La riduzione dei consumi energetici e la necessità sempre più impellente di affrontare la questione delle emissioni in atmosfera costituiscono una sfida a livello mondiale non più procrastinabile, anche rispetto al tema del cambiamento climatico.
È una questione che da anni sembra unire i leader dei Paesi tecnologicamente più avanzati, con la lunga serie delle conferenze che, nei fatti, continua a ritardare e a disattendere gli obiettivi nel difficile tentativo di condividere la responsabilità per un futuro più sostenibile.
Efficientamento e riqualificazione
La gestione dell’efficientamento energetico riguarda gli edifici esistenti, con lo scopo di migliorarne la classe energetica, ma anche le nuove realizzazioni, con modelli architettonici e soluzioni tecnologiche in grado di assicurare il fabbisogno termico con il minore consumo energetico.
In pratica, si tratta di ottimizzare il rapporto tra emissioni in atmosfera e rendimento dei consumi con una particolare attenzione al comfort abitativo.
In termini edilizi, la questione della riduzione dei consumi e della dispersione del calore riguarda i principi di isolamento termico. In termini impiantistici, il miglioramento dell’efficienza energetica dipende da un minore consumo di energia a fronte di un maggiore rendimento.
Maggiore è la capacità di un edificio di limitare la dispersione termica e minore sarà il consumo energetico per mantenere le condizioni di benessere abitativo.
Quindi, un isolamento termico funzionale con impianti di riscaldamento-raffrescamento efficienti. L’insieme di più edifici riqualificati determina un sistema urbano con minori consumi di energia e minori emissioni in atmosfera.
Qualità dell’aria
In realtà, senza avere la presunzione di voler affrontare in termini troppo semplicistici una questione particolarmente complessa, può essere utile richiamare i rischi riconducibili alle emissioni di Co2, in particolare quelle contenenti le microparticelle Pm2,5 (che conosciamo come polveri sottili più piccole delle Pm 10), ovvero attribuibili all’esposizione di particolato sottile (Pm 2,5), ozono (O3) e biossido di azoto (NO2).
Quanto il particolato sottile sia attribuibile all’inquinamento degli impianti di riscaldamento piuttosto che a quello degli scarichi dei veicoli lo rileva uno studio condotto dal Politecnico di Milano sulle principali fonti di inquinamento urbano impattanti per la qualità dell’aria.
L’analisi ha rilevato che gli impianti termici degli edifici hanno un’incidenza sul totale delle emissioni di Co2 in ambito urbano fino a sei volte superiore rispetto ai valori del traffico veicolare.
Questo significa che gli impianti di riscaldamento degli edifici, nelle principali città italiane, contribuiscono per il 64% alle emissioni di Co2 contro il 10% derivante dal traffico veicolare e il 26% derivante dalle attività industriali (dati Osservatorio Promotec).
Ovviamente, il dato non può essere considerato omogeneo in ambito nazionale, ma permette una valutazione media sulla dimensione del problema.
L’isolamento termico
L’isolamento termico dell’involucro edilizio rappresenta un elemento essenziale dell’efficientamento energetico, parallelamente alla trasformazione degli impianti di riscaldamento con la sostituzione delle caldaie a elevata emissione di Co2.
L’efficientamento energetico prescinde dalla questione puramente edilizia, per quanto nella maggior parte dei casi costituisca anche un processo di riqualificazione dei manufatti in termini di rinnovamento estetico dei prospetti e di miglioramento funzionale, contribuendo alla salubrità e al comfort abitativo.
Parlare di isolamento termico, tuttavia, non significa solo riferirsi a una soluzione chiara e univoca, ma a una serie di tecnologie e materiali con specifiche metodologie applicative.
Una questione che, in particolare dagli anni delle prime crisi energetiche, ha innescato un’ampia ricerca di materiali attraverso una lunga sperimentazione proiettata alla identificazione di soluzioni che potessero assicurare il rispetto di norme sempre più stringenti.
Differenti temperature
Per comprendere che cosa si intende realmente per isolamento termico è necessario considerare l’edificio come un involucro edilizio, composto da strutture verticali e orizzontali, ciascuna costituita da strati di materiali sovrapposti dotati di un’inerzia termica caratteristica, la cui sommatoria determina una resistenza termica globale.
L’isolamento termico è la risposta alla dispersione del calore che si verifica per differenza di temperatura tra ambiente interno ed esterno. Per chiarire meglio come avviene questo passaggio può essere utile richiamare i tre principi fondamentali della termodinamica:
- trasmissione per conduzione quando il passaggio di calore avviene, prevalentemente nei corpi solidi, dalla zona a temperatura maggiore verso quella a temperatura minore
- trasmissione per convezione quando il calore può propagarsi nella materia come fenomeno tipico dei fluidi, ossia liquidi e gas
- trasmissione per irraggiamento quando il calore avviene indipendentemente dalla presenza di corpi solidi per mezzo di radiazioni elettromagnetiche.
