo).

A tutto questo è associato un coefficiente di conducibilità termica certificato di λ 0,115 W/mK.

Con uno spessore applicativo di 3-4 centimetri è possibile così incrementare la resistenza termica delle pareti e ridurre sensibilmente le dispersioni termiche attraverso l’involucro, migliorando il comfort abitativo sia nella stagione fredda che in quella calda.

Applicazione di Termosan NHL

La posa in opera del materiale non presenta difficoltà.

Dopo la completa rimozione degli intonaci esistenti ammalorati e di tutti i materiali non perfettamente adesi, fino a una altezza superiore di circa 1 metro rispetto alla massima altezza di risalita dell’acqua, si procede con un abbondante idrolavaggio e, in caso di presenza rilevante di sali nella muratura, con lo specifico trattamento antisale Anterisana.

L’applicazione dell’intonaco Termosan Nhl risulta semplice e veloce, potendo avvenire anche meccanicamente a spruzzo.

L’accortezza più importante è quella di evitare, in fase di lisciatura, eccessive pressioni che possano occluderne le porosità intrinseche del prodotto.

 

Risalita capillare: criticità e soluzioni

La risalita capillare è la causa più comune di ingresso di acqua nelle murature. All’interno dell’acqua sono sempre disciolti una serie di sali presenti nel terreno che, trasportati attraverso le porosità dei materiali, si accumulano all’interno delle murature.

Al superamento di una specifica concentrazione di saturazione, questi sali cristallizzano, tornando alla loro forma solida e creando pressioni talmente elevate da rompere le murature, in particolare nelle zone corticali esposte all’ambiente.

A questa azione i sali ne aggiungono un’altra legata alla loro capacità di assorbire umidità dall’aria: assorbendo vapore acqueo dall’aria circostante contribuiscono a mantenere umide le pareti, anche in assenza di ulteriore acqua di risalita.

In conseguenza del fenomeno della risalita capillare, diverse sono le criticità che si manifestano:

  • degrado delle strutture, dovuto alla cristallizzazione dei sali (rottura e distacco di intonaci e rottura superficiale di malte e mattoni);
  • ambienti abitativi umidi e poco salubri;
  • sviluppo di organismi (muffe e spore);
  • riduzione delle capacità isolanti delle pareti (una muratura umida è meno coibente rispetto alla stessa muratura in condizioni asciutte);
  • forte penalizzazione dell’aspetto estetico delle costruzioni.

L’impiego di intonaci macroporosi applicati sulla superficie della muratura favoriscono l’evaporazione dell’acqua di risalita (effetto deumidificante) e introducono un rilevante volume di pori nei quali i sali possono cristallizzare liberamente senza provocare elevate tensioni nel materiale con cui sono realizzate le murature (effetto risanante).

di Sara Giusti

Aria di primavera con 6 proposte per l’outdoor

outdoor

Luxury Goods in Showroom è una rubrica di YouTrade dedicata all’eccellenza nel settore edile, che offre una panoramica delle soluzioni di lusso disponibili sul mercato e mette in risalto l’importanza degli showroom come spazi di presentazione e ispirazione.

L’inserto profuma di primavera, con sei proposte per l’outdoor, tra cucine per esterno, docce, sedute e superfici pregiate raccolti in una carrellata di suggestive immagini.

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6. Lapitec

La pietra sinterizzata Lapitec, unica con marchio Ce, può essere impiegata negli spazi esterni per una pluralità di destinazioni.

Dalla realizzazione di pavimentazioni e camminamenti, facciate o porzioni di esse, al rivestimento di piscine anche in immersione, panche, top di tavoli, cucine fisse o mobili, postazioni barbecue, sino all’applicazione su deck di yacht o navi.

Lapitec è composta al 100% da minerali naturali e priva di silice cristallina.

