Il prossimo numero allegato a YouTrade, lo Speciale Drenaggio, dedicato alla gestione della risorsa idrica, andrà a trattare argomenti di siccità e allagamenti in Italia, interventi di prevenzione per il dissesto del territorio e necessità di ridurre i troppi sprechi.
Un anno c’è la Romagna allagata. Sei mesi dopo la Toscana sommersa. Passano altri sei mesi e Valle d’Aosta e Piemonte sono messe alle corde con danni ingenti per smottamenti e frane. È la cronaca più recente, quella dei giorni scorsi: Cogne isolata, allagamenti nel centro di Cervinia, danni ai ponti e alcune valli tagliate fuori con maxi-evacuazioni nel Verbano-Cusio-Ossola. E non si tratta di allarmi esagerati per disagi legati a semplici temporali estivi. A Cogne, per esempio, la violenza delle precipitazioni è stata tale che l’acquedotto è stato portato via dal torrente.
Gestione delle acque
Ma la gestione delle acque non è un’emergenza legata solo agli eventi estremi del meteo. È un problema più generale del sistema-Paese. Un’emergenza a cui YouTrade ha deciso di dedicare un intero approfondimento, Speciale Drenaggio, che sarà allegato con il prossimo numero della rivista. Un fascicolo che ha l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sui pericoli, le necessità e gli strumenti per affrontare l’emergenza legata alla risorsa-pericolo acqua.
Lo speciale conterrà informazioni su materiali, soluzioni e case history legate alla gestione idrica, che saranno affiancate da analisi sulla situazione dal punto di vista economico e idrogeologico. Due aspetti inscindibili e che, per esempio, sono legati agli investimenti del Pnrr, che ha tra i suoi obiettivi la cura del territorio.
Il Pnrr fa specifico riferimento a investimenti in infrastrutture idriche primarie per la sicurezza dell’approvvigionamento idrico e alla riduzione delle perdite nelle reti di distribuzione dell’acqua, compresa la digitalizzazione e il monitoraggio delle reti, con investimenti per un importo totale pari a quasi 4 miliardi di euro. Inoltre, di recente il ministero delle Infrastrutture ha integrato risorse per 1 miliardo di euro dopo il ridimensionamento degli obiettivi del Piano di resilienza deciso dal governo.
C’è, poi, il Pniissi, che è un piano più specificatamente orientato all’approvvigionamento idrico primario, con particolare riferimento alle infrastrutture. Questo obiettivo ha raccolto richieste per un importo di oltre 13,5 miliardi di euro, ma è ancora in attesa la delibera sull’ammontare delle risorse disponibili. Insomma, sulla carta ci sarebbero anche fondi. Sulla carta, appunto.
Siccità e allagamenti in Italia
Ma la necessità di intervenire è impellente, non solo per evitare i disastri legati alle precipitazioni sempre più intense e concentrate nel tempo, lo indicano anche i dati relativi a un’altra emergenza, paradossalmente speculare: quella della siccità che inaridisce una parte del territorio italiano.
Una carenza di acqua che è causata dalla diminuzione delle piogge in alcune aree, figlia del trend metereologico, ma anche della cattiva gestione delle risorse presenti. E le prospettive non sono per nulla positive: secondo l’European climate risk assessment, pubblicato a marzo, l’Italia sarà esposta ad alti rischi in termini di aumento delle temperature medie, frequenza delle ondate di calore e cambio del regime delle precipitazioni, che si fanno meno frequenti, più abbondanti e concentrate nello spazio, con conseguenti fenomeni emergenti di alluvione e siccità.
Disperso il 40% delle acque
L’ultimo rapporto Istat lo mette in chiaro: oltre il 40% dell’acqua immessa nella rete, cioè 3,4 miliardi di metri cubi, vengono dispersi ogni anno. Tra l’altro, l’Italia consuma parecchia acqua in assoluto: il prelievo complessivo nazionale di potabile arriva a oltre 9 miliardi di metri cubi all’anno. Gli analisti del rapporto hanno reso l’idea del disastro con un semplice calcolo: è come se ogni italiano, ogni giorno, gettasse senza utilizzarli 157 litri di acqua.
Un problema, quello degli sprechi, che si trascina da decenni, da sempre. Ma il problema è che è peggiorato invece di migliorare. Basti ricordare che nel 1999 la perdita di acqua dalla rete idrica era di circa il 10% inferiore.
Oggi l’acqua che si perde senza essere utilizzata equivale al consumo annuo di tre quarti della popolazione italiana. È un dato che avrebbe dovuto spingere i governi, al plurale, a intervenire. Ma le risorse destinate a qualcosa che non si vede (e che non porta voti) sono state sempre troppo scarse.