L’involucro edilizio, che è un corpo solido complesso, costituito da una serie di materiali sovrapposti, quando è sottoposto a differenza di temperatura tra la parte interna e quella esterna subisce il passaggio di un flusso di calore (energia) dalla sezione a temperatura più calda a quella più fredda, ovvero per conduzione.
I materiali solidi costituenti l’isolamento termico riducono la trasmissione di calore per conduzione.
Maggiore è la capacità di un materiale di impedire il passaggio di calore e maggiore è il suo isolamento termico, così che i migliori materiali isolanti sono i cattivi conduttori, la cui maggiore capacità isolante dipende dalla minore densità volumica.
La trasmissione del calore
Conoscere la capacità di trasmissione del calore di ogni singolo materiale, ovvero la caratteristica isolante, permette di calcolare nella stratigrafia della struttura il valore di isolamento termico complessivo, quindi la prestazione termica dell’involucro edilizio.
Il valore di isolamento termico di un materiale è determinato dalla misurazione a laboratorio del gradiente termico, attraverso uno spessore stabilito a livello normativo, che permette di definire il coefficiente di conducibilità termica λ (lambda W/m•K).
Il coefficiente isolante di un materiale dipende dalla capacità o meno di trattenere calore o di cederlo, quindi minore è la perdita di calore e maggiore è la capacità isolante del materiale.
Con il coefficiente lambda λ è possibile calcolare la Resistenza termica R (m2k/W), ovvero la quantità di calore trattenuto dal materiale in relazione al suo spessore.
Il rapporto tra lo spessore del materiale e il suo coefficiente di conducibilità termica λ determina il valore singolo di resistenza termica R, che sommato per tutti gli strati componenti la struttura determina la resistenza termica globale.
Con la resistenza termica globale è possibile calcolare la trasmittanza termica, ovvero la capacità isolante di un elemento, con un flusso di calore che attraversa la superficie unitaria sottoposta a differenza di temperatura di 1 grado, in relazione alle caratteristiche del materiale e alle condizioni di scambio termico liminare.
Il valore è inversamente proporzionale alla sommatoria delle resistenze termiche, pertanto minore è il valore U e minore sarà la perdita di calore con un maggiore effetto isolante.
Isolamento e involucro
L’isolamento termico dell’involucro edilizio può essere realizzato con soluzioni diverse, sia per posizionamento degli strati isolanti, sia per scelta dei materiali.
La valutazione del migliore posizionamento deve essere eseguita con un’analisi della stratigrafia della sezione muraria e in base alla tipologia dei materiali isolanti.
La determinazione della prestazione termica, per il relativo calcolo di beneficio energetico nel rispetto delle prescrizioni normative, deve rispondere anche ai requisiti minimi sulla sostenibilità ambientale dei materiali utilizzati.
Il posizionamento dell’isolamento termico è il primo gradino del processo, dipendente dal tipo di intervento se riferito a nuova realizzazione o a ristrutturazione di fabbricato esistente.
Nel primo caso la scelta è di tipo progettuale ed è più ampia, mentre nel secondo deve essere adeguata alla tipologia delle strutture esistenti, normalmente con rivestimento termico esterno o interno, oppure con riempimento di intercapedini se presenti.
In linea di principio possiamo affermare che l’isolamento ha come fattore comune, indipendentemente dalla sua posizione, quello di favorire il riscaldamento più rapido possibile dei locali interni e di ridurre il tempo di raffreddamento.
Attenzione ai ponti termici
Il rivestimento esterno dell’involucro edilizio costituisce la soluzione progettuale che garantisce meglio di altre l’isolamento globale con la riduzione dei ponti termici di pilastri e solai.
Il rivestimento interno invece tende a sacrificare parte dello spazio dei locali per lo spessore dei materiali, ma non ottimizza la componente termica della parete in quanto non elimina i ponti termici che tendono a disperdere il calore verso l’esterno.
Si tratta di una procedura utilizzabile negli interventi di ristrutturazione dell’esistente, quando non è possibile realizzare altri tipi di isolamento termico.
L’isolamento intermedio consiste nell’accoppiamento di doppie pareti nelle nuove costruzioni o nel riempimento delle intercapedini vuote delle strutture murarie esistenti.
Si tratta di una soluzione che ottimizza il comfort dell’ambiente interno sommando l’inerzia termica della sola parete interna, ma anche in questo caso restano attivi i ponti termici.
Il cappotto
In sostanza, l’isolamento esterno, più noto come sistema a cappotto, riveste completamente la struttura muraria trasformando la parete in un elemento di accumulo del calore, utilizzando l’inerzia termica dell’intera parete con una buona riduzione dei ponti termici nel controllo esecutivo del dettaglio.
La cessione lenta del calore in inverno e la limitazione del surriscaldamento in estate rendono la soluzione particolarmente efficace. È importante non sottovalutare la riduzione dei ponti termici, perché costituisce un fattore di penalizzazione rilevante.