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Il 45% degli immobili sono da riqualificare

Milano skyline
Milano skyline

C’è tanta strada da fare per riqualificare il patrimonio immobiliare italiano. Casavo, piattaforma immobiliare di compravendita, grazie a un algoritmo proprietario che permette di valutare il proprio immobile, ha analizzato le valutazioni effettuate attraverso il suo sito nel 2024. Risultato: a livello nazionale il 29% degli immobili valutati appartiene alla classe G, mentre il 15% rientra nella classe F: edifici che, salvo alcune eccezioni, dovranno essere riqualificati per rispettare le nuove normative europee. Le abitazioni in classe E rappresentano il 12%, mentre quelle in classe D si attestano all’11%. Complessivamente, le abitazioni con una classe energetica più alta (A, A+, B e C) costituiscono quindi solo un terzo delle valutazioni totali.

Vale la pena di ricordare che secondo la direttiva europea Case Green, entro il 2030 tutti gli edifici residenziali dovranno raggiungere almeno la classe energetica E, mentre entro il 2033 sarà obbligatorio l’adeguamento alla classe energetica D.

Milano skyline
Milano skyline

A Milano, in particolare, secondo il calcolo di Casavo il 60% degli immobili necessita di riqualificazione. Il 25% degli immobili valutati nel capoluogo lombardo appartiene alla classe G, mentre il 19% rientra nella classe F, categorie che richiederanno interventi entro il prossimo quinquennio per conformarsi agli standard europei, come il miglioramento dell’isolamento termico e degli impianti di riscaldamento o la gestione intelligente dei consumi e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile. Le abitazioni in classe E, che potranno mantenere la loro classificazione fino al 2033, rappresentano il 16% delle valutazioni, mentre quelle in classe D salgono al 14%, superando la media nazionale. Questo probabilmente perché Milano è il principale hub di investimenti, anche esteri, in Italia e già luogo di svariati progetti di riqualificazione urbana, oltre a ospitare un più alto numero di nuove costruzioni rispetto ad altre città italiane. Complessivamente, il 60% del patrimonio immobiliare milanese avrà bisogno di riqualificazioni energetiche per raggiungere gli obiettivi fissati dalla normativa europea (6 punti percentuali in più verso la media nazionale).

Una via di Roma
Una via di Roma

A Roma, invece, il 64% delle case non è ancora a norma energetica. È una realtà più critica rispetto a Milano, risultato di una combinazione tra un patrimonio edilizio più vecchio, una minore incidenza di nuove costruzioni e un mercato immobiliare meno dinamico rispetto al capoluogo lombardo. Nella capitale il 42% degli immobili analizzati rientra nella classe G, una quota nettamente superiore a quella milanese (+17 punti percentuali). Di contro, il 14% delle abitazioni appartiene alla classe F, un dato leggermente migliore rispetto a Milano. Tuttavia, le classi E e D sono sensibilmente meno rappresentate, attestandosi a valori dimezzati rispetto al capoluogo lombardo. In totale, ben il 64% del patrimonio immobiliare romano necessita di interventi di riqualificazione per rispettare le scadenze imposte dalla normativa attualmente in vigore.

Veduta di Torino
Veduta di Torino

Situazione critica anche a Torino: la metà degli immobili deve essere riqualificata. Secondo l’analisi, comunque, la situazione è più favorevole rispetto a Milano e Roma, ma con un numero ancora significativo di immobili che necessitano interventi di riqualificazione. Nella città, il 13% degli immobili valutati appartiene alla classe G, mentre il 16% rientra nella classe F. Le abitazioni in classe E rappresentano il 21%, mentre quelle in classe D salgono al 20%, evidenziando una maggiore presenza di immobili in una fase intermedia della transizione energetica rispetto ad altre grandi città italiane. Complessivamente, il 50% del patrimonio immobiliare torinese avrà bisogno di interventi di efficientamento per rispettare le scadenze imposte dalla normativa europea. La città mostra un patrimonio immobiliare meno vecchio rispetto a Roma, con una presenza più contenuta di edifici nelle classi più basse, ma al tempo stesso manca della spinta agli investimenti e alla riqualificazione che ha caratterizzato Milano.

Pannelli di controllo intelligenti per l’automazione domestica

Automazione domestica

Climatizzazione, dispositivi elettronici, illuminazione, sicurezza: gli ambiti in cui agisce l’automazione domestica si allargano sempre di più.

