Dopo il social housing si profila un nuovo modello di edilizia che affronta la mancanza di alloggi e dispone di abitazioni a un prezzo accessibile e flessibile, stiamo parlando dell’affordable housing, Con progettazione modulare, materiali efficienti, costruzione off-site e… Imprese, architetti e costruttori spiegano come affrontare la fame di alloggi.
In un’Italia sempre più divisa, dove la crisi economica acuisce le disparità tra famiglie, giovani professionisti e studenti, le esigenze abitative stanno mutando rapidamente.
Il mercato immobiliare fatica a stare al passo, ma accanto all’edilizia residenziale pubblica (Erp) finanziata dallo Stato, si fa strada il social housing, con un’iniziativa privata che gode di agevolazioni fiscali e urbanistiche.
Parallelamente, sta emergendo l’affordable housing, cioè abitazioni a prezzo accessibile, un concetto ancora privo di una precisa definizione normativa, un prodotto di puro mercato, che ogni operatore può disegnare come ritiene più opportuno per rispondere alla crescente domanda di appartamenti in locazione a canoni accessibili, spinta dall’evoluzione degli stili di vita e delle strutture familiari.
Entrambi rappresentano una risposta concreta alle crescenti difficoltà economiche che molte famiglie e individui affrontano nel mercato immobiliare tradizionale, con precise differenze.
Social Housing e Affordable Housing
L’affordable housing si configura come una soluzione abitativa flessibile, che può essere offerta sia a canoni calmierati che a prezzi di mercato, mirando a soddisfare le esigenze di specifiche fasce di popolazione.
Il social housing, d’altra parte, si distingue per il suo approccio identitario: oltre a fornire alloggi in affitto o in vendita a prezzi accessibili, punta a creare vere e proprie comunità, gestite da figure professionali che si occupano degli spazi comuni e promuovono la coesione sociale.
Sono modelli abitativi che stanno guadagnando terreno soprattutto nelle grandi aree urbane, dove la pressione economica è più intensa perché le città metropolitane stanno assumendo un ruolo sempre più centrale, con una crescente tendenza alla concentrazione: paradossalmente, più basso è il reddito di un individuo, maggiore è la sua necessità di vivere in una grande città, grazie alla ricchezza di servizi, particolarmente preziosi per chi ha risorse limitate. A patto di trovare un’abitazione a un prezzo adeguato.
Desertificazione
Ma non c’è solo la questione di accessibilità economica: l’affordable housing è anche una risposta alla desertificazione di interi quartieri, dove l’alta percentuale di abitazioni vuote, spesso oggetto di speculazione finanziaria o affitti brevi e brevissimi, sta portando a un progressivo declino della vivibilità e dell’attrattività urbana.
La situazione sta raggiungendo livelli critici, con ripercussioni che vanno ben oltre il settore immobiliare: università come la Bocconi e il Politecnico di Milano registrano un calo di iscrizioni, specialmente tra gli studenti provenienti dal Sud Italia proprio per la difficoltà nel trovare una sistemazione.
Allo stesso tempo, imprese e servizi pubblici faticano a trovare personale, poiché i potenziali candidati non riescono a sostenere gli alti costi degli affitti.
Questi segnali indicano che il problema abitativo è già una questione urgente e rischia di trasformarsi in una bomba sociale.
Investimenti e rendimenti
Il social housing ha aperto una strada di successo, attirando investitori istituzionali anche grazie al ruolo di Cassa Depositi e Prestiti come investitore centrale, che ora guarda a nuove declinazioni dell’affordable housing per attrarre capitali, non solo italiani, con rendimenti intorno al 4,5% lordo.
Le mire sul territorio nazionale, soprattutto da parte di fondi di private equity esteri, sono concentrate sul residenziale frazionato per operazioni veloci o sulla locazione a reddito di fascia alta.
Milano è in pole position, ma anche l’asse Parma-Modena-Bologna mostra indicatori estremamente positivi, grazie alla crescita industriale e universitaria della zona.
Province che attirano residenti, italiani e stranieri, con un impatto positivo per chi vende sul mercato immobiliare, specialmente sul fronte delle locazioni, che però contribuiscono all’emergenza abitativa in maniera decisamente sostanziale.
L’adozione di criteri Esg (Environmental, social, governance) da parte dei gestori non è più un’opzione, ma un requisito fondamentale per raccogliere capitali in futuro e se il social housing è stato un precursore in questo senso, puntando su efficientamento energetico e gestione ambientale, ora anche le Sgr non possono farne a meno.
Per esempio, Investire Sgr, società che gestisce circa 7 miliardi di euro attraverso 55 fondi immobiliari e rappresenta oltre 200 investitori istituzionali, ha il 90% del portafoglio in classe energetica A e assieme a Fondazione Cariplo ha fondato Redo Sgr, società che promuove investimenti immobiliari a impatto sociale, come il Fondo Immobiliare di Lombardia per il social housing.
Un altro segmento in crescita, ed è abbastanza prevedibile con una popolazione che invecchia, sono le case per over 70 senza servizi di assistenza, destinate a una popolazione con una capacità di spesa elevata.
Il caso Milano
Anche se dalla cronaca non si direbbe, anzi la percezione della mancanza di alloggi è sconfortante, Milano è in prima linea nella promozione dell’housing sociale: il Comune ha lanciato la terza edizione di Reinventing Cities, competizione globale promossa da C40 Cities Climate Leadership Group.