I punti di contatto, tra ambiente interno ed esterno, se non adeguatamente isolati tendono a disperdere calore rapidamente per differenza di temperatura, favorendo la formazione di condensa e quindi di umidità, come spazi ideali per la proliferazione di microorganismi (muffe) che si trasmettono agli ambienti più caldi, quindi quelli interni.
Il rivestimento
L’isolamento termico a cappotto è anche una soluzione che permette il recupero estetico-funzionale della superficie esterna dell’involucro edilizio, correggendo possibili difetti alle pareti come crepe o microfessurazioni.
E, ancora, il rivestimento completo della superficie esterna permette di uniformare i diversi materiali costituenti le strutture, come pilastri in cemento armato, blocchi in laterizio o elementi in legno, che richiedono maggiore attenzione.
Le differenti caratteristiche meccaniche dei materiali possono determinare reazioni differenti con le variazioni termiche, che possono generare movimenti e deformazioni, fessurazioni e crepe, fino a distacchi e infiltrazioni d’acqua nei casi estremi.
Questioni da non sottovalutare: le cause possono essere dovute a errori di lavorazione o a condizioni ambientali difficili oppure, ancora, a un’errata compensazione degli spessori o a mancata o errata applicazione di adeguati complementi come paraspigoli e reti di armatura.
È molto importante, in tutti gli interventi di isolamento termico, l’impiego di materiali che possano assicurare qualità e stabilità nel tempo, con una costante prestazione termica e una capacità di assorbimento e rilascio controllato di umidità, per evitare la formazione di condense interstiziali.
Per queste ragioni il sistema a cappotto, pur essendo la soluzione più utilizzata per coibentare edifici di diversa tipologia costruttiva, soprattutto negli interventi di ristrutturazione, è anche quello che impone una maggiore attenzione progettuale e realizzativa.
Corrette procedure
Oggi possiamo affermare che le conoscenze e le esperienze maturate in oltre 40 anni di interventi di isolamento termico esterno, permettono di prevenire la maggior parte degli inconvenienti dovuti alle condizioni del supporto e al comportamento dei materiali con le corrette procedure di impiego.
Su quest’ultimo punto è da segnalare la dotazione delle imprese specializzate nell’installazione del cosiddetto “patentino“, ovvero il certificato di conformità attestante la qualifica di installatore certificato, ottenibile solo dopo frequentazione di corsi abilitanti con superamento di un esame finale a conferma del rispetto dei livelli richiesti dalla norma.
La qualifica di posatore certificato di sistemi a capotto è regolamentata dalla norma Uni 11716 (Etics), che sancisce i requisiti di conoscenza, abilità e competenza che i posatori devono dimostrare di possedere per accedere alla certificazione di qualifica professionale.
I materiali
La grande conoscenza dei materiali e la lunga esperienza maturata permette oggi di considerare un’ampia scelta di prodotti isolanti. Sui materiali isolanti si apre un ampio confronto per tipologia e caratteristiche, composizione materica e sostenibilità, derivazione naturale o sintesi.
Facendo una disamina dei numeri di mercato si potrebbe affermare che il sistema di isolamento termico più utilizzato e diffuso, soprattutto in Italia, possa essere il sistema Etics, ovvero l’isolamento a cappotto con pannelli in Eps (polistirene espanso sinterizzato).
La maggiore diffusione riconduce a pochi prodotti più performanti, tra i quali soprattutto i pannelli in Eps normalmente più convenienti dal punto di vista economico.
È opportuno sottolineare che non esiste la soluzione migliore in assoluto, in grado di assicurare un elevato isolamento termico e acustico, che sia ininfiammabile e traspirante, sostenibile per impatto ambientale, più economica e di facile installazione. Ogni materiale è il compromesso tra vantaggi e svantaggi.
Proviamo a tracciare una mappa dei materiali più noti, più utilizzati, più innovativi e più sostenibili.
In linea di principio è possibile suddividere i materiali per composizione chimico-fisica, struttura, processo di lavorazione e provenienza, livello di sostenibilità, prestazioni (conducibilità termica λ) e spessore necessario (maggiore spessore significa più isolamento termico), sfasamento termico e potere traspirante (importante per ridurre il rischio di condensa), senza trascurare ovviamente valore economico del sistema e facilità di impiego.
Una prima distinzione tipologica, in base alla composizione specifica, può annoverare i materiali organici di origine naturale minerale (lana di roccia, fibra di vetro, silicato di calcio, silicio espanso) o vegetale (sughero, fibra di legno, cellulosa, canapa), rispetto ai materiali inorganici, ovvero provenienti da trasformazioni chimiche di sintesi (poliuretano o polistirolo di derivazione idrocarburica).