Certo, quasi sempre ogni funzionalità può essere controllata dallo smartphone. Ma, per dirla in termini tecnici: questo non è un casino? E se qualcuno della famiglia volesse cambiare i parametri di luce o clima, per fare un esempio, e non avesse installato l’app sul proprio smartphone, o non possedesse proprio il cellulare, come si fa?

La risposta sta nei pannelli di controllo, la nuova frontiera. Si tratta di schermi dedicati alle app che fanno funzionare la casa.

Amazon ne ha appena lanciato uno maxi, ma sono molte le aziende che si propongono in questo nuovo business.

Al recente Ces 2025 di Las Vegas, per esempio, Aqara ha presentato una serie di suoi dispositivi per la casa smart.E tra le principali novità c’è una gamma di pannelli di controllo a parete e interruttori intelligenti, abbinati a sensori di presenza e di temperatura, oltre a una selezione ampliata di controller Thread.

Va da sé che chi si occupa di impiantistica, dall’operatore al progettista, non potrà più prescindere dalla conoscenza di soluzioni di questo tipo.

Pannelli di controllo a parete Aqara

I pannelli di controllo a parete di Aqara sono tre: Panel Hub S1 Plus, Touchscreen Dial V1 e Touchscreen Switch S100 Us. Sono dotati di interfacce touchscreen e servono a controllare in modo centralizzato l’intera casa, senza bisogno di uno smartphone e, soprattutto, in modo più comodo.

Il Pannel Hub S1 Plus, per esempio, abilita il controllo centralizzato dell’intera casa intelligente attraverso un’unica interfaccia. Si può quindi interagire con i dispositivi in modo intuitivo senza utilizzare uno smartphone.

Il pannello sostituisce un interruttore tradizionale ed è cablato per controllare e automatizzare fino a due dispositivi di illuminazione. Tutti i dispositivi come videocamere di sicurezza, serrature, termostati, luci, tende sono collegati via wi-fi a doppia banda al touchscreen da 6,9”.

Il pannello S1 Plus è anche un hub nello standard Zigbee e bridge Matter per i dispositivi Zigbee di Aqara (tradotto: può gestire i dispositivi abilitati a quei due ambienti software).

Un’altra novità è il citato Touchscreen Dial V1, con piccolo touchscreen rotondo da 1,32″. Il quadrante rotante gestisce e automatizza fino a due apparecchi di illuminazione cablati e controlla in modalità wireless più dispositivi e scenari intelligenti.

Il feedback aptico (che simula un click fisico) consente di regolare in modo intuitivo i dispositivi come la modifica della temperatura del colore delle luci, la posizione di apertura o chiusura delle tende e la temperatura dei termostati, anche grazie a un sensore di temperatura e umidità per il controllo della climatizzazione e un sensore di presenza per l’attivazione dello schermo di prossimità.

Infine, il Touchscreen Switch S100 US è un interruttore intelligente ibrido a 2 canali, che integra pulsanti e touchscreen da 1,3”. Oltre a controllare dispositivi di illuminazione cablati, gestisce in modalità wireless i dispositivi.

Il touchscreen può essere utilizzato anche per regolare con precisione i dispositivi, con connettività Thread anche questo supporta lo standard Matter over wi-fi (che, ricordiamo, è stato adottato dai più grandi gruppi di elettronica per la casa) e funziona come router.

di Stefano Lavori

Come la home automation può ridurre i consumi

Home automation

Le statistiche indicano un sempre maggiore utilizzo di dispositivi per la home automation. E secondo The European HouseAmbrosetti (Teha) domotica e building automation sono necessarie anche perché, nel complesso, permettono un taglio fino al 29% dei consumi energetici e fino al 5% di quelli idrici, con una diminuzione delle emissioni del 20-24%, vale a dire 8-12 milioni di tonnellate di CO2 in meno.

Ma non bisogna dimenticare che per funzionare i sistemi di allarme, di illuminazione o climatizzazione digitali hanno necessità di una rete che funzioni.

