Qualche tappo di champagne ha solcato l’aria a fine luglio, quando Istat e Eurostat hanno pubblicato i dati relativi allo stato di salute dell’economia italiana ed europea. In effetti, una crescita del Pil dello 0,7% sull’intero 2024 è meglio rispetto a molte previsioni pessimistiche di inizio anno. Ma se il governo (come tutti i governi) è ottimista per obbligo istituzionale, non bisogna nascondere che il bicchiere mezzo pieno è allo stesso tempo mezzo vuoto.
La buona notizia è che nel secondo trimestre dell’anno l’attività economica ha rallentato, ma senza fermarsi. Anche se non bisogna nascondere che l’Italia cresce molto meno della Spagna e comunque meno della Francia. Ma, con una certa soddisfazione, c’è chi a Roma ha sottolineato come la Germania sia messa peggio, con un misero +0,2% rispetto al primo trimestre. Eppure, la notizia dovrebbe preoccupare: la Germania è il primo partner italiano per le esportazioni, che lo scorso anno hanno raggiunto i 77,5 miliardi. Dunque, se i tedeschi spendono e producono meno, riducono anche gli acquisti e per l’Italia sono guai. Lo sottolinea Confindustria: il Centro studi dell’associazione delle imprese ha lanciato un allarme per il netto calo del fatturato: -1,6% a giugno, in base al Real Time Turnover Index. Diminuzione che segue quella di maggio anche se, considerando i primi sei mesi, la dinamica nel complesso è positiva. Il Centro Studi di Confindustria sottolinea anche che la flessione di giugno è diffusa in tutte le aree, ma più contenuta nel Nordest e al Sud.
A questi dati si devono aggiungere due considerazioni. La prima è che lo 0,7% è stato ottenuto anche grazie alla spesa pubblica, cioè ai cascami del superbonus, che ha fatto sentire ancora il suo effetto nei primi mesi dell’anno, visto che ha attivato nuovi lavori per oltre 20 miliardi di euro. Grazie all’edilizia, insomma, il governo potrebbe alla fine centrare a fine anno l’obiettivo della crescita dell’1%, anche se allo stesso tempo ha provveduto a smontare il meccanismo degli incentivi fiscali. La seconda considerazione, meno esaltante, riguarda l’ossatura dell’economia italiana, che è e resta manifatturiera. Ma proprio le imprese produttrici scontano oggi un forte gap nel costo dell’energia. È un problema che riguarda da vicino anche la filiera dell’edilizia: chimica, materiali edili, ceramica, lavorazioni dei metalli, packaging, cemento, laterizi sono tutte attività energivore. Queste imprese non solo hanno a che fare con l’inevitabile rallentamento dell’edilizia dovuto allo stop dei bonus, ma devono anche fare i conti con un costo dell’elettricità che a giugno era del 42% più alto rispetto alla Germania, del 174% maggiore che in Francia e dell’84% più che in Spagna. Secondo un’analisi, le circa mille fonderie che forniscono metalli industriali, rispetto a un anno fa hanno perso un decimo del fatturato. In compenso, il Pil è spinto dal turismo e dai servizi. Ma i turisti, come insegna la storia, vanno e vengono secondo mode, disponibilità e congiunture, senza contare le tensioni internazionali. Insomma, le buona notizie squillate sui giornali non devono far dimenticare le zone d’ombra dell’economia: l’ottimismo cieco può essere più pericoloso dell’endemico pessimismo.