Il confronto
Sostenibili. Un confronto tra i materiali più sostenibili riconosce in primo piano gli isolanti organici di origine minerale e vegetale, che rappresentano quelli a minor impatto ambientale per la composizione caratteristica e rilascio di sostanze, buone prestazioni termiche e traspirabilità, particolarmente adatti per interventi di bioedilizia, ma generalmente anche con un costo più elevato e, in alcuni casi, con maggiori difficoltà di installazione.
Resistenti. Gli isolanti minerali hanno ottime proprietà di resistenza all’acqua e al fuoco, tra questi ci sono prodotti molto diffusi come la lana di roccia nel riempimento delle intercapedini, ma anche su pareti esterne se adeguatamente protetti.
Anche gli intonaci termoisolanti, a base di minerali espansi o perle di polistirolo, risultano interessanti, perché permettono di coibentare uniformando il supporto murario, in particolare negli interventi dove non sono ammessi pannelli incollati per ragioni tecniche o vincoli storici.
Una soluzione di impiego più tradizionale, in grado di ridurre i ponti termici e limitare i rischi di condensa, ma che negli anni si è ridotta particolarmente per il limite di prestazione termoisolante rispetto ad altri prodotti dotati di una minore densità volumica.
Innovativi. I materiali di nuova generazione, definiti a basso spessore, basati sull’impiego di nanotecnologie per garantire alti livelli di prestazione hanno generalmente elevate prestazioni isolanti, maggiori difficoltà di impiego e costi elevati.
Tra i materiali considerati innovativi può essere utile citare l’isolante nanotecnologico a base di Aerogel, una sostanza solida molto leggera composta per il 98% di aria e per il 2% di silice amorfa, che è la principale componente del vetro.
Oppure, i materiali a cambiamento di fase (Pcm, Phase change materials) capaci di accumulare energia termica, come calore latente nella transizione da stato liquido a solido e viceversa.
Convenienti. I numeri di mercato hanno chiaramente dimostrato che la convenienza sul costo del prodotto per metro quadrato ha imposto una diffusione a maggioranza per materiali di compromesso, più performanti termicamente e più economici seppur con qualche limite.
Uno dei materiali più richiesti e utilizzati è sicuramente il polistirene espanso (Eps), proveniente dalla polimerizzazione dello stirene, che trasformato in granuli può essere espanso tramite sinterizzazione o estrusione, secondo che avvenga per trasformazione in perle espanse con aggregazione a temperature di vapore acqueo oltre 90 gradi (sinterizzazione) o con agenti espandenti (estrusione).
Oggi i pannelli in polistirolo di ultima generazione, dopo anni di larga sperimentazione, sono anche trattati con grafite per conferire una più bassa densità con una riduzione di materiale plastico (fino al 50% in meno), rendendo il prodotto finale più leggero ed ecologico rispetto all’Eps tradizionale.
Stiamo sempre parlando di un materiale di sintesi e poco sostenibile. Una soluzione tra le più convenienti, anche se negli ultimi anni la crescente domanda derivante dagli ecoincentivi (110% in primis) ha determinato una forte lievitazione del prezzo di mercato e il limite di reperibilità della materia di derivazione idrocarburica dipendente da importazione.
Tracciabilità e sostenibilità
Anche i materiali devono rispondere ai principi di sostenibilità e puntare al più basso impatto ambientale per promuovere il modello di casa passiva. Sono da considerarsi materiali sostenibili quelli rispondenti a una serie di requisiti sulla tracciabilità, l’assenza e il rilascio nel tempo di sostanze nocive e la possibile riconversione nell’ambiente a fine vita.
Questa tipologia di materiali deve essere conforme alle vigenti direttive europee per tracciabilità nell’intero ciclo di vita Lct (Life Cycle Thinking) con una visione sistemica dell’intera filiera produttiva, dall’origine fino alla riconversione del rifiuto riciclabile.
Ma come si valuta effettivamente la sostenibilità di un materiale? Con un processo di assessment (o valutazione) proprio del ciclo di vita Lca che costituisce l’etichettatura di tracciabilità. Una valutazione che deve esprimere in modo chiaro e inequivocabile, come una carta d’identità, la dichiarazione di performance ambientale Epd (Enviromental Product Declaration).
In italia l’efficacia dei requisiti ambientali minimi è riferita al decreto legislativo 31 marzo 2023 ma ha origini precedenti, già con la L. 221/2015, e successive integrazioni e modificazioni, che ne aveva resa obbligatoria l’applicazione nei lavori pubblici.
Un’adempimento che negli ultimi anni è stato esteso anche ai lavori privati in relazione ai benefici fiscali introdotti dagli ecobonus.
Cam e benessere
Sono i Criteri ambientali minimi (Cam) i requisiti che richiedono la tracciabilità di un prodotto lungo il ciclo di vita Lct e il contenuto di materie riciclate dal punto di vista ambientale.
Per avere un’idea più precisa del ciclo di vita di un prodotto basti pensare a una evoluzione suddivisa in cinque fasi, dallo sviluppo al declino, passando per l’introduzione, la crescita e la maturità.
