Se non credete a quello che dicono gli imprenditori, leggete ciò che ha scritto in luglio la Banca d’Italia: «Nel secondo trimestre del 2013 le politiche di offerta dei prestiti alle imprese sono divenute lievemente più restrittive, riflettendo principalmente prospettive sfavorevoli per l’attività economica e un connesso maggiore rischio di credito». Insomma, dopo il fiume di parole sulla necessità di fornire liquidità a chi fa lavorare il Paese, cioè il sistema-imprese, nulla è cambiato. Anzi, la situazione sembra peggiorare: i banchieri investono i soldi raccolti o che ottengono dalla Bce a tassi bassissimi in titoli di Stato, che rendono di più. E alle imprese vanno le briciole. Nonostante i proclami dell’Abi, l’associazione dei maggiori istituti di credito, insomma, il credit crunch continua imperterrito.
Certo, è più complicato concedere soldi alle imprese quando la congiuntura è difficile e il rischio di insolvenze aumenta. Ma si potrebbe chiedere ai signori banchieri perché questa cautela non è stata utilizzata per i grandi nomi della finanