Il mercato in numeri, le previsioni per il 2025, l’importanza della flessibilità e della formazione in un mercato ipercompetitivo, il rapporto tra distribuzione e produzione, l’impegno verso una maggiore sostenibilità: di questo, e di molto, altro si è parlato alla prima convention dell’anno del Gruppo Dec, che si è tenuta a fine gennaio presso il Mapei Stadium di Reggio Emilia.
Una giornata di learning e convivialità, che ha riunito i soci del consorzio, che conta oggi 228 rivenditori associati, per un totale di 268 punti vendita in 19 regioni d’Italia.
Enrico Adinolfi e Davide Monari
Ad aprire la convention, condotta dal direttore generale Enrico Adinolfi, i saluti del presidente Davide Monari, che ha sottolineato l’importanza dell’evento come occasione di formazione.
«Riteniamo che sia veramente utile per tutte le nostre attività conoscere gli scenari futuri che ci aspettano da qui in avanti», ha dichiarato il presidente, lasciando poi la parola a Veronica Squinzi, amministratrice delegata e titolare con il fratello Marco, di Mapei, padrone di casa della location dove si è tenuto il meeting.
«Siamo contenti di ospitare i soci Dec, nostri partner, presso il Mapei Stadium. Abbiamo comprato questo stadio nel 2013, piano piano abbiamo investito per portarlo agli antichi splendori. È stato creato nel 1994 e concepito come il primo stadio all’inglese in Italia ed è di proprietà di una squadra, il Sassuolo Calcio, di cui sono vicepresidente. Dal 2013 continuiamo a fare investimenti perché vogliamo raggiungere sempre l’eccellenza, testando anche i prodotti della nostra gamma».
Gli scenari del mercato edile 2025
L’analisi di Federico Della Puppa, coordinatore scientifico del Centro Studi YouTrade
Gli scenari del mercato delle costruzioni dei prossimi anni sono stati invece al centro dell’intervento di Federico Della Puppa, coordinatore del Centro Studi YouTrade.
Essere piccoli, fino ad alcuni anni fa, era uno dei refrain che funzionava molto bene nell’economia italiana, fatta di poche grandi imprese e moltissime micro e piccole imprese, per lo più a conduzione familiare, che hanno costituito l’ossatura di quella economia molecolare che è stata un punto di forza della nostra economia fino a oggi.
Tuttavia, i cambiamenti epocali che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, in particolare con lo sviluppo del digitale, della logistica e delle nuove filiere produttive e costruttive, stanno cambiando questo approccio anche nel mercato delle costruzioni.
In particolare, nel settore della distribuzione di materiali edili la competizione oggi si gioca tutta sulla capacità delle imprese di fare sistema in un quadro sempre più competitivo e complesso.
Il ruolo dei sistemi aggregatori, come i gruppi e i consorzi, è un elemento cruciale in questa sfida, perché consente di alzare lo sguardo e traguardare il futuro con maggiore organizzazione, competitività e capacità operativa, non solo in acquisto, ma soprattutto nelle vendite.
La forza della dimensione è un fattore oggi determinante nello sviluppo delle reti distributive, che localmente possono puntare su dimensioni aziendali adatte ai mercati serviti, ma che devono avere allo loro spalle sistemi più competitivi dal punto di vista della gestione dei mercati.
E non solo come centrali di acquisto, ma come gruppi di vendita, capaci di competere con gli altri grandi player nazionali, che oggi sono i soggetti che non solo crescono di più in dimensione, ma soprattutto sono capaci di garantirsi redditività tali da poter guardare al futuro con la necessaria capacità operativa data dalla disponibilità agli investimenti che la redditività aziendale garantisce.
I risultati delle analisi di bilancio del settore della distribuzione evidenziano proprio queste dinamiche e ci indicano in modo molto chiaro qual è la strada da percorrere.
Stare assieme consente di competere laddove il singolo da solo non riesce a garantirsi i margini di una operatività che invece nel gruppo diventa molto più efficace.
Ipercompetitività e virtualità
Un mercato senza dubbio caratterizzato da una marcata ipercompetitività, come ha successivamente ricordato anche Alberto Bubbio, professore associato di Economia Aziendale e responsabile del corso di Programmazione e Controllo, presso l’Università Cattaneo-Liuc.
«Il vero problema è che nel settore edile, così come nel comparto elettrico e idrotermosanitario, le aziende sono troppe. Con un basso grado di concentrazione, quando il mercato va bene c’è spazio per tutti, quando il mercato rallenta iniziano le difficoltà», ha ammonito Bubbio.