In edilizia possiamo affermare che il ciclo di vita di un prodotto da costruzione può essere considerato il periodo di tempo che intercorre dalla realizzazione fino al riciclo come rifiuto, se i componenti risultano ecologicamente compatibili.
Per quanto attiene il benessere abitativo, invece, è la qualità dell’aria respirabile negli ambienti interni Iaq (Indoor Air Quality) che caratterizza un prodotto in materia di igiene, salute e comfort attraverso il basso contenuto o l’assenza di Voc (Volatile Organic Compounds), secondo i requisiti previsti dalle norme vigenti sulla emissione e la dispersione dei vapori nell’aria.
Si calcola che vi siano più di 300 diverse sostanze (dalla formaldeide al benzene con i suoi derivati, toluene, stirene, idrocarburi) solitamente addizionate ai composti per migliorare alcune caratteristiche come la plasticità, la durabilità, la resistenza al fuoco e alle muffe.
Non è oggetto di questa trattazione entrare nel merito delle categorie di materiali di finitura per gli ambienti interni, in relazione alla concentrazione dei composti organici volatili, ma solo per opportunità si rammenta l’importanza di non sottovalutare questo aspetto nei diversi prodotti da rivestimento interno.
Da oltre vent’anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica rapporti sui potenziali rischi per la salute derivanti dalla qualità dell’aria interna, diramando linee guida per sensibilizzare i paesi a intraprendere azioni volte a migliorare le condizioni abitative, con particolare attenzione ai materiali utilizzati e con riferimento agli standard di ventilazione, ai livelli di umidità interna e alle muffe.
La transizione ecologica
Il passaggio al concetto di casa passiva, attraverso un processo diffuso di efficientamento energetico degli edifici energivori, costituisce il nodo di un dibattito estenuante che sta sollevando numerose perplessità in particolare per i Paesi che dispongono di un patrimonio edilizio pubblico (e soprattutto) privato vecchio e in molti casi fatiscente come quello italiano.
In ambito europeo la direttiva Case green prevede che gli Stati membri riducano il consumo di energia degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035.
Il 55% di questa riduzione dovrà essere ottenuta attraverso la ristrutturazione del 43% degli immobili con le prestazioni peggiori.
Il via libera del Parlamento sul provvedimento avanzato dalla Commissione europea per migliorare le performance energetiche degli edifici è inserito nel pacchetto di riforme Fit for 55.
La direttiva Energy performance of building directive (Epbd), pensata con l’obiettivo di riqualificare il parco immobiliare europeo e migliorarne l’efficienza energetica, sarà probabilmente ancora oggetto di modifiche prima di diventare definitivo.
Allo stato attuale il provvedimento prevede degli standard minimi per migliorare l’efficienza energetica per gli edifici con le peggiori prestazioni (quelli più energivori appartenenti alla classe energetica G meno efficiente) nella misura del 15% per ogni stato membro.
L’Unione Europea intenderebbe ridurre del 55% le emissioni nocive entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 per raggiungere le emissioni zero entro il 2050.
La previsione sarebbe di arrivare a realizzare nuovi edifici a emissione zero dal 2028 e di raggiungere, per gli edifici esistenti, la classe energetica E entro gennaio 2030 e la D entro il 2033.
Nel panorama delle energie fossili la previsione interessa il divieto di utilizzo di combustibili fossili entro il 2035 e l’abolizione di sussidi per l’installazione di boiler a combustibili fossili entro il 2024.
Gli edifici energivori in Italia
Il problema della riqualificazione edilizia e dell’efficientamento degli impianti termici in Italia appartiene oggi alla maggioranza di edifici condominiali considerati energivori.
Considerando la situazione attuale la direttiva Case green appare un obiettivo molto ambizioso, considerando che in Italia gli edifici residenziali energivori sono circa 1,8 milioni sul totale di 12 milioni di cui il 15% costruito prima del 1918 e circa il 65% precedente al 1976, senza contare le oltre 31 milioni di unità residenziali (dati Istat) che nel 74% dei casi, cioè 11 milioni di abitazioni, apparterrebbe a classi energetiche inferiori alla D, nello specifico il 34% in G, 23,8% in F e 15,9% E (dati Enea).
In sostanza, stiamo parlando di un patrimonio immobiliare, che per oltre 9 milioni di unità, non risulterebbe idoneo a rispettare le performance energetiche richieste (dati Ance).
In ogni caso, rispetto alle norme vigenti oggi circa il 75% del patrimonio edilizio presente nei comuni italiani sarebbe stato realizzato prima della legge 10/1991 (la norma che regola i consumi dell’energia negli edifici pubblici e privati).
Si tratta di un patrimonio costruito vecchio, in molti casi fatiscente e inadeguato, con un comfort abitativo scarso e isolamenti termici insufficienti o inesistenti, per non parlare degli impianti di riscaldamento energivori in molti casi con emissioni in atmosfera oltre i limiti di tolleranza.