Scarsa manutenzione
Eppure, la causa dell’emergenza è nota: tubature obsolete, rotture non riparate, scarsa manutenzione, senza contare impianti e allacci abusivi, a cui si deve aggiungere quella quota di perdite ineliminabili e gli errori commessi nelle misurazioni. E se la gestione dell’eccesso di precipitazioni e, dunque, di allagamenti, è la piaga che tormenta periodicamente il Nord, sono le regioni del Sud, dove piove meno, quelle che disperdono di più.
Sembra un paradosso, ma dove c’è meno acqua a disposizione se ne perde di più: in testa, nella poco edificante classifica dello spreco, l’Istat ha individuato la Basilicata, dove il 65% dell’acqua scompare senza essere utilizzata.
E non stupisce che nel Mezzogiorno si concentrino le maggiori lamentele degli utenti: l’8,9% dei cittadini lamenta disservizi nell’erogazione. In Calabria, per esempio, a segnalare una cattiva erogazione di acqua sono quasi il 40% delle famiglie e il 30% in Sicilia.
Paradossalmente, dove l’acqua abbonda la gestione è anche più oculata: Bolzano, Emilia-Romagna e Val d’Aosta vantano dispersioni inferiori al 30%, per non parlare di Como, che ha a disposizione un intero lago, ma si lascia sfuggire solo il 9% dell’acqua.
Siccità al sud
Attenzione: la cattiva gestione della risorsa non è un problema solo per i singoli cittadini, ma ha anche un riflesso pesante nell’economia. A partire dal settore agricolo, che è il maggiore utilizzatore di risorse idriche e assorbe circa il 50% di tutta l’acqua impiegata in Italia. Quest’anno, poi, la siccità al Sud è risultata particolarmente drammatica: in Sicilia decine di Comuni hanno dovuto razionare l’acqua e i bacini a uso irriguo hanno segnato deficit superiori al 70%. Idem in Sardegna, mentre in Calabria gli invasi si sono riempiti solo per la metà e in Puglia la situazione è analoga.
La dispersione e la conseguente mancanza di acqua è causata dalla scarsa o nulla manutenzione ed è utile fare qualche esempio pratico. In Italia ci sono 532 grandi dighe con sbarramento di altezza superiore a 15 metri o con volume di serbatoio superiore a 1 milione di metri cubi di acqua, che servono alla distribuzione della risorsa blu.
Ma secondo la commissione Attività Produttive della Camera, per almeno 155 dighe non si fa opera di manutenzione da 60 anni. E se la Basilicata è la regione con il peggior risultato nella gestione delle acque, è il caso di citare l’invaso in terra battuta più grande d’Europa, quello di Monte Cotugno, lungo il corso del fiume Sinni, in provincia di Potenza.
Qui i lavori per la realizzazione del nuovo manto bituminoso dello sbarramento sono fermi da 16 anni e impediscono alla diga di essere riempita completamente. Milioni di metri cubi di acqua del fiume sono così dispersi in mare, mentre potrebbero essere destinati all’agricoltura.
Ci vuole un ministero
Come fare? «Nei prossimi decenni l’Italia scivolerà progressivamente, ma inesorabilmente, verso un’area climatica assai prossima a quella di Paesi come Siria, Iran, Iraq, Tunisia, che convivono stabilmente con la presenza di ampie aree desertiche e atavica scarsità della risorsa acqua», è l’allarme di Donato Berardi, Michele Tettamanzi e Samir Train, tre esperti di Ref Ricerche, una società indipendente che affianca aziende, istituzioni, organismi governativi nei processi conoscitivi e decisionali.
A loro giudizio l’emergenza nella gestione della risorsa idrica è tale che l’Italia dovrebbe seguire l’esempio di Paesi come Cina o Australia, che hanno istituito un apposito ministero dell’Acqua per coordinare investimenti e interventi. Questo dicastero in Italia potrebbe disciplinare l’accesso alla risorsa blu e definirne un costo d’uso coerente con il valore dei suoi diversi impieghi.
La parola costo, però, fa rizzare i capelli alla maggior parte degli italiani. Che ci sia un prezzo da pagare per avere a disposizione l’acqua cozza con l’idea che la risorsa idrica sia una risorsa gratis e guai a chi la tocca (e, soprattutto, la fa pagare). Un concetto radicato nella mente dei cittadini, ma anche alla stragrande maggioranza dei politici. Il gratis, però, come insegna il superbonus 110%, ha le gambe corte, come le bugie.
di Alessandro Bonvicino