«Al momento assistiamo a un processo significativo di concentrazione, le dimensioni aziendali tendono a crescere rendendo molto più difficile trovare spazi appetibili. Nei prossimi anni bisognerà crescere o innovare, non c’è alternativa».
L’innovazione non sempre porta a grandi incrementi di fatturato, ha spiegato il professore, «però permette di vivere bene, rimanendo anche abbastanza piccoli».
Ma attenzione: «innovazione non significa invenzione, significa portare l’invenzione a sistema. Si fa innovazione quando si inventa un nuovo prodotto e lo si produce su larga scala. Gli italiani sono grandi inventori, purtroppo un po’ meno innovatori. Inoltre, le innovazioni sono quasi sempre frutto di un lavoro di squadra. Da soli non si va da nessuna parte».
Un altro elemento importante che caratterizza il mercato attuale è la crescente importanza rivestita dal concetto di virtualità.
«Le generazioni più giovani danno molta importanza al virtuale. Si sta passando dalla proprietà al possesso dei beni, al renting. È un vero cambio di paradigma», ha affermato l’economista, che è passato a fare poi un excursus dell’evoluzione dell’economia, degli ultimi decenni.
«L’economia degli anni Ottanta era caratterizzata da un mercato di massa, in cui si produceva lo stesso prodotto per tutti. Poi, i giapponesi hanno risposto con prodotti di qualità a prezzi più bassi, che però peccavano in creatività. Negli anni Novanta è partito il discorso della logistica: il prodotto andava consegnato in tempi sempre più brevi. Iniziavano a manifestarsi i primi problemi di complessità. Nel 2000 il mercato ha richiesto una customizzazione sempre più spinta di prodotti e servizi, e contenuti sempre più emozionali».
Il gioco, insomma, si è fatto duro. «Nel decennio che ci ha preceduto si è passati dal concetto di ben-avere a quello del ben-essere, con una crescente attenzione all’impatto ambientale e sociale dei prodotti. La sostenibilità non è una moda, è un imperativo, soprattutto tra i ragazzi delle nuove generazioni».
Tutto questo scenario è complicato da guerre, epidemie, atti terroristici, è un mondo turbolento che necessita di strumenti nuovi. «Dobbiamo prepararci a fare rafting», ha scherzato Bubbio. «Servono strutture snelle e flessibili, e qualcuno che sappia navigare».
Marginalità al centro
Di quali strumenti si deve dunque dotare un’azienda per navigare tra le rapide del mercato del futuro?
«La marginalità è il primo strumento. Non si possono fare investimenti senza marginalità. Non siamo più in un mercato di massa, in cui era importante fare fatturato e dove l’elemento differenziante era il prezzo; oggi quello che conta è il servizio che ruota intorno al prodotto», ha sottolineato Bubbio. «Servono poi tempestività e un team affiatato».
Per migliorare la marginalità ci sono diverse leve che gli imprenditori possono mettere in atto. «Le leve più evidenti sono il miglioramento dei margini di contribuzione a parità di costi di struttura, facendo innovazione di prodotto o servizio, e la riduzione dei costi di struttura, innovando i processi grazie alle tecnologie», ha spiegato l’economista.
«Come creare le condizioni per fare innovazione? Affrontando la risoluzione dei problemi con curiosità, promuovendo ambienti collaborativi e persone competenti, che uniscano cioè esperienza e conoscenza, e incoraggiando l’apprendimento collettivo».
La formazione
La formazione è uno dei temi centrali per fare innovazione. «C’è la formazione tecnica, e poi c’è la formazione manageriale. In un’azienda è importante saper gestire le risorse e le persone. In un mondo ipercompetitivo come quello attuale non vincerà il più grande, ma la squadra migliore. Da soli si cammina veloci, ma insieme si arriva lontano», ha chiosato il relatore.
Per aumentare le conoscenze da applicare alla gestione aziendale, Alberto Bubbio e Virginia Gambino Editore, casa editrice della rivista YouTrade, hanno messo a punto YouTrade Education, percorsi di Executive Management che offrono nove possibili proposte per la gestione dei momenti critici nella gestione di una rivendita.
Come ottimizzare i costi, come gestire il successo o individuare il mix di prodotti. Ma anche come ottenere il meglio da crediti e scorte, oppure scegliere un approccio smart all’impresa: le aziende della filiera dell’edilizia, a cominciare dalla distribuzione, devono mettersi al passo con i tempi e migliorare le proprie capacità competitive.
