«Non basta avere una bella macchina, serve anche un buon pilota». Così Stefano Morganti, responsabile trade marketing di Kapriol, sprona i rivenditori a innestare una marcia in più, lasciandosi alle spalle vecchi modelli di business, ormai desueti, e aprirsi a nuovi e più interessanti approcci di vendita e distribuzione. Sempre con un occhio all’allestimento del punto vendita.
«Serve cambiare forma mentis, mettendosi dalla parte dell’utilizzatore finale e facilitando
l’esperienza di acquisto, invece che limitarsi a vendere prodotti. Basta considerarsi semplici rivenditori di materiali edile o distributori di merce, è tempo di pensare ai propri punti vendita come a veri e propri negozi».
Specializzata in utensili manuali, abbigliamento da lavoro e dispositivi di protezione individuale, Morganti, azienda proprietaria del marchio Kapriol, distribuito in oltre 40 paesi nel mondo, è al lavoro per offrire ai rivenditori un’innovativa proposta che affianca marketing, visual merchandising, consulenza tecnica e logistica efficiente.
Domanda. I prodotti Kapriol sono presenti in oltre 3 mila punti vendita. Come sta andando quest’anno la distribuzione?
Risposta. Fortunatamente sta andando molto bene. Continua il trend positivo che abbiamo registrato negli ultimi cinque anni e nel 2020 abbiamo anche acquisito nuovi clienti. Credo che il lockdown ci abbia fatto conquistare nuove quote di mercato, anche perché grazie alla nostra organizzazione siamo riusciti a rimanere sempre accanto ai nostri clienti. Da un po’ di tempo, infatti, stiamo cercando di proporci non solo come fornitori, ma come partner, un particolare che fa la differenza e innesca un rapporto di fiducia. Non offriamo solo prodotti, ma anche consulenza tecnica, uno sguardo strategico sul futuro del mercato e risposte a esigenze latenti, non considerando i clienti come puri rivenditori edili ma come veri e propri negozi.
D. Vi aspettavate questo risultato?
R. Il 2020 è stato un anno difficile. Alla riapertura dopo il lockdown, abbiamo registrato performance inedite con risultati davvero entusiasmanti. Abbiamo colmato le perdite di fatturato e, anzi, abbiamo addirittura superato le aspettative: questo è per noi un bellissimo segnale. Tuttavia nella fase attuale, con la seconda ondata di contagi, c’è una lieve flessione dovuta al nuovo clima di incertezza che si è venuto a creare. Anche i clienti sono più cauti e tendono a ordinare lo stretto necessario, senza riempire troppo il magazzino, e stanno aumentando le richieste di mascherine. Stiamo a vedere come si evolveranno le cose, anche se non credo si arriverà alla situazione di marzo.
D. Come avete affrontato il primo lockdown?
R. Ci siamo mossi abbastanza rapidamente, chiudendo l’azienda e cambiando metodo di lavoro. Abbiamo sperimentato per la prima volta lo smart working, idea che avevamo in mente già da tempo, ma che non avevamo mai attuato. Per forza di cose ci siamo invece dovuti strutturare e abbiamo avuto una risposta eccellente da parte dei nostri collaboratori. Inoltre, abbiamo presentato nuove gamme di prodotti, rafforzando innanzitutto il catalogo relativo ai dispositivi di sicurezza e introducendo nuovi articoli studiati ad hoc per l’emergenza sanitaria, come la nuova linea di gel igienizzanti per le mani. Infine, abbiamo partecipato ad azioni di volontariato, distribuendo le mascherine che avevamo a magazzino agli ospedali della Lombardia.
D. Oltre allo smart working, avete attuato anche cambiamenti organizzativi?
R. Lo smart working rimane un’opzione ancora valida, ma in generale questa situazione ha permesso di rendere più fluidi i processi decisionali. Il principale cambiamento ha riguardato la gestione dell’ufficio acquisti e dell’approvvigionamento delle merci. Durante il lockdown ci sono stati inevitabilmente dei ritardi sia nella produzione che nella consegna dei prodotti. Così abbiamo modificato il nostro sistema di rifornimento, cercando di avere meno quantitativi ma più costanti.
