Allegro come una marcia funebre è giunto il consueto aggiornamento sui numeri dell’occupazione. Come ha precisato l’Istat, il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni ha raggiunto il massimo storico assoluto: il livello più alto dal primo trimestre del 1977, cioè da quando sono cominciate le rilevazioni statistiche. Il 2013 è partito malissimo: nel primo trimestre 2013 il tasso di disoccupazione è salito a quota 12,8%, altro record che porta a 3 milioni gli italiani senza lavoro. Tra questi, gran parte sono da ascrivere al settore delle costruzioni: in 12 mesi, ha puntualizzato l’Ance, sono stati persi 200 mila posti, causati da un ulteriore crollo della produzione del 12% e con le compravendita di case crollata del 25,8%. Insomma, sembra di assistere a una valanga inarrestabile. Non è il caso di consolarci con il mal comune mezzo gaudio, ma è giusto ricordare che, seppure in maniera diversa, l’emergenza disoccupazione è un dato comune a tutta l’Europa. Rifletterci serve a inquadrare il problema: ad aprile la disoccupazione nell’eurozona è salita al 12,2% (un anno fa era all’11,2%). E la disoccupazione giovanile nella Ue versione euro è volata al 24,4%, con l’Italia (40,5%) superata soltanto da Grecia (63,5% a febbraio), Spagna (56,4%) e Portogallo (42,5%). Insomma, è un problema epocale e che non può essere limitato a un solo Paese. Questo non toglie che bisogna affrontare in tutti i modi l’emergenza. I costruttori, per esempio, chiedono un piano Marshall per la casa, le scuole e il territorio. Non sembra una richiesta così balzana alla luce dei numeri appena elencati. Certo, l’occupazione non si fa per decreto e anche i ritocchi alle regole sui contratti non sono la panacea. Diciamocelo: se un’azienda ha davvero necessità di mano d’opera, assume in un modo o nell’altro. Non è un problema di regole, è un deficit di sviluppo. Se l’impresa delocalizza o non investe non crea posti di lavoro. E su questo il governo può e deve intervenire: abbassare il fisco in busta paga e creare un clima di fiducia sono incentivi che valgono più di tante leggi Fornero o Biagi per creare posti di lavoro. Se le aziende e le famiglie potranno tornare a spendere la disoccupazione si abbasserà. E il Paese ce l’avrà fatta a uscire dal tunnel.