Una delle azioni promosse dal Governo Letta è stato il proseguimento dell’iter della norma sul consumo di suolo, ormai inderogabile, che le Regioni tuttavia hanno bloccato. Vediamo il perché
L’Italia è uno dei paesi a maggior consumo di suolo. I dati di una recente ricerca dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sulla perdita di naturalità e impermeabilizzazione del territorio evidenziano che dal 1956 al 2010 si è passati dal 2,8% al 7%, nella media nazionale, con una velocità di consumo valutata in 8 metri quadrati al secondo. In termini assoluti, l’Italia è passata da poco più di 8.000 km2 di consumo di suolo del 1956 ad oltre 20.500 km2nel 2010, un aumento che non si può spiegare solo con la crescita demografica: se nel 1956 erano irreversibilmente persi 170 m2 per ogni italiano, nel 2010 il valore raddoppia, passando a più di 340 m2. Ma la situazione è molto differenziata a livello rgionale e locale. Nel 1956 la graduatoria delle regioni più cementificate vede la Liguria, superare di poco la Lombardia con quasi il 5% di territorio sigillato, distaccando – Puglia a parte (4%) – tutte le altre. La situazione cambia drasticamente nel 2010: la Lombardia, superando la soglia del 10%, si posiziona in vetta alla classifica, mentre quasi tutte le altre regioni (14 su 20) oltrepassano abbondantemente il 5% di consumo di suolo. Alcuni approfondimenti regionali evidenziano poi che vi sono situazioni di fortissimo consumo in alcune aree. In Veneto ad esempio tutta la fascia centrale della futura città metropolitana di Venezia vede alcuni comuni superare la soglia del 25% di territorio urbanizzato. L’impermeabilizzazione, riducendo l’assorbimento delle acque meteoriche, è una delle cause dell’aumento dei dissesti che ogni anno colpiscono le diverse aree del paese e che creano notevoli danni a cose e persone. Il Governo, il 15 giugno scorso, aveva varato un disegno di legge intitolato “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”, ma il testo è stato contestato dalle Regioni in quanto “privo di una visione strategica e complessiva del territorio” con il rischio di “portare a un blocco degli strumenti urbanistici vigenti”. Secondo le Regioni il testo del disegno di legge ha una impostazione concettuale e il conseguente articolato che ricalca pedissequamente la proposta presentata nella precedente legislatura dall’allora ministro Catania, vanificando di fatto il lavoro emendativo che le Regioni avevano condotto su ddl. Secondo le Regioni, il tema del consumo di suolo “è complesso e strategico e va inquadrato non in un’ottica settoriale ma al contrario con una visione unitaria di territorio e di politica territoriale integrata”. La posizione, condivisibile, peraltro è suffragata anche da azioni che le singole Regioni stanno portando avanti con propri provvedimenti. Una su tutte, il Veneto, che in questi mesi sta promuovendo una legge regionale sul tema. E’ di tutta evidenza che una norma nazionale sul consumo di suolo deve non solo rispettare le prerogative regionali, ma anche deve essere in grado di misurare l’impatto sulle norme locali, in primo luogo quelle urbanistiche. Un blocco indifferenziato di tre anni alle attività, se non coordinato, rischia di creare più danni di quelli che vorrebbe contrastare. Con ricorsi, contenziosi e con notevoli problemi di gestione che ricadrebbero in modo diseguale sui comuni e sulle regioni. Il tema del consumo di suolo è talmente pressante e rilevante che è impensabile ipotizzare che si possa procedere attraverso un disegno di legge non condiviso. La questione riguarda direttamente la costruzione di una politica di governance territoriale che deve essere inquadrata in una visione unitaria e di politica territoriale integrata, e non può riguardare solo l’uso agricolo del territorio, con meccanismi complessi e, a detta delle Regioni, sostanzialmente inapplicabili. Di tutto abbiamo bisogno in questo momento, tranne che di ulteriori norme e provvedimenti che rendano più complessa la gestione dell’uso del suolo e del territorio. E’ importante che su queste tematiche non si pensi di fare passi avanti che sono, in realtà, dei veri e propri passi indietro. Queste norme, inoltre, hanno un impatto diretto sulle attività edilizie e non si può pensare che la questione sia risolta solo guardando alla quantità di superficie agricola, senza evidenziarne la qualità, le caratteristiche di biodiversità e di integrazione con le altre funzioni del territorio. Aspettiamo dunque gli esiti dell’evoluzione del dibattito, sperando in una maggiore concertazione tra istituzioni per la definizione di una legge quadro che contenga non solo indicazioni su cosa non si deve fare, ma anche su dove e come intervenire per migliorare il nostro territorio e, di conseguenza, anche le nostre città.