Da alcuni ritenuta un’iniziativa troppo limitata e debole, punta in ogni caso sull’abitare accessibile a tutti, con l’obiettivo di realizzare 500 appartamenti in locazione a un prezzo non superiore a 500 euro al mese.
Sei le aree selezionate, per un totale di oltre 40 mila metri quadrati, messi a disposizione dal Comune, Metropolitane Milanesi e Aler Milano. Un mix di edilizia residenziale sociale e pubblica, in locazione e vendita a prezzi calmierati che, però, sembra non bastare.
Il ruolo dell’Europa
Un altro aspetto del problema è quello della gentrificazione e della cosiddetta Airbnbizzazione (affitti brevissimi per turismo) che stanno trasformando il volto delle città europee, ne minacciano l’anima e l’identità in un processo che pare inarrestabile, alimentato da prezzi immobiliari alle stelle e politiche di riqualificazione urbana senza controllo.
Il rischio è quello di creare metropoli asettiche e uniformi: Londra, Parigi, Barcellona, Berlino, Milano: ovunque si assiste allo stesso copione, quartieri un tempo popolari e autentici vengono gradualmente colonizzati da una nuova borghesia benestante e le fasce più deboli della popolazione vengono progressivamente escluse.
Con un impatto sociale ancora tutto da valutare, perché quella mescolanza di censo che da sempre caratterizza il tessuto urbano europeo viene erosa, lasciando spazio a enclave di privilegiati.
Così i legami comunitari si dissolvono, i negozi storici chiudono i battenti sostituiti da boutique e locali alla moda, l’anima dei quartieri svanisce nell’omologazione. Che cosa stanno facendo all’estero per affrontare l’emergenza abitativa?
Le iniziative
In Francia, il governo Macron ha varato nel 2022 un ambizioso piano da 9 miliardi di euro per costruire 200 mila alloggi sociali entro il 2026. L’obiettivo è garantire il diritto alla casa per tutti, in particolare per i giovani e le famiglie a basso reddito.
Parigi sta anche sperimentando forme innovative di coabitazione intergenerazionale per favorire la mixité sociale. La Spagna di Sanchez, invece, ha puntato sulla regolamentazione degli affitti brevi, che stavano sottraendo migliaia di appartamenti al mercato residenziale.
La nuova legge, approvata nel 2022, impone limiti stringenti agli affitti turistici nelle aree più sotto pressione, come Barcellona e Madrid. Parallelamente, sono stati stanziati fondi per ristrutturare edifici sfitti da destinare all’edilizia popolare.
A Ibiza, meta prediletta del turismo internazionale, le manifestazioni contro gli eccessi degli affitti brevi sono all’ordine del giorno. I residenti denunciano di essere stati espulsi dal centro storico, trasformato in un parco giochi per facoltosi visitatori.
Nel Regno Unito, il nuovo governo laburista guidato da Keir Starmer ha annunciato un ambizioso piano per l’edilizia abitativa in Gran Bretagna, con l’obiettivo di costruire 1,5 milioni di nuove case in cinque anni, di cui 150 mila all’anno come edilizia popolare.
Inoltre, verranno introdotti affitti calmierati, maggiori tutele per gli inquilini e nuove forme di proprietà condivisa per aiutare i giovani ad acquistare la prima casa.
Cohousing
Ancora: in Germania, il governo Scholz ha varato nel 2023 un piano da 14 miliardi per costruire 400 mila nuovi alloggi sociali entro il 2030.
Berlino, dove gli affitti sono aumentati del 40% in cinque anni, sta anche valutando l’esproprio degli appartamenti sfitti da tempo per destinarli all’edilizia pubblica.
Infine, l’Olanda, dove la carenza di case a prezzi accessibili è drammatica, ha introdotto nel 2022 un tetto agli affitti nelle grandi città: Amsterdam e Rotterdam stanno anche sperimentando forme di autocostruzione e cohousing per ridurre i costi e favorire la partecipazione dei cittadini.
Il governo olandese ha stanziato 2 miliardi di euro per finanziare 50 mila nuovi alloggi sociali entro il 2025.
Proprietà indivisa
Una soluzione pragmatica è quella della cooperativa a proprietà indivisa, ideata per offrire ai lavoratori appartamenti a canoni accessibili, che ha già dimostrato la sua efficacia a Milano, dove esistono circa 10 mila unità di questo tipo.
Peccato che ne servano molte altre e l’espansione di questa formula si scontra con ostacoli economici significativi: l’aumento degli oneri di costruzione e la scarsità di aree edificabili rendono necessario un intervento pubblico per mantenerne la sostenibilità.
Riconosciuti dalla legge come alloggi sociali, queste abitazioni potrebbero beneficiare di tre misure utili: la prima è una garanzia pubblica sui prestiti, che ridurrebbe il rischio per le banche, abbassando i tassi d’interesse e alleggerendo l’onere finanziario per le cooperative, la seconda prevede finanziamenti regionali a lungo termine, di almeno trent’anni per realizzare alloggi con canoni sostenibili.
Infine, e in questo caso i Comuni sono chiamati in causa, si potrebbe concedere proprietà demaniali degradate o inutilizzate da ristrutturare o ricostruire per realizzare proprietà senza consumo di suolo aggiuntivo. Sono, tra l’altro, idee che si ritrovano nell’opinione di imprenditori e professionisti dell’edilizia.
di Monica Battistoni