È evidente che la situazione immobiliare in Italia, in particolare quella dei condomini energivori, iniziata con lo sviluppo demografico e la grande ricostruzione del secondo Dopoguerra, ha raggiunto ormai livelli di attenzione tali da non poter essere più procrastinata, ma difficile da risolvere solo in termini normativi.
In molti casi l’impossibilità dei proprietari a intervenire rappresenta un ostacolo insormontabile, sia in termini di efficientamento energetico sia di riqualificazione edilizia, in assenza di incentivi.
Uno scenario che allo stato attuale, nonostante l’introduzione delle agevolazioni fiscali dei superbonus, registra un incremento delle riqualificazioni edilizie ed energetiche solo del 6%.
A piccoli passi verso il green
Senza voler entrare nel merito di un dibattito complesso e difficilmente semplificabile, può essere significativo riprendere i passi salienti sulla responsabilità per il futuro.
Un percorso iniziato nel 1972 con la conferenza di Stoccolma, in anticipo rispetto alla prima grande crisi energetica che avrebbe poi stravolto la società del miracolo economico del dopoguerra.
Un periodo rimasto nella memoria collettiva con il termine di Austerity, con le politiche di restrizione volte a ridurre i consumi energetici e a ricercare soluzioni per promuovere l’efficienza.
Un’emergenza che ha indotto i legislatori di diversi paesi ad attivare nuove norme, in particolare nel settore delle costruzioni, per allineare il metodo costruttivo alla logica dell’isolamento termico, con una particolare attenzione all’uso dei materiali.
Il tema dell’isolamento termico ha segnato solo l’inizio di un percorso, che nei decenni successivi avrebbe portato alla continua ricerca di soluzioni tecnologiche sempre più evolute e sofisticate, nel tentativo di trasformare le metodologie costruttive dei nuovi edifici e il recupero di quelli esistenti.
Con gli anni Novanta il problema dell’effetto serra, dovuto all’aumento di CO2 in atmosfera con i primi allarmi sul cambiamento climatico, ha ulteriormente alimentato il dibattito tra l’utilizzo delle fonti fossili e la crescente domanda di energia a livello globale, oltre all’incertezza derivante dall’estrazione di petrolio proveniente da aree coinvolte in frequenti conflitti.
Ma parlare di isolamento termico solo in termini tecnologici sarebbe riduttivo, senza considerare quali siano state le motivazioni che avevano progressivamente introdotto il linguaggio sulla riqualificazione edilizia e l’efficientamento energetico.
Una ripresa cronologica dei passaggi salienti di questo percorso può essere utile per fissare principi e impegni con una visione più generale.
La conferenza di Stoccolma del 1972 segna l’inizio di un processo comune, con una dichiarazione congiunta per definire le prospettive nella conservazione dell’ambiente e delle risorse, passando nel 1987 per il Rapporto di Brundtland sulla salvaguardia delle generazioni future.
Nel 1992 la Conferenza di Rio fissa il passaggio sullo sviluppo integrato e il progresso sostenibile con i 27 principi definiti da Agenda 21 e nel 1994 la Carta di Aalborg riprendeva la Campagna delle città europee sostenibili e il processo di attuazione Agenda 21.
Nel 1997 il Protocollo di Kyoto apre un nuovo confronto tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo per la riduzione dei gas serra e nel 2000 il Vertice dell’Aja vedeva la formazione del cosiddetto Umbrella Group (composto da Stati Uniti, Canada, Giappone, Australia e Nuova Zelanda) responsabile del 50,2% delle emissioni globali che non accettava il Protocollo di Kyoto perché considerato troppo oneroso per lo sviluppo delle economie nazionali.
Nel 2002 il Vertice di Johannesburg insiste sui problemi sociali ed economici per uno sviluppo sostenibile rispetto alla questione ambientale, con l’approvazione della dichiarazione sullo sviluppo sostenibile e del Piano di Azione del Wssd (World Summit on Sustainable Development).
Il vertice di Johannesburg costituisce un passaggio fondamentale per l’impegno a costruire un futuro più sostenibile e più responsabile nei confronti degli ecosistemi dai quali dipendono le forme di vita.
Il percorso sostenibile più recente vede nel 2007 i leader dell’Unione Europea sugli obiettivi legislativi per il 2020 in materia di ambiente, energia e clima, con una visione ambiziosa quanto simbolica, espressa nella formula 20,20,20 (20% riduzione emissione gas serra rispetto al 1990, 20% quota di energia da fonti rinnovabili, 20% miglioramento efficienza energetica).
Nel 2020 il quadro dell’Unione Europea per il 2030 prevede obiettivi ancora più ambiziosi e rigidi elevando i valori delle emissioni con il 40% di riduzione emissione gas serra rispetto al 1990 – 32% quota di energia da fonti rinnovabili e 32,5 miglioramento efficienza energetica.