D. Avete notato cambiamenti nelle richieste dei clienti?
R. Durante la prima fase inevitabilmente sì, ma dopo la riapertura si è tornati alla normalità. Le richieste sono sempre orientate al rinnovo dei punti vendita, alla digitalizzazione, alla formazione dei venditori come consulenti tecnici. Prima si ragionava solo sul prezzo, ora si guarda molto anche alla certificazione e alle caratteristiche tecniche dei prodotti.
D. Questo atteggiamento è omogeneo per tutti i rivenditori?
R. Ci sono atteggiamenti differenti, dovuti anche a motivi territoriali. Da Nord a Sud cambia la filosofia commerciale, c’è chi è ancora legato alla trattativa del prezzo, chi è più propositivo al cambiamento, chi è più ancorato alle sue radici. Noi abbiamo a che fare anche con la grande distribuzione che ha dinamiche molto diverse dal rivenditore tradizionale. In ogni caso stiamo introducendo concetti vincenti per entrambe le tipologie di clienti.
D. Hand Tools, Safety Tools e Power Tools: qual è il settore che sta andando meglio?
R. Stanno andando tutti molto bene. A causa del covid, quest’anno abbiamo chiaramente avuto un’esplosione per il catalogo dei Safety Tools, ma anche un settore specifico come quello dei dischi da taglio sta inaspettatamente aumentando. Credo comunque che questi risultati siano dovuti a un’acquisizione di nuove quote di mercato da parte dell’azienda, più che a un aumento dei consumi.
D. Uno dei vostri punti di forza sono i servizi per la distribuzione: quali sono?
R. Sicuramente la consulenza tecnica da parte dei nostri rappresentanti, i tempi di consegna molto brevi e non da ultimo il programma Proshop, che consiste in un’offerta sia commerciale che di visual merchandising su misura del nostro cliente. Dopo aver fatto rilievi tecnici sulle metrature disponibili e studiato lo spazio che ci viene concesso all’interno del punto vendita, andiamo a proporre un allestimento corneristico con un’esposizione a scaffale performante e altolocante, che non vada a generare overstock di magazzino. Preferiamo uscire dalla dinamica del prezzo e lavorare sul metro lineare, con proposte personalizzate. L’utilizzatore finale che entra in un corner Kapriol, esteticamente gradevole, ordinato e pulito alla vista, trova una gamma di prodotti in grado di soddisfare anche le richieste più esigenti. E il negozio ci guadagna in immagine e in specializzazione.
D. I prodotti sono ad alto tasso di rotazione?
R. Assolutamente sì. In base alle metrature disponibili e allo spazio che ci viene concesso, la scelta dei prodotti è molto oculata. Non offriamo articoli di nicchia, ma prodotti che, in base al nostro storico e all’esperienza maturata in questi anni, sappiamo avere un’alta rotazione, senza stoccare esageratamente di merce i magazzini. I riordini arrivano praticamente la stessa settimana che viene impiantato il corner.
D. Entro la fine del 2020 contavate di arrivare a cento punti vendita Proshop: ci siete riusciti?
R. Siamo molto vicini al traguardo. Per ora siamo a quota 90.
D. Un altro plus dell’azienda sono i tempi di consegna: come è organizzata la logistica?
R. La logistica è una materia molto complessa. Fondamentalmente abbiamo tre magazzini in Italia: uno in cui gestiamo principalmente abbigliamento e calzature da lavoro; il secondo in cui gestiamo utensileria, dispositivi di sicurezza e power tools con i prodotti a maggiore rotazione; infine, nel terzo stocchiamo i prodotti a più bassa rotazione oppure gli scaffali per gli allestimenti del programma Proshop. Abbiamo una gestione separata tra grande distribuzione e clienti tradizionali con due linee differenti di magazzino e abbiamo dei meccanismi di riordino automatico che ci permettono di gestire in anticipo i trend di consumo.