Dunque, a che punto siamo? Un po’ a sorpresa, secondo il report Digital Consumer Trends Survey 2024 di Deloitte la maggior parte degli italiani è soddisfatto della propria connessione domestica. Anche se non troppo sotto l’aspetto di copertura e velocità.

L’indagine, condotta su 2 mila consumatori italiani di età compresa tra i 18 e i 75 anni ha rilevato, insomma, che il 74% è soddisfatto della propria connessione domestica mentre, ma facendo attenzione a copertura (33%) e velocità (28%), i due principali aspetti che guidano a una scelta dell’azienda erogatrice del servizio.

Sempre secondo Deloitte, inoltre, l’adozione di connessioni 5G continua a crescere: la utilizza il 38% dei possessori di smartphone, anche se il 28% non percepisca differenze significative rispetto al 4G.

Un dato che deve far riflettere, semmai, è la percezione secondo cui la connessione in rete serva principalmente per utilizzare televisori smart, utilizzati dal 73% della popolazione adulta (+40% rispetto al 2017).

Gli apparecchi collegati in rete hanno ormai una diffusione che sta per raggiungere quella dei computer portatili, utilizzati dall’81% degli italiani. Anche se il dispositivo più diffuso, usato quotidianamente dal 94% degli italiani, rimane lo smartphone.

Un’indagine condotta di Ambrosetti, in ogni caso, ha messo in luce i fattori che ritardano l’adozione di soluzioni di home automation. I problemi più sentiti sono la mancanza di interoperabilità tra sistemi diversi (46%) e la complessità dell’installazione e configurazione (46%).

E per un terzo dei consultati a ostacolarne l’implementazione è il tema della sicurezza e della privacy dei dati (33%), mentre per il 28% il problema principale è relativo ai costi iniziali di installazione, considerati alti. Solo nell’11% dei casi, invece, le perplessità riguardano l’aspetto dell’assistenza.

di Giuseppe Rossi

Opportunità e sfide delle Comunità energetiche rinnovabili (Cer)

Comunità Energetiche Rinnovabili

A che punto siamo con le Comunità energetiche rinnovabili, Cer per gli amici? L’introduzione definitiva del regolamento che consente a un condominio o a un gruppo di soggetti di consorziarsi per produrre elettricità è stato un passo in avanti verso un percorso della sostenibilità. È interessante, però, scoprire come è stata accolta questa opportunità.

I dati relativi al primo scorcio del 2024 sembrano interessanti: le iniziative di autoconsumo collettivo registrate dal Gse e già attive sono 168.

Il regolamento finale ha messo il turbo ai progetti e alle realizzazioni, visto che si tratta di quasi il doppio (+89%) rispetto al 2023.

Le regioni in cui le Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) sono più presenti sono Piemonte, Lazio, Sicilia e Lombardia, che da sole coprono il 48% del totale con 80 progetti.

È abbastanza curioso, in effetti che, a parte la Sicilia, le altre regioni del Sud non siano ai primi posti, dato che la tecnologia utilizzata per rendere autonomi e produttivi gli edifici è quella fotovoltaica.

Secondo l’Electricity Market Report redatto dall’Energy & Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, l’impatto delle Cer sul sistema energetico al momento è ancora limitato perché si tratta in larga parte di realtà piccole, formate per la metà dei casi da associazioni e che prevede impianti di piccola taglia.

Ma il loro peso può aumentare. In media la potenza, per esempio, risulta in leggera crescita (da 55 kW nel 2023 a 60 kW nel 2024), anche se gli impianti oltre i 200 kW sono solo il 34% del totale, con una presenza rilevante (23,5%) di piccoli sistemi con potenza inferiore a 30 kW. Si tratta, però, di un segnale incoraggiante.

Secondo lo studio del Polimi, il 58% delle Cer è promossa da un ente pubblico, che fornisce spazi per l’installazione degli impianti e supporta l’aggregazione dei membri, allo scopo di ridurre le spese, aiutare le famiglie in situazioni di disagio economico e finanziare progetti sul territorio.

Nel 79% dei casi l’iniziativa prevede comunque la presenza di un soggetto esterno come piccole Esco, utility o imprese del settore energetico che supportano il promotore investendo negli impianti.

