Sono passati esattamente vent’anni dalla prima direttiva europea sull’efficienza energetica degli edifici (la direttiva 2002/91/EC è del 16 dicembre 2022) e molta energia, verrebbe da dire, è stata consumata da allora.
L’Unione Europea ha spinto sempre più sulla riduzione del consumo energetico del patrimonio costruito (ndr tanto che è di qualche giorno fa la notizia della stretta sull’efficientamento energetico con la nuova direttiva green dell’UE che dovrebbe essere approvata entro il 24 gennaio dalla Commissione energia del Parlamento UE per poi arrivare all’approvazione definitiva entro il 13 marzo 2023) , attraverso una serie di regolamentazioni e pacchetti normativi che possiamo sintetizzare nella cronologia seguente:
• Direttiva 2002/91/CE – la prima Energy Performance of Buildings Directive (Epbd)
• Direttiva 2010/31/UE – la cosiddetta Epbd Recast, dove l’approccio energetico era inquadrato e pianificato per tutti gli Stati membri, con l’introduzione a regime di edifici ad altissima prestazione energetica, cioè con fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo e coperto in misura significativa da energia da fonti rinnovabili
• Direttiva 2012/27/UE – che imponeva agli Stati membri di definire obiettivi nazionali indicativi in materia di efficienza energetica
• Direttiva 2018/844/UE – che ulteriormente promuoveva il miglioramento delle prestazioni energetiche degli edifici, tenendo conto delle condizioni locali e climatiche esterne, e dell’efficacia sotto il profilo dei costi
Il 15 dicembre 2021 la Commissione Europea ha adottato un’importante revisione della Epbd, nell’ambito del pacchetto Fit for 55. Quest’ultimo consiste in diverse proposte legislative per raggiungere il nuovo obiettivo dell’Ue di una riduzione minima del 55% delle emissioni di gas a effetto serra (Ghg) entro il 2030 rispetto al 1990, quale parte fondamentale del Green Deal europeo, che punta a fare dell’Europa il primo continente a emissioni zero entro il 2050.
Resta il fatto che a partire dal 2021 tutti i nuovi edifici devono essere edifici a energia quasi zero (nZeb sta per nearly Zero Energy Building), dal 2019 per quelli pubblici. Inoltre, in caso di vendita o locazione di un immobile è necessario rilasciare attestati di certificazione energetica e predisporre schemi di controllo degli impianti di riscaldamento e condizionamento.
La rinnovata Epbd si allinea con l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra, introducendo questa volta l’obbligo di realizzare nuovi edifici ad emissioni zero a partire dal 2028 (pubblici), e dal 2030 (privati).
Come si vede, l’Unione Europea, pur con tutte le difficoltà rappresentate dalla crisi energetica globale esplosa nell’ultimo anno, procede sistematicamente lungo un percorso progressivo, che passa attraverso l’approvazione di direttive via via più stringenti e la loro conseguente applicazione a livello nazionale.
Se il percorso Ue è lineare, quello proposto dai protocolli dell’International Living Future Institute, che Lfe promuove in Europa, è come al solito più radicale e urgente. La considerazione di partenza è semplice: l’attuale livello di emissioni globale richiede azioni immediate e, per quanto riguarda l’ambiente costruito, la realizzazione a regime e senza indugi di edifici a zero emissioni.
Per farlo, le strategie progettuali esistono, le tecnologie sono disponibili sul mercato, per cui non vi è motivo per ritardare un approccio non più procrastinabile.
Gli edifici consumano oltre il 36% dell’energia utilizzata a livello globale, la maggior parte prodotta tramite combustibili fossili. Ciò determina che il settore edile rappresenti circa il 39% delle emissioni complessive di gas serra che, a loro volta, hanno causato un allarmante aumento delle temperature globali.
Dove le direttive Ue parlano di edifici a energia quasi zero, la certificazione Zero Energy dell’International Living Future Institute (Ilfi), nata nella sua prima versione nel 2013 e rivista integralmente nel 2018, prefigura invece edifici definitivamente a bilancio energetico nullo o addirittura positivo, in sostanza colmando quel piccolo scostamento che la normativa europea ancora prevede.
Questa certificazione è l’unico standard globale, verificato da terza parte, che premia progetti di edifici realizzati con alte prestazioni energetiche, interamente coperte da energia rinnovabile prodotta sul posto, e senza combustione di fonti fossili. Il tutto misurato, come usuale per i protocolli Ilfi, lungo un periodo di monitoraggio di almeno dodici mesi dall’inizio dell’occupazione dell’edificio.
Dove sono e quanti sono gli edifici Zero Energy?
Contiamo al momento più di 200 progetti Ze registrati nel mondo, dei quali un’ottantina certificati, con il primo edificio certificato in Europa, Casa Sn, proprio in Italia, in Trentino Alto Adige, a pochi chilometri dal Lago di Garda, che si contraddistingue appunto per produrre da fonti rinnovabili più energia di quella che consuma.
Qualche indicazione tecnica. La progettazione ha favorito il raffrescamento e la ventilazione naturali nella zona giorno, mentre le sporgenze del tetto consentono un ombreggiamento naturale. L’estrazione della ventilazione meccanica è provvista di recupero di calore. L’illuminazione è controllata manualmente, le luci esterne sono dotate di sensori di movimento. Un quadro di controllo consente di monitorare le prestazioni. Il riscaldamento degli ambienti è realizzato mediante pannelli a pavimento. L’impianto di ventilazione e produzione acqua calda è al 100% elettrico ed è costituito da una pompa di calore aria/acqua supportata da pannelli solari termici, e collegata a un pozzo d’acqua utilizzato come accumulo di energia termica sensibile. Tutta l’energia elettrica necessaria è generata in loco con pannelli fotovoltaici.
Il progetto rende omaggio anche alle tradizioni vernacolari locali, con l’installazione di un caminetto, generalmente utilizzato in questa zona montana per motivi ornamentali (un’eccezione al divieto di combustione consentita dai protocolli Ilfi per motivi di tradizione locale).
Al termine del primo anno di monitoraggio richiesto per la certificazione, questa villa aveva prodotto (da fonti rinnovabili) il 17% di energia in più di quella consumata, in assenza di bollette dei consumi, se si eccettuano quelle elettriche derivanti dal necessario scambio sul posto previsto dalla regolamentazione nazionale. Non solo zero quindi, ma a energia positiva, così come positivo è il ritorno economico.
di Carlo Battisti da YouTrade n. 134
Laurea in Ingegneria Civile al Politecnico di Milano ed esperienza di circa vent’anni in imprese di costruzioni. Master di secondo livello in Gestione aziendale e sviluppo organizzativo presso Mip, Business School del Politecnico di Milano. Professionista accreditato Leed e Well, Project manager certificato Ipma. Professionista accreditato Living Future, Reset e Gbc Italia. Usgbc Faculty e Well Faculty. Dal 2019 è presidente di Living Future Europe. www.living-future.eu