D. Nel tempo il vostro servizio Proshop si è affinato: in che modo?
R. Inizialmente la proposta era più rigida, con un minimo di 7 metri lineari di allestimento. Oggi il format è molto più flessibile: abbiamo potenziato il servizio di visual merchandising inserendo addetti con competenze anche architettoniche per un migliore studio degli spazi, il cliente può selezionare direttamente gli articoli da inserire e riusciamo a lavorare anche sul singolo metro lineare. La proposta insomma è in continua evoluzione. Proprio quest’anno stiamo pensando a un allestimento delineato già per il tipo di utilizzatore finale: prima si lavorava su tutto il catalogo in modo meno specifico, ora studiamo gli articoli in base ai professionisti dei vari settori che visitano il negozio. Lo scaffale è il primo venditore occulto del magazzino e chi l’ha capito ha aumentato le sue performance.
D. Basta allestire corner all’interno del punto vendita?
R. È fondamentale, ma non è più sufficiente. C’è una regola non scritta per i negozi e le attività commerciali: ogni 20 anni vanno rinnovati. È necessario un restyling per rendere l’attività più performante e far capire la specializzazione del negozio, oltre a renderla esteticamente più gradevole. Ma non basta avere una bella macchina, serve anche un buon pilota. Per questo in primis serve una buona propensione commerciale da parte del venditore, in secundis serve comunicarla. Per questo stiamo insistendo con i nostri rivenditori per sondare altri canali di comunicazione, come i social o l’e-commerce.
D. Con il lockdown le vendite da e-commerce sono decollate. È ormai un trend consolidato?
R. Sicuramente sì, e nei prossimi anni è destinato a crescere ancora di più, rubando fette di mercato ai modelli di vendita tradizionali. Che non moriranno mai, perché il rapporto umano resta comunque fondamentale.
D. Il servizio che offrite è un valore aggiunto, ma questa opportunità è abbastanza compresa dai distributori?
R. Non da tutti. Qualcuno resta scettico perché pensa che sia solo un’azione commerciale vantaggiosa per il fornitore, e non per la rivendita. Ma, dove abbiamo realtà generazionali più giovani il valore aggiunto della nostra proposta viene assolutamente compreso. Si tratta di una partnership tra fornitore e cliente.
D. La partnership tra produttore e rivenditore è davvero un traguardo raggiungibile?
R. Certo, abbiamo già diversi esempi di retailer, sia Gdo che rivendite tradizionali, per i quali questa partnership è stata vincente e continua a esserlo. Per esempio, con Eurobrico da cinque anni abbiamo siglato una partnership molto stretta: ci hanno dato fiducia, hanno introdotto una categoria merceologica, quella dell’abbigliamento da lavoro che prima non trattavano, e stanno avendo molto successo, anche grazie a uno stile di esposizione inedito, tipo shop in shop. Altro esempio quello di Job Specialist, che ha sposato l’azienda dedicando un’esposizione di 500 metri quadrati ai prodotti Kapriol.
D. Che cosa dovrebbe fare, quindi, un distributore?
R. Cambiare forma mentis e non considerarsi più come semplice rivenditore di materiale edile o distributore di merce, ma come un vero e proprio negozio. Iniziare a ragionare di più dalla parte dell’utilizzatore finale e facilitare l’esperienza di acquisto, invece che limitarsi a vendere prodotti.
D. Ogni traguardo è una nuova partenza. Quest’anno avete raggiunto le mete che vi eravate prefissati, quali sono i nuovi obiettivi dell’azienda?
R. Rafforzare la nostra posizione sul mercato e la nostra immagine, per proporci all’utilizzatore finale come azienda leader per il lavoro manuale. Oltre a una maggior reputation aziendale, vogliamo acquisire ulteriori quote di mercato in paesi esteri dove abbiamo già un buon posizionamento ma dove possiamo crescere ancora molto. Infine trasmettere i valori alla base della filosofia aziendale, come ad esempio la sensibilità verso l’ecologia, lavorando con packaging più eco-sostenibilie, realizzando prodotti che utilizzano tecnologie e materiali meno impattanti sull’ambiente, riducendo l’utilizzo di plastica.