È questa la via più semplice per costituire e gestire una Cer: affidarsi a una società esterna significa cedere parte del beneficio, ma anche raggiungere il risultato più in fretta e semplicemente.

Il report del Politecnico indica anche un sondaggio effettuato su un migliaio di cittadini, il 21% dei quali già partecipante a una Cer: l’80% si attende ritorni annui superiori a 100 euro l’anno e solo il 7% si aspetta di ricevere un valore inferiore a 50 euro, cifra più vicina alla realtà.

Secondo questi calcoli rispetto alla spesa annua per la bolletta elettrica, infatti, il risparmio si dovrebbe aggirare sul 3-4%. Un aspetto senza dubbio da migliorare e che sembra in contrasto con alcune esperienze già rodate.

Per esempio, a Bologna, nel quartiere Navile è partito uno dei primi esperimenti di autoconsumo collettivo di energia elettrica, nel condominio di via Usodimare 5.

Sono stati installati dei pannelli fotovoltaici (con un impianto da 21 mila kilowattora l’anno) che consentono alle 18 famiglie residenti di ottenere un risparmio del 40% sui costi delle utenze condominiali e che alimentano anche una parte del fabbisogno energetico dei singoli nuclei.

di Paolo Caliari

Pergofree, la pergola bioclimatica che regola luce e clima

Pergola bioclimatica

Pergofree è la nuova pergola bioclimatica di BT Group, player di riferimento per le soluzioni outdoor made in Italy, che si aggiunge alle più recenti innovazioni, Pergonext e Pergoexe. Dotata di un innovativo sistema vetrato, la pergola unisce design e funzionalità, offrendo comfort personalizzato e protezione ottimale in ogni stagione.

Pergola bioclimatica, anche con vetrata

Pergofree ha una struttura in alluminio con copertura a lamelle orientabili che consentono di regolare l’apertura da zero a 140 gradi per una climatizzazione ottimale e protezione dal sole o dalla pioggia.

Pergofree, la nuova pergola bioclimatica di BT Group
Pergofree, la nuova pergola bioclimatica di BT Group

Grazie all’infisso in vetro stratificato, la pergola incorpora una porzione vetrata di 70 centimetri, sostituendo cinque lamelle, per garantire massima luminosità e una vista aperta sull’esterno.

Con una sporgenza fissa di 1 metro, la struttura è completata da una gronda perimetrale da 20×21,5 centimetri, con sistema di raccolta acqua integrato nei montanti che ne assicurano il drenaggio.

La copertura a lamelle in alluminio, con guarnizioni e gronda laterale, protegge da ogni condizione atmosferica, trasformando Pergofree in uno spazio da vivere tutto l’anno.

Pergofree è disponibile in un’ampia gamma di dimensioni, fino a 4.5 x 8 metri in modulo unico, con quattro o sei montanti perimetrali da 20 x 20 centimetri.

La pergola bioclimatica è dotata di un sistema motorizzato a bassa tensione, che permette di regolare facilmente l’orientamento delle lamelle.

Inoltre, con l’aggiunta di optional come luci Led, vetrate scorrevoli e frangisole, BT Group offre soluzioni personalizzate per rispondere a ogni esigenza.

La storia di BT Group

Quest’anno BT Group celebra 70 anni dalla fondazione.

 «Da sempre offriamo al mercato soluzioni all’avanguardia che uniscono innovazione, design e rispetto per l’ambiente.

Con prodotti come Pergofree, puntiamo a creare spazi esterni moderni e accoglienti, utilizzando materiali ecosostenibili e valorizzando il design armonioso e distintivo del made in Italy.

La nostra missione, da ormai 70 anni, è rendere gli spazi outdoor non solo funzionali e belli, ma anche responsabili verso il nostro pianeta, perché crediamo che la qualità e la sostenibilità debbano andare di pari passo per costruire un futuro migliore», commenta Aristide Radaelli, fondatore di BT Group.

Visione senza limti con G71 Sky

BT Glass nasce dalla storia di BT Group e dall’esperienza quarantennale di Cral Serramenti-Soluzioni architettoniche in alluminio e vetro.

