Fondi europei, soldi sprecati

La Ue ha reso disponibili all’Italia oltre 127 miliardi, in gran parte per finanziare
opere pubbliche, a cominciare dalla riqualificazione del patrimonio abitativo.
Risultato: il nostro Paese ne ha spesi poco più della metà, per l’incapacità
delle amministrazioni locali di impegnare le risorse. E per i prossimi anni…

In una vecchia trasmissione televisiva di molti anni fa, Maurizio Costanzo alla fine di ogni intervista poneva sempre la stessa domanda a ogni ospite: «Che cosa c’è dietro l’angolo?». La domanda è quanto mai attuale, perché riguarda il nostro futuro, ciò che ci attende, ma di cui non abbiamo conoscenza. Lo scenario socioeconomico e politico mondiale ed europeo è fortemente cambiato negli ultimi anni, non solo per la crisi economica, ma soprattutto per molti cambiamenti politici che hanno inciso e stanno incidendo sugli scenari geopolitici,
i quali hanno riflessi diretti non solo sulle attività imprenditoriali, ma soprattutto sugli investimenti e sulle aspettative dei consumatori. Senza guardare al mondo nel suo insieme, in Europa lo scenario attuale vede crescere molte forze cosiddette euroscettiche, che oggi sono in qualche modo poste di fronte all’incapacità della Gran Bretagna di uscire dall’Europa e di portare a termine la cosiddetta Brexit, e per contro forze che potremmo definire euroconvinte e che supportano l’azione complessiva delle politiche europee, soprattutto sul fronte dell’innovazione, della sostenibilità e dell’inclusività sociale, i tre pilastri complessivi su cui si poggiano le politiche dell’Europa e dei Paesi aderenti.
Ma, al di là delle posizioni, il punto chiave è se come Paese siamo stati capaci in questi anni di promuovere efficacemente queste politiche e di utilizzare pienamente tutti i fondi messi a disposizione. Perché le politiche europee vivono del contributo che gli stati  mettono a disposizione, e l’Italia come Paese fondatore della Ue contribuisce in modo significativo al bilancio europeo, ma riceve anche moltissimi finanziamenti che, purtroppo, spesso non vengono utilizzati e spesi.

INCAPACITÀ AMMINISTRATIVA

Il nostro paese è storicamente debole e in forte deficit sul tema della capacità amministrativa, che si traduce automaticamente in una bassa capacità di spesa dei fondi,
soprattutto da parte di alcune regioni e di alcuni ministeri.
Il punto chiave è che la nostra amministrazione pubblica, abituata da decenni a ridurre la spesa, contenere i costi e realizzare opere al massimo ribasso, si trova in difficoltà quando deve agire senza ribassi, ma al contrario deve utilizzare tutto quanto messo a disposizione. L’Italia attualmente ha un costo pubblico monitorato, incluse le risorse attratte, per i progetti finanziati dalle politiche di coesione europea per gli ultimi due periodi di programmazione (2007-2013 e 2014-2020) di 127,2 miliardi di euro.
Ma siamo nel 2019 e la fase di programmazione politica e attuativa ormai è quasi finita: il settennato di programmazione è quello riferito al periodo 2014-2020. A oggi i pagamenti complessivi monitorati dal sito opencoesione.gov.it sono pari a 69,3 miliardi per un totale di 1.183.365 progetti monitorati. Il dato già evidenzia che a poco più di un anno dalla fine del periodo di programmazione abbiamo impegnato poco meno del 54,4% dei fondi. I progetti conclusi sono solo il 30% del totale e la quota di quelli liquidati, dunque non solo interamente rendicontati ma anche pagati, è pari al 5%.
Il restante 65% si compone del 59% di progetti in corso e del 6% di quelli non avviati. Siamo, dunque, in deficit di spesa, di programmazione e anche di attuazione.
Un vero peccato, perché ciò rischia di mettere a repentaglio i futuri finanziamenti: se un Paese non è in grado di spendere tutte le cifre messe a disposizione spesso, nella fase di programmazione successiva, le quote non utilizzate sono detratte.

DARE E AVERE

Durante le fasi preliminari di programmazione, infatti,vi sono dei negoziati prima con i singoli Paesi e poi con le Regioni, che sono le principali strutture di attuazione locale dei programmi, per definire obiettivi e risorse. Ma se queste risorse messe a disposizione poi in parte non vengono spese l’Europa (e noi che ne facciamo parte) non può che prendere in considerazione che probabilmente i fondi erano eccessivi rispetto ai bisogni effettivi. Semplicemente perché non li abbiamo spesi tutti.
Questo rischio, sempre presente, oggi è ancora più evidente nel momento in cui si sta per aprire la fase di discussione e negoziazione del futuro periodo di programmazione 2021-2027, i cui obiettivi con le loro «alte priorità» sono già delineati e per i quali è già stabilito che, al netto del fondo per lo sviluppo rurale, la dotazione per investimenti Fesr e Fse il nostro paese sarà di almeno 38,5 miliardi. Sono risorse che saranno destinate a sviluppare ricerca e innovazione, aumentare l’efficienza energetica, contrastare il cambiamento climatico, prevenire i rischi idrogeologici e aumentare la resilienza del territorio e delle città alle calamità naturali, aumentare la connettività digitale, migliorare la mobilità urbana sostenibile, incrementare l’accesso al mercato del lavoro, investendo sul sistema scolastico e della formazione e combattendo la povertà.