YouTrade Education, percorsi di Executive Management per i rivenditori
Con il programma YouTrade Education Virginia Gambino Editore e Alberto Bubbio, responsabile dei corsi di Pianificazione strategica e Controllo di gestione presso l’Università Cattaneo – Liuc, offrono alle aziende una opportunità strategica per affrontare i momenti chiave nella gestione di una rivendita.
Il percorso di formazione manageriale verterà sulle seguenti tematiche: strategia aziendale (che cos’è, come si elabora e come le si dà attuazione in un mercato maturo), la definizione del posizionamento della propria impresa come punto di partenza di qualsiasi riflessione strategica, la rilevanza di stringere alleanze e quindi l’interpretazione del ruolo che possono avere i gruppi e consorzi.
Non mancherà la presentazione dei motivi che suggeriscono di passare dall’attuale diffusa gestione per compiti a una gestione per obiettivi, e in quest’ambito il potente ruolo direzionale che ha un budget elaborato rispettando alcuni principi spesso dimenticati.
Si affrontano inoltre temi che un imprenditore o un responsabile aziendale devono conoscere se desiderano migliorare i risultati della propria azione manageriale: controllo di gestione, gli impatti in termini di miglioramento della reddittività come la manovra del mix dei prodotti venduti; la gestione di crediti e rimanenze (ad esempio, come determinare il lotto economico di acquisto); la gestione dei costi (cost management e non solo cost control).
Verranno anche trattati temi «trasversali» di attualità come la gestione del passaggio generazionale.
Il confronto
La convention del Gruppo Dec si è conclusa con un talk show che ha raccolto alcuni dei più importanti fornitori partner del consorzio, che hanno illustrato ai partecipanti le loro previsioni sull’andamento del settore delle costruzioni nei prossimi anni e le sfide per la sostenibilità portate avanti dalle rispettive aziende.
Sul palco si sono alternati Stefano Deri, direttore vendite di Mapei, Gianni Meneghini, vicepresidente di Fornace Briziarelli Marsciano (Fbm), Alessandro Mezzalira, ceo di Fitt, Luca Saccardi, direttore commerciale Sts Polistiroli, e Giuseppe Matera, Sales Area Manager Heidelberg Materials Italia.
«Il mercato delle costruzioni è fatto di componenti estremamente diverse, su cui la distribuzione ha più o meno incidenza», ha esordito Deri. «Il residenziale, quindi tutta la parte che riguarda la ristrutturazione edilizia, è purtroppo il mercato per il quale prevediamo il maggiore calo.
È vero che negli anni scorsi sono stati raggiunti numeri importanti grazie ai bonus e che, in assenza di informazioni in merito alla direttiva Epbd, i proprietari stanno aspettando ad affrontare delle spese, ma sicuramente il mercato residenziale è quello che risentirà delle maggiori difficoltà.
Per quanto riguarda il non residenziale, in cui storicamente la rivendita ha meno incidenza, ci sono ampi spazi di crescita. Non residenziale significa scuole, ospedali, edifici pubblici, lavori del Pnrr che le rivendite possono intercettare.
E, poi, fortunatamente ci sono le infrastrutture: probabilmente in questo ambito ci sarà meno possibilità di intervento da parte della distribuzione, ma alla fine direi che lo scenario previsionale è assolutamente positivo».
Fornace Briziarelli Marsciano
Secondo Meneghini, che all’attività di produzione di prodotti in laterizio ha affiancato una rete di distribuzione diretta nella regione Umbria, «distribuzione e produzione reagiscono a dinamiche estremamente diverse.
La nostra azienda compirà 120 anni l’anno prossimo. Era attiva in Umbria quando ancora nel settore delle costruzioni non c’era una disintermediazione così spiccata.
Fino a 50 anni fa la rivendita non aveva una posizione di forza come quella attuale, le fornaci fornivano i loro prodotti sfuggendo alle dinamiche distributive. Poi, nel tempo, la rivendita è diventata il fulcro dell’attività edilizia.
In Umbria, in cui la nostra azienda dominava il mercato vendendo direttamente i prodotti all’impresa, ci siamo trovati con un problema di marginalità.
In Campania, Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia produciamo e vendiamo esclusivamente alle rivendite, mentre in Umbria dovevamo coinvolgere le rivendite senza perdere margine.
