C’è una novità che dovrebbe interessare tutte le imprese, anche quelle piccole o, forse, specialmente queste ultime. È l’elezione, il mese scorso, di Vincenzo Boccia alla presidenza di Confindustria. Negli anni passati, inutile nasconderlo, molte aziende hanno vissuto la grande associazione delle industrie come un Moloch capace soprattutto di chiedere contributi per mantenere se stesso, più che un soggetto utile per la vita e la sopravvivenza della maggior parte degli associati. È anche per questo che nel settore legato all’edilizia alcune imprese hanno sentito il bisogno di fare da sole. Legittimo. E, magari, anche utile. Ma ignorare quello che Confindustria ha rappresentato e potrebbe rappresentare per tutti sarebbe un errore. Intanto, perché, piaccia o no, l’associazione di viale Dell’Astronomia associa 150mila imprese, che danno lavoro a 5,5 milioni di addetti. E non c’è solo la Confindustria nazionale con sede a Roma, ma anche 24 associazioni di settore, che a loro volta radunano altre associazioni più specifiche, in 80 associazioni provinciali e 18 associazioni regionali. Insomma, un colosso che riunisce anche soggetti legati al mondo delle costruzioni, come Buzzi e Italcementi, oppure le aziende che fanno capo ad Ance. Ma ignorare il cambiamento al vertice sarebbe un errore soprattutto perché, forse, ora Confindustria potrebbe girare pagina e ricordarsi che la maggior parte del tessuto economico italiano è costituito da Pmi. Non a caso il nuovo presidente, che ha preso il testimone di Giorgio Squinzi, è stato il numero uno della Piccola Impresa. D’accordo, non è la prima volta che accade. Un ex presidente come Giorgio Fossa, per esempio, è stato a sua volta il numero uno dei piccoli imprenditori, prima di ascendere al soglio dell’associazione. Ma erano altri tempi, quando il presidente della Confindustria si eleggeva a Roma, ma si decideva a Torino. La Fiat, però, oggi non fa più parte di Confindustria e, per la verità, non è più neppure un gruppo italiano. Così come Pirelli (cinese) e Italcementi (tedesca). Insomma, ci sono un po’ meno «poteri forti» a condizionare la politica dell’associazione, anche se non bisogna dimenticare che nell’associazione resta pesante l’influenza delle grandi imprese di Stato come Eni che, tra l’altro, vede al suo vertice la ex presidente degli industriali Emma Marcegaglia. C’è, però, la vocazione verso la piccola impresa del neo presidente, che deve affrontare una sfida davvero difficile: evitare la de-industrializzazione di un’Italia stretta tra la crisi dei consumi, effetto che nel settore dell’edilizia si traduce in blocco delle nuove costruzioni, e la necessità di traghettare le industrie verso quella dimensione definita 4.0 che altro non è se non l’applicazione delle nuove tecnologie. Un compito non facile, che però interessa tutte le imprese, anche quelle che non fanno parte di Confindustria.