INNOVAZIONE

Molte di queste azioni interessano direttamente e indirettamente il settore delle costruzioni e tutta la filiera coinvolta, dalla progettazione alla realizzazione, passando per i sistemi produttivi e le diverse filiere di attori coinvolti, con particolare riferimento alle imprese e ai sistemi di innovazione per i quali la Ue chiederà all’Italia di «far crescere il numero e le dimensioni delle imprese innovative nei settori ad alta intensità di conoscenza e con altissimo potenziale di crescita; favorire gli scambi di conoscenze tra enti di ricerca e i settori produttivi, in particolare le Pmi, attraverso partnership  e formazione», come si legge nel documento intitolato Orientamenti in materia di investimenti finanziati dalla
politica di coesione 2021-2027 per l’Italia e disponibile presso la Commissione Europea. Una delle priorità indicata dal documento è migliorare l’efficienza energetica e la resilienza al cambiamento climatico, al dissesto idrogeologico e ai disastri naturali come i terremoti,
un punto chiave nel quale si suggerisce di puntare su una vasta opera di ristrutturazione del patrimonio immobiliare pubblico, dagli alloggi sociali alle scuole e agli ospedali. La vera sfida di riduzione dei consumi, della Co2 prodotta e della rigenerazione urbana si gioca
e si vince non solo e non tanto sul patrimonio privato, ma anche e soprattutto sul patrimonio pubblico.
Altro tema, rilevante, è quello dello sviluppo della rete a banda ultra larga senza escludere le aree cosiddette a fallimento di mercato (cioè non remunerative per le
aziende), per ridurre il gap tra aree urbane e rurali.
E, poi, gli investimenti in trasporti multimodali, a basso impatto ambientale e sull’elettrico, sia nelle aree urbane che a livello nazionale, con particolare riferimento alla Rete di trasporto trans-europea, della quale peraltro la Tav Torino-Lione è uno dei nodi di collegamento strategici.
Sui temi sociali, del lavoro e della formazione si è già detto e i futuri fondi Fse metteranno a disposizione come al solito risorse per incrementare in questi ambiti la nostra capacità, compresa quella delle nostre aziende e dei loro collaboratori.

Messi in un angolo

Per tornare a Costanzo e alla sua domanda: che cosa c’è dietro l’angolo, dunque? Certamente ci sono risorse pronte a essere spese, ma per le quali dobbiamo attrezzarci soprattutto in termini di capacità amministrativa e di fluidificazione dei processi di gestione delle azioni, dalle fasi di programmazione a quelle di esecuzione, realizzazione e rendicontazione dei progetti. Siamo bravissimi a progettare, meno a realizzare. La nostra
storia è piena di buoni propositi, ultimo e non poco rilevante quello relativo alla ricostruzione del ponte Morandi, ma i propositi da soli non bastano.
Dietro l’angolo ci sono risorse e soprattutto obiettivi e azioni, molte delle quali ormai sono parte stabile del Dna delle costruzioni. Temi quali l’efficienza energetica, la riqualificazione e la rigenerazione urbana, il cambiamento climatico e il contrasto agli eventi catastrofici,
con le tante soluzioni proposte da aziende produttrici di materiali e imprese in grado di realizzare interventi efficaci, sono già al centro dell’agenda della filiera delle costruzioni, ma forse non possiamo dire lo stesso dell’agenda politica.

Sensibili alle foglie

La manifestazione mondiale del 15 marzo, mobilitata da una giovane attivista svedese di 16 anni, Greta Thunberg, ha dimostrato che la sensibilità anche delle future generazioni si questi temi è molto alta e la politica non può più ignorare questi temi, messi al centro della
nostra agenda di cittadini con grande lucidità e capacità da papa Francesco con la sua enciclica Laudato si’. La tabella di marcia europea per impostare le politiche del
futuro, e rispondere anche alle richieste delle future generazioni, cioè dei nostri figli, è già tracciata.
Abbiamo di fronte poco meno di due anni di negoziati tra la Commissione Ue e gli Stati membri, per arrivare all’adozione di buona parte dei Programmi operativi sulla base dei
quali saranno spesi i fondi strutturali europei 2021-2027.
È anche questo un passo importante verso il futuro, un futuro che ha un angolo che si chiama Europa, un angolo che a maggio vedrà un passo importante con le elezioni europee.
Ma la risposta vera e ineluttabile è che dietro l’angolo ci sono e ci devono essere politiche
di innovazione e sostenibilità, le stesse sulle quali sono impegnate da anni le imprese più competitive del nostro settore. E ci sono soprattutto finanziamenti, e sarebbe un vero peccato perderli.

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