Con una visione ancora più ampia ed ottimistica si alza lo sguardo con l’ambiziosa previsione di taglio 80 – 95% dei gas serra entro il 2050.
È del tutto evidente quanto il raggiungimento degli obiettivi sia strettamente connesso con un impegno sinergico e condiviso, sia per unire i temi del progresso civile e industriale, quanto per la tutela dell’ambiente ed una minore emissione di CO2 in atmosfera e quindi un’economia più sostenibile e circolare.
Il problema del cambiamento climatico, con gli impegni di salvaguardia in materia di riduzione dei gas serra, rappresenta un terreno di confronto sulla convergenza di una legittima preoccupazione, mentre nella realtà evidenzia la grande difficoltà ad assumere una strategia comune.
Un percorso difficile che alimenta quotidianamente il dibattito politico e sociale ma che, al di là della propaganda sulla transizione ecologica, evidenzia la grande difficoltà a un impegno comune e responsabile a livello globale, con paesi politicamente, economicamente e culturalmente troppo diversi.
Impegni già difficili da condividere nell’ambito dell’Unione Europea. La questione nei fatti è ancora lontana dal raggiungimento degli obiettivi prefissati a livello globale, considerando che ancora troppi paesi industrializzati dell’Est Europa e dell’Asia, in particolare, risultano particolarmente refrattari ad una transizione ecologica, perseverando nel mantenimento di livelli altamente inquinanti sia per controllo dei materiali che per emissioni di CO2 in atmosfera.
A norma di legge
Si deve alla prima crisi energetica moderna, che deriva dal costo del petrolio e dei trasporti, nonché il timore del possibile esaurimento della prima fonte energetica fossile, l’emanazione nel 1973 in Italia della prima legge sul risparmio energetico con l’introduzione delle Norme per il contenimento del consumo energetico per usi termici negli edifici, quando per la prima volta nella storia dell’uomo si parlò di Austerity.
• La legge n. 373 del 1976 segnava l’avvio di un processo sul controllo degli sprechi negli impianti di riscaldamento e delle dispersioni di calore nel manufatto edilizio con l’avvio di una serie di iniziative che, negli anni a venire, avrebbe portato ad una riforma normativa fino alla definizione di un Piano Energetico Nazionale e alla sua attuazione con la Legge N. 10/91. L’entrata in vigore della Legge n. 10/91 definisce sotto il profilo normativo l’uso razionale dell’energia, del risparmio energetico e dell’utilizzo delle fonti rinnovabili, regolamentando di fatto la gestione dell’edificio sotto il profilo edilizio e impiantistico.
• L’attuazione della Legge N. 10/91 è stata successivamente regolamentata con il DPR 412/93 e il Dpr 551/99 per disciplinare i diversi calcoli, in particolare in materia di Fabbisogno Energetico Normalizzato (FEN), con riferimento a specifiche norme tecniche (Uni 5364, Uni 8065, Uni 9182, Uni Cig 7129 etc). L’etichettatura di rendimento energetico degli elettrodomestici verrà estesa anche al settore edilizio per identificare la classe
di appartenenza degli immobili in base al livello di isolamento termico e di efficienza degli impianti, con l’obiettivo di ridurre le dispersioni di calore, aumentare il rendimento energetico e diminuire le emissioni di Co2 in atmosfera.
• Con l’emanazione della Direttiva 2002/91/Ce, l’Europa punta a una ridefinizione degli obiettivi per un uso più consapevole dell’energia e della salvaguardia dell’ambiente, guardando al benessere degli individui, anche attraverso l’incentivazione delle fonti rinnovabili e dei sistemi impiantistici alternativi. La direttiva recepita in Italia 3 anni dopo con il decreto legislativo 192/2005, modificato e integrato ulteriormente con il decreto legislativo 311/2006, definisce i criteri per il miglioramento energetico degli edifici, sia di nuova costruzione che per quelli esistenti, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche e incentivare lo sviluppo e l’integrazione delle fonti rinnovabili, anche con l’introduzione delle verifiche delle prestazioni energetiche e dei valori di trasmittanza con esperti ed organismi accreditati alla certificazione energetica e all’ispezione degli impianti di climatizzazione.
• Il decreto 26 giugno 2009 introduce le Linee Guida Nazionali per la certificazione energetica degli edifici, con un limite di validità di dieci anni e rinnovo tacito a condizione che gli edifici rispettino le norme nazionali, prescritte dalla scala di classificazione energetica dell’edificio o del singolo appartamento (dalla A+ alla G).
• la Direttiva 2002/91/CE o Epbd viene superata dalla direttiva 2010/31/Ue sul rendimento energetico nell’edilizia (definita Epbd II Recast) che promuove il miglioramento della prestazione energetica degli edifici, con particolare riferimento delle caratteristiche climatiche locali e degli ambienti interni. Il calcolo della prestazione energetica considera le caratteristiche termiche dell’involucro edilizio, degli impianti di riscaldamento e di produzione di acqua calda sanitaria, di raffrescamento, di illuminazione, ma anche di progetto, posizione e orientamento dell’edificio con i sistemi di protezione solare per le condizioni climatiche interne.
