La legittimità della previsione dei canoni a misura crescente negli anni, pattuita in origine con la stipula del contratto di locazione al posto della variazione in corso di contratto, è stata oggetto di un cambio di orientamento nelle decisioni della giurisprudenza. Si è passati da una posizione di totale chiusura, ritenendo la clausola illegittima alla luce della legge n. 392 del 1978 art. 32, che tendeva a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni, a una progressiva apertura.
Prevalente è l’opinione secondo cui la clausola, che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, in aumento relativamente a eventi predeterminati (diversi e indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere d’acquisto), deve ritenersi legittima ex articoli 32 e 79 della legge sull’equo canone, se non costituisce un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria. Un orientamento giurisprudenziale che trova il suo fondamento sul principio di libera determinazione del canone di locazione per gli immobili a uso non abitativo.
Con la sentenza n. 4210/2007 è stata definitivamente affermata l’assoluta libertà delle parti. Dunque, anche se la pattuizione iniziale di canone crescente è in linea di principio valida, a condizione che non sia destinata a svolgere surrettiziamente una funzione di aggiornamento del valore del canone fissato dalla legge n. 392 del 1978 articolo 32, occorre verificare quali siano le condizioni che ne possano far dichiarare la nullità ai sensi degli articoli 79 e 32 della legge 392/1978.
Due sono le questioni importanti:
1) il canone a misura crescente, come determinato al momento della stipula del contratto, deve essere ancorato a elementi esterni atti a indicare la volontà delle parti;
2) la modalità di esplicitazione di tali elementi. Seppure minoritario, vi è un filone giurisprudenziale che attribuisce molta rilevanza, ai fini della validità del canone crescente, all’indicazione esplicita nel contratto di locazione di elementi esterni che giustifichino la scelta. È preferibile quindi l’enunciazione nel contratto dei motivi che abbiano portato locatore e conduttore a diversificare l’importo del canone nel corso del rapporto, ma va ricordato che l’unico limite posto alla libera contrattazione è il divieto di violazione o aggiramento del dettato di cui all’articolo 32.
Tuttavia, prevedere un aumento (o diminuzione) graduale del canone sarebbe in contrasto con il principio cardine, non in discussione, di libera determinazione del canone locativo per gli immobili destinati a uso non abitativo. L’ancorare il canone a scaletta diversi motivi (come l’esecuzione di lavori effettuati dall’inquilino, piuttosto che per la crisi) determina la liceità dell’accordo, poiché esplicita una causa diversa dall’aggiornamento del canone al potere della moneta. E fa presumere, quindi, l’effettiva pattuizione di canoni di locazione differenziati nel tempo e non un aggiornamento in violazione dell’articolo 32 citato.
Insomma l’indicazione deve ritenersi non necessaria laddove risulti ugualmente evidente che con tale determinazioni le parti abbiano voluto esercitare il loro diritto di libera contrattazione e non aggirare l’articolo 32 citato. Tale valutazione, di competenza del giudice di merito, dovrà essere operata in concreto e tenendo in considerazione anche le variazioni stabilite dalle parti in raffronto con quelli (presumibili) della variazione del potere della moneta.
Si può affermare, in sintesi, che locatore e conduttore hanno la piena libertà di pattuire la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo, purché ciò avvenga con la stipula del contratto di locazione e nel rispetto dell’art. 32 l. 392/1978, rispetto valutabile in sede giudiziaria attraverso un esame della fattispecie concreta.
(di Ludovico Lucchi del Foro di Milano)