Per questo, dato che la Regione non vedeva la presenza di un gruppo importante a cui poterci rivolgere, abbiamo dovuto creare una nostra rete distributiva. Oggi abbiamo nove rivendite che funzionano», ha raccontato l’imprenditore.
«Che cosa ci aspettiamo dal mercato delle rivendite italiane? Basta guardare ai mercati più evoluti, come quello francese, in cui stanno nascendo gruppi di produzione e gruppi di distribuzione.
In Italia siamo in ritardo, scontando un po’ la mentalità nostrana in cui l’imprenditore fatica a creare aggregazioni, a unirsi ad altri per contare di più, ma il futuro è questo.
Cresceranno i multipoint, i gruppi delle multinazionali, che però hanno strategie proprie e sono poco controllabili, e poi ci sono i consorzi. Questi sono i gruppi con cui preferiamo lavorare, anche se ammetto di trovare più difficoltà.
Nel multipoint la strategia è unitaria, le decisioni sono in capo a una persona; nei gruppi spesso è difficile trovare delle strategie comuni a tutti i soci.
D’ora in poi per le rivendite sarà invece sempre più importante sposare aziende in grado di offrire prodotti ad alto valore aggiunto, che possano garantire margini superiori, per uscire fuori dalla logica del fatturato. Il fatturato vale fino a un certo punto, quello che conta veramente sono i margini».
Fitt
Il dibattito si è poi spostato sulla sostenibilità e l’impegno delle aziende verso un mondo più verde ed etico. «L’azienda dà l’opportunità di amplificare quello che si fa a livello personale nei confronti dell’ambiente e delle persone. L’impresa ha una responsabilità, puntare su prodotti ecosostenibili non è un optional», ha sottolineato Mezzalira.
«Si può essere competitivi anche con prodotti sostenibili, unendo ritorno economico ed ecologico. Più sono grandi, più le aziende possono avere un impatto sull’ambiente, sulla comunità, sul territorio. La sostenibilità non deve essere un extra, ma parte del fare quotidiano».
Il manager ha raccontato come nel 2021 Fitt sia diventata società benefit, disciplinata dall’articolo 1, commi 376-384, della legge 208 del 28/12/2015, entrata in vigore a partire a gennaio 2016.
Le società benefit perseguono volontariamente, nell’esercizio dell’attività d’impresa, oltre allo scopo di lucro anche una o più finalità di beneficio comune su persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interessi.
«Essere società benefit comporta ogni anno la pubblicazione del bilancio di sostenibilità e il miglioramento costante degli obiettivi tramite Kpi dichiarati», ha proseguito l’imprenditore.
«Fitt ha inoltre ottenuto la certificazione B Corp, che misura proprio le performance sociali e ambientali dell’azienda. Ogni attività ha un punteggio, e per conseguire la certificazione l’impresa deve ottenere un punteggio da 80 a 200 punti. Le B Corp sono aziende sul mercato per cambiare il pianeta. Secondo noi non c’è altro modo di fare business».
Heidelberg Materials
Green e sostenibilità sono state al centro anche delle parole di Matera, che ha illustrato il percorso di Heidelberg Materials verso una maggiore sostenibilità del gruppo del cemento.
«Heidelberg Materials sta portando avanti uno studio di fattibilità, con un investimento di circa 700 milioni di euro, per raggiungere la decarbonizzazione e produrre cementi a impatto zero.
A livello di gruppo il progetto di decarbonizzazione è già partito in Norvegia, a Brevik, dove alla fine dell’anno sarà pronta la prima cementeria a impatto zero. In Italia seguiremo con l’impianto di Rezzato (Brescia).
Per noi sostenibilità significa proporre ai clienti cementi sostenibili: in tutte le cementerie d’Italia produciamo prodotti alla loppa pozzolanici e stiamo lanciando un cemento sostenibile 32,5 in sacchi, che affiancherà il classico Tecnocem.
Notiamo una certa difficoltà a traferire sul mercato la sensibilità verso una maggiore sostenibilità. Noi non ci arrendiamo e ci auguriamo che questo cambiamento avvenga velocemente.
Per noi sostenibilità significa anche ridurre la distanza tra i nostri punti di distribuzione e i clienti: siamo presenti su tutto il territorio nazionale e ci stiamo impegnando a incrementare i punti di distribuzione proprio per essere sempre più vicini alle rivendite, restando in un raggio di 50 chilometri.
Altro elemento importante, i nostri cementi in sacco sono venduti su pedane a restituire.
Inoltre, offriamo la possibilità di prenotare i carichi in cementeria, in modo che non si creino code in stabilimento o in deposito, così che il cliente possa ritirare i prodotti in modo più veloce».
