Non fate una «filiera delle costrizioni»

In qualsiasi corso di economia si insegna che alla base dell’attività di impresa vi è la gestione finanziaria. Come noto, riguarda la raccolta di fondi aziendali e finanziamenti per assicurare l’equilibrio nella gestione del rapporto tra fonti e impieghi, sia nel breve che nel lungo termine. Si insegna inoltre che l’impresa deve perseguire obiettivi di equilibrio finanziario di lungo periodo e che lo scopo principale di una impresa è fare profitti. Dunque la gestione finanziaria è l’elemento strategico che consente ad una impresa di operare nel mercato, in quanto permette di fare adeguati investimenti per lo sviluppo delle attività. Senza investimenti non si crea innovazione, sviluppo e lavoro.

 Fin qui la teoria. Ma nella pratica? Quante imprese, effettivamente, nella loro attività, considerano in modo strategico la gestione finanziaria e quella economica? E quante di esse definiscono specifici obiettivi finanziari di breve e lungo termine? Le domande potrebbero sembrare retoriche, dato che bisognerebbe rispondere «tutte».Eppure non è proprio così.

È sempre e solo colpa delle imprese, oppure il sistema finanziario italiano non supporta adeguatamente sul cammino dell’innovazione, di processo e di prodotto, oltre che di mercati? Anche qui la domanda sembra quasi essere retorica. Per rispondere in modo più argomentato dobbiamo riflettere sul fatto che il sistema di gestione finanziaria di una impresa è dipendente dal sistema finanziario complessivo, perché le aziende si alimentano sia con capitali propri, sia con il debito.

Nella gestione finanziaria di impresa vi sono due ordini di problemi da affrontare. Il primo, interno all’impresa, riguarda l’effettiva capacità di gestione finanziaria, che è soprattutto analisi del bilancio di esercizio, del rendiconto finanziario e degli indicatori in grado di restituire il livello di efficienza dell’impresa, della sua struttura e delle sue leve operative, in una parola di valutarne la redditività. Oggi, nell’attuale situazione economica, tendenzialmente di uscita da una lunga crisi ma di notevoli difficoltà per le imprese, la gestione finanziaria diventa ancora più strategica di un tempo perché la competizione globale e la riduzione dei margini sono punti chiave per il reperimento dei finanziamenti, perché la loro disponibilità e il loro costo sono elementi fondamentali per garantire alle imprese l’operatività.

Le imprese, in particolare quelle del settore delle costruzioni, sono pressate da un lato da crediti spesso inesigibili o di difficile esigibilità (o molto dilazionati nel tempo), come nel caso di quelli vantati nei confronti dello Stato. Da un altro lato, soffrono per i debiti contratti (o da contrarre), che vedono incrementare da parte del sistema finanziario il livello dei tassi di interesse, le richieste di garanzie,quando non addirittura i rientri anticipati. Il secondo fattore, dunque, è esterno all’impresa e non è governabile, perché dipende dalla situazione politica ed economica internazionale e nazionale, ma soprattutto riguarda la struttura stessa del sistema finanziario e le modalità di gestione dell’accesso al credito: invece di supportare l’economia hanno creato effetti depressivi sul mercato. Un settore, quello bancario e finanziario italiano, che a luglio ha registrato una crescita del 5,9% nei depositi e una flessione annua del -3,3% sui prestiti ai privati. Le sofferenze, che nel 2011 erano al 36% sono oggi al 22%, secondo i dati di Banca d’Italia, ma il dato preoccupante è che i prestiti alle società non finanziarie sono diminuiti, sempre su base annua, del 4,1%, proseguendo il trend dei mesi precedenti a giugno.

In sostanza il sistema finanziario italiano raccoglie, e molto, sul mercato, generando una forte liquidità che non viene investita presso le imprese, ma prende altre vie. Vi è una palese e forte contraddizione tra l’iniezione di liquidità che il sistema bancario ha ricevuto dalla Bce nel momento più critico, con tassi all’1% che non si sono poi tradotti in competitività per i prestiti alle imprese. In una fase economica e sociale cruciale come questa, all’inizio di una lungamente attesa e probabile ripresa economica, è evidente che il sistema creditizio deve e può fare molto di più. L’edilizia e le nostre imprese, soprattutto quelle medio piccole e medio-piccole, ne hanno bisogno e dobbiamo tutti impegnarci per superare questi impasse. Anche perché la Bce, nel suo bollettino di luglio, ha evidenziato come le piccole e medie imprese europee, e in particolare quelle italiane, pagano per i prestiti tassi di interessi più alti rispetto alle grandi compagnie.

Se la Bce scrive che «la situazione economica generale, caratterizzata dalla frammentazione del finanziamento bancario e da una dinamica dei prestiti moderata in taluni paesi, rappresenta un contesto difficile per le piccole e medie imprese», c’è da chiedersi quali soluzioni possano essere adottate per agganciare la potenziale ripresa economica. Senza supporto del sistema finanziario è evidente che la ripresa potrebbe subire rallentamenti o, finanche, non manifestarsi. Allora, se da un lato in questo momento da parte delle imprese della filiera delle costruzioni ci vuole molta attenzione alla propria gestione finanziaria, con un vero e proprio salto di qualità nel management e nella capacità di fare scelte strategiche, da un altro bisogna evitare a tutti i costi che, a fronte di una augurata, possibile e vicina ripresa, il sistema finanziario, ponendo eccessivi paletti e blocchi, non trasformi il settore in una poco augurabile «filiera delle costrizioni».

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