L’azienda ha recentemente messo a punto G71 Sky, l’evoluzione del sistema tutto vetro scorrevole che consente di avere vetrate panoramiche senza profili verticali e angoli panoramici fissi in vetro con incontro a 90 gradi, per una vista senza limiti.

G71-Sky-bt-glass

Posizionato all’esterno della pergola bioclimatica R608 Pergosky, questa soluzione offre un gradevole effetto house of glass.

Facile e veloce da montare, senza la necessità di opere murarie, consente l’installazione del sistema in vetro con aperture centrali se la pergola è autoportante, o la possibilità di aperture laterali se la pergola è addossata alla parete.

In linea con l’impegno verso la sostenibilità, il sistema G71 Sky è realizzato con materiali eco-compatibili.

Grazie all’impiego delle più avanzate tecnologie del vetro, la struttura permette una gestione ottimale della luce naturale, contribuendo a migliorare il comfort abitativo.

G71 Sky è disponibile in diverse dimensioni e configurazioni, offrendo soluzioni su misura per ogni esigenza. 

di Sara Giusti

Raggi infrarossi e fibra di carbonio per il riscaldamento a pavimento sopraelevato

riscaldamento a pavimento sopraelevato
Il modulo radiante Newfloor

Comodità e comfort termico sono essenziali per vivere al meglio gli spazi esterni, soprattutto durante la stagione fredda. Radiafloor C di Newfloor rappresenta una soluzione innovativa per il riscaldamento a pavimento sopraelevato, ideale per terrazze, percorsi riscaldati, spa o per sghiacciare vialetti e camminamenti.

Con uno spessore di 4 centimetri, il sistema Radiafloor C può essere abbinato ai pannelli X-floor o alle lastre di gres monolitico di 2 centimetri di spessore, installato a secco su supporti in Pvc con altezza regolabile.

Il modulo radiante Radiafloor

Grazie al suo design modulare e all’utilizzo della fibra di carbonio come resistore, Radiafloor C offre una performance eccellente, garantendo al contempo efficienza energetica e sostenibilità.

I moduli radianti, delle dimensioni di 51×51 centimetri, dotati di fibra di carbonio che emette raggi infrarossi, garantiscono un calore immediato, efficiente e uniforme.

I raggi infrarossi non disperdono calore nell’aria, ma lo trasferiscono direttamente alle superfici solide, rendendo l’ambiente circostante piacevolmente caldo senza sprechi energetici.

Inoltre, la fibra di carbonio è un materiale resistente, flessibile, inossidabile e 100% riciclabile, che non subisce dilatazioni termiche e non si deteriora nel tempo.

L’installazione è semplice e rapida, non richiede modifiche agli impianti preesistenti, non produce emissioni in atmosfera e garantisce un risultato completamente invisibile e senza ingombri.

Applicazione di Radiafloor C
In terrazza Applicazione di Radiafloor C madonna di campiglio

In terrazza a Madonna di Campiglio

Un esempio di applicazione di Radiafloor C è la terrazza riscaldata di una villa a Madonna di Campiglio (Trento).

In questo caso, il progettista ha scelto il sistema Radiafloor C per i suoi rapidi tempi di installazione e la facilità di integrazione con l’impianto elettrico preesistente.

Il sistema è stato posato a secco, senza la necessità di interventi complessi, rendendo l’installazione veloce e pulita.

Applicazione di Radiafloor C

Un altro vantaggio del sistema di riscaldamento a pavimento sopraelevato Radiafloor C è la possibilità di integrare sonde di temperatura e sistemi domotici per monitorare e controllare l’accensione e lo spegnimento del riscaldamento da remoto.

Questa funzionalità è particolarmente utile per prevenire la formazione di ghiaccio e il deposito di neve, migliorando la sicurezza e il comfort durante l’inverno.

Inoltre, Radiafloor C ha la capacità di accumulare e rilasciare calore anche dopo lo spegnimento del sistema, garantendo un comfort termico prolungato.

 

di Sara Giusti