Sts polistiroli
Oltre il cemento, anche i materiali plastici si sono convertiti a una maggiore sostenibilità. È il caso di Sts Polistiroli, che a Klimahouse ha presentato il primo bilancio di sostenibilità.
«Abbiamo iniziato a guardarci dentro e chiederci come rafforzare l’azienda», ha commentato Luca Saccardi, direttore commerciale di Sts Polistiroli, produttrice di soluzioni in polistirene espanso per edilizia e imballaggio.
«Vendiamo una commodity, abbassare i prezzi non era una strategia perseguibile. Ci siamo fermati e abbiamo iniziato a misurarci per vedere dove migliorare.
Continuare a fare le cose come prima non ci avrebbe permesso di evolvere. Per questo abbiamo cambiato tutte le fonti di combustione destinate alla produzione e oggi disponiamo di un impianto da 500 kW in copertura, possediamo un sistema di riciclo e controllo delle acque e abbiamo redatto il nostro primo Bilancio Esg. Ce lo chiedevano i grandi clienti e ne abbiamo sentito noi stessi l’esigenza. Un domani tutti, volenti o nolenti, dovranno avere a che fare con questo strumento».
Mapei
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Deri di Mapei: «Invito i rivenditori a utilizzare la sostenibilità anche come argomento di vendita. Sembrano concetti lontanissimi, ma c’è già una parte del mercato interessata.
Per Mapei la sostenibilità è uno degli asset di crescita, che si declina nei concetti di qualità e durabilità. Gli sforzi di investimento delle aziende vanno in questa direzione, un po’ per differenziarsi, ma anche per un discorso etico.
La sostenibilità è la direzione corretta da intraprendere, non solo a livello ambientale, ma anche a livello economico e sociale».
Decarbonizzazione
Elemento imprescindibile quando si parla di sostenibilità è il processo di decarbonizzazione, concetto tanto bello nella teoria quanto difficile da mettere in pratica, soprattutto per aziende energivore e con produzioni ad alte emissioni.
È possibile azzerare del tutto l’impatto della Co2? In che margine temporale? Le aziende coinvolte nel talk show hanno detto la loro.
«Abbiamo in programma di ridurre le emissioni del 50% per arrivare a emissioni zero nel 2050», ha aggiunto Matera di Heidelberg Materials Italia.
E per Fitt Mezzalira ha affermato: «abbiamo un piano per arrivare a ridurre le emissioni del 35% nel 2030 grazie all’installazione di impianti fotovoltaici e l’utilizzo di biometano. Siamo un’azienda energivora e arrivare a zero emissioni è impossibile.
A livello di prodotto lavoriamo anche con materiali riciclati. Anche questo è un modo per decarbonizzare il pianeta, è un percorso che portiamo avanti da tempo con convinzione».
Con la linea Zero, Mapei ha introdotto una gamma di prodotti a emissioni completamente compensate. «Già una dozzina di anni fa abbiamo inserito il primo prodotto Zero a Co2 totalmente compensata», ha puntualizzato Deri (Mapei).
«Mapei punta a lavorare sulla formula dei prodotti per poter utilizzare meno Co2 possibile nell’arco di tutto il ciclo di vita, compreso lo smaltimento. La gamma dei prodotti a compensazione totale sta crescendo di anno in anno in tutto il mondo.
E questo senza considerare gli sforzi per l’installazione di impianti fotovoltaici, la riduzione nell’utilizzo delle risorse idriche, la riduzione degli scarti. La scelta è di continuare a lavorare su prodotti di qualità, durevoli e con un bassissimo impatto sull’ambiente». Di tono più critico il commento di Saccardi (Sts Polistiroli): «Non credo che la CO2 sia il problema. Ci sono altre sostanze che devono essere controllate».
Sulla stessa linea anche Meneghini di Fbm: «Le Ets (il sistema per lo scambio di quote di emissioni di Co2 ndr) sono scritte a svantaggio della qualità dei prodotti.
Sono convinto che non sia questo il modo di intervenire. In ogni caso abbiamo investito per ridurre il nostro impatto. Le fornaci sono industrie altamente energivore. Fbm ha installato 7,6 mW di impianti fotovoltaici presso le coperture dei propri stabilimenti.
Il progetto, che verrà portato a compimento nel 2026, ci permetterà di diventare completamente autosufficienti per quanto riguarda l’energia elettrica al 100%».
di Veronica Monaco