La crisi del vento nella transizione green

Federico-Mombarone
Federico Mombarone | Giornalista

Tutti amano l’ambiente, ma la transizione green da un’economia basata sul consumo di fossili (carbone, petrolio) a un sistema che ricava l’energia da sole, vento e acqua non è facile.

La transizione green più che una passeggiata, in effetti, sembra più simile a un viaggio-avventura. Senza nulla  togliere a chi spinge per l’utilizzo di rinnovabili, non vanno neppure nascoste le insidie di un cambiamento epocale.

L’eolico, per esempio, si è rivelata una fonte di energia meno semplice da gestire di quanto i commenti degli amanti del green sui social, a base di cuoricini, facciano pensare.

Anche se l’energia eolica, cresciuta dell’18%, ha superato il gas. Eppure il maggiore sviluppatore di campi offshore per l’energia eolica, la multinazionale danese Ørsted posseduta per il 50,1% dal governo, ha deciso il taglio di 800 posti di lavoro e il ritiro dai mercati di Spagna, Portogallo e Norvegia.

Motivo: costi in crescita, problemi tecnologici di gestione delle pale, ricavi in calo. L’azienda ha anche ridotto il suo obiettivo di installare una capacità energetica di 50 gigawatt entro il 2030 a 35-38.

E non è solo l’azienda danese a essere in difficoltà: secondo i dati di WindEurope, lobby Ue del settore, gli investimenti in nuovi parchi eolici nel Vecchio continente si sono fermati a 17 miliardi di euro, il livello più basso dal 2009.

Costi alti, regolamentazione e redditività scarsa sono alla base della crisi del vento, che pure contribuisce per il 14% alla produzione di energia in Europa. Senza contare la crisi legata alla realizzazione industriale della turbine, che vede l’Europa competere con la Cina per la leadership globale.

A proposito di Cina: neppure il solare sembra esente da problemi. In Europa solo il 3% dei pannelli solari installati l’anno scorso sono stati prodotti da aziende Ue, mentre oltre l’80% del mercato è controllato da produttori cinesi che li vendono a un prezzo che è la metà di quello delle aziende europee.

Secondo la Ue, i costi dei pannelli cinesi sono tenuti  artificialmente bassi grazie ai sussidi dello Stato e all’uso di lavoro nello Xinjiang, dove sono stati documentati casi di abusi dei diritti umani.

L’utilizzo di energia solare, insomma, è un ostaggio di Xi Jinping, che da Pechino può manovrare le leve del mercato dei pannelli fotovoltaici in Europa. E siamo solo alla prima tappa del viaggio-avventura.

di Federico Mombarone

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