Beppe Sala (neo sindaco di Milano): ci vuole una migliore gestione delle case popolari, con maggiore attenzione all’estetica e al verde durante la costruzione di nuove aree residenziali. Virginia Raggi, neo sindaco di Roma: la casa è un diritto per tutti, l’obiettivo è censire tutto il patrimonio immobiliare romano, così da recuperare tutte le case disponibili. Luigi De Magistris, sindaco di Napoli: adozione della knowledge economy, per rafforzare i progetti intrapresi sulle smart cities, per il quale Napoli si è già distinta. Chiara Appendino, neo sindaco di Torino: è necessario partire dal ridisegno e dalla progettazione del territorio, tramite ciò che definiamo urbanistica sostenibile, responsabile.
Non occorre schierarsi a favore di un fronte politico o per l’altro per trarre una conclusione poco confortante: i programmi dei neo eletti o riconfermati primi cittadini delle maggiori città italiane brillano per l’assenza di idee riguardo alla riqualificazione delle metropoli che stanno per governare. Non è una dimenticanza da poco. Il più vagamente interessato al problema sembra l’ex commissario all’Expo, che si propone almeno di risistemare le case popolari (ma dovrà fare i conti con la Regione Lombardia, che è la proprietaria di quasi tutti gli immobili) e si preoccupa di regolare le nuove costruzioni. Per gli altri sindaci, invece, il problema della riqualificazione urbana, del decoro e dell’efficienza delle case che costituiscono la città, sembra invece non esistere o essere qualcosa di molto, molto vago. D’accordo, non è un problema che può essere risolto solamente da una giunta comunale. Ma non bisogna dimenticare che il Comune ha un potere normativo molto forte. Lo dimostra la passata giunta di Milano, che due anni fa ha approvato un nuovo regolamento edilizio, che prevede modifiche non di poco conto (un esempio: ora una abitazione può essere anche di soli 28 metri quadri).
Dai neo sindaci, invece, dai programmi non traspare o quasi l’intenzione di impegnarsi per un razionale utilizzo del patrimonio residenziale. Pochi esempi che avrebbero potuto figurare nei programmi presentati ai cittadini: regolare le norme sul riscaldamento domestico per incentivare un migliore isolamento termico degli edifici. Oppure proibire le orribili parabole che spuntano da finestre e balconi sulle facciate delle case, iniziativa che significherebbe razionalizzare gli impianti, oltre che migliorare l’aspetto delle città. Ancora: nei programmi non si legge nulla sul problema dei graffiti, i famigerati tag che, tra l’altro, deprimono il valore di un immobile. Al contrario, i pochi neo eletti che accennano a progetti di sviluppo rimangono nelle buone e fumose intenzioni programmatiche.
Come mai questa omissione? È disinteresse? Ignavia? Timore di non riuscire a realizzare una promessa elettorale? Chissà. Eppure su questo i sindaci potrebbero intervenire, e a costo zero (qui non c’entrano i tagli al bilancio). Sono appena stati eletti: quattro anni per farlo dovrebbero bastare.