• La Legge 90/2013 di conversione in legge con modificazioni del decreto legislativo 63/2013, emana disposizioni urgenti con il recepimento della Direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica in edilizia, modificando il decreto legislativo 192/2005 e introducendo il concetto di edificio a energia quasi zero (nZeb) con i nuovi criteri di aggiornamento e programmazione degli standard prestazionali degli edifici sotto il profilo edilizio, impiantistico ed energetico rinnovabile.
• Il D.Lgs 63/13 introduce l’Attestato di Prestazione Energetica (Ape) in sostituzione dell’Attestato di Certificazione Energetica (Ace) con modifiche e integrazioni nel calcolo del fabbisogno energetico, introducendo oltre a riscaldamento, raffrescamento e produzione acqua calda sanitaria anche ventilazione e illuminazione nonché incremento energetico per eventuali sistemi di elevazione (ascensori o scale mobili).
• La Legge 90/2013 dal giugno 2015 viene implementata con tre provvedimenti che precisano il quadro normativo nazionale in materia di efficienza energetica, con i requisiti prestazionali minimi degli edifici esistenti e di nuova costruzione (decreto 26/06/2015), le linee guida per la redazione Ape (26/06/2015) e le indicazioni di progetto per la Relazione Tecnica Legge 10.
• La direttiva (Ue) 2018/2002, dal dicembre 2018 modifica le direttive 2010/31/ Ue (sulla prestazione energetica in edilizia) e la 2012/27/ Ue (strumento legislativo su efficienza energetica) e introduce la Epbd III (già revisione delle Epbd II, della direttiva Ue 2018/844) come adozione di misure legislative a livello europeo (Clean Energy Package) per il raggiungimento degli obiettivi europei di energia e clima al 2030 .
• Il decreto legislativo n. 48/2020, attuazione della direttiva Ue 2018/844 sulla prestazione energetica modifica il decreto legislativo 192/2005 e definisce i criteri per la trasformazione del patrimonio immobiliare con alcune novità e integrazioni per l’Attestazione Prestazione
Energetica (Ape).
• Il decreto legislativo n. 73/2020, attuazione della Direttiva UE 2018/2002, modifica il decreto legislativo n. 102/2014 con una serie di misure in materia di efficienza energetica con l’obiettivo del risparmio in allineamento alle priorità dei principi europei. Di fatto, le nuove disposizioni normative introducono i principi metodologici attraverso i quali non sono più da valutare solo la strutture murarie con la tipologia di isolamento e dei serramenti, ma anche le componenti impiantistiche di riscaldamento, con l’utilizzo eventuale di fonti rinnovabili per la produzione di energia. Oggi i valori limite applicabili per gli edifici di nuova costruzione, e per quelli esistenti in caso di ristrutturazione, sono individuati per ciascuna delle sei zone climatiche in cui è suddiviso il territorio italiano, per l’indice annuo di prestazione energetica e per il riscaldamento invernale (Epi) dell’involucro edilizio, per valore limite della trasmittanza termica di singole parti dell’edificio (per le strutture opache verticali, orizzontali e delle coperture) e per valore limite dei “ponti termici”. Non meno importante è il rapporto tecnico Uni/Tr 11936, del 15 febbraio 2024, che fissa i termini di valutazione dei materiali per isolamento termico dell’involucro edilizio in base alle effettive prestazioni contenute nella documentazione tecnica dei test prestazionali certificati da metodologie di prova standardizzate nei laboratori accreditati. La norma tecnica prescrive nello specifico i test di conduttività e resistenza termica, obbligatori per certificare l’idoneità di utilizzo del materiale, oltre le dichiarazioni del costruttore per marcatura Ce con Scheda Tecnica (St) e Documento di Prestazione (DoP) unica dichiarazione firmata dal rappresentante legale del costruttore con valore di responsabilità di legge sulle prestazioni del materiale, fino alla Certificazione Tecnica Europea (Eta). La European co-operation for Accreditation (Ea), ai sensi della norma Uni En Iso/Iec 17025, riconosce l’accreditamento dei laboratori certificatori di accreditamento (visibili nel sito www.european-accreditation. org), indicando il termine accreditamento anziché certificazione, per precisare la qualità dei laboratori di prova e taratura, classificati per specializzazione nella valutazione della conformità atta a garantire l’idoneità delle misurazioni eseguite mediante strumentazione tarata. Il Regolamento europeo 765/2008 prevede che ogni stato nomini un solo Ente nazionale di accreditamento con il conferimento dello status giuridico di pubblica autorità. In Italia l’Ente Unico di accreditamento designato dal governo è Accredia, quale organismo che dispone l’elenco dei laboratori ed i relativi metodi di prova accreditati (www.accredia.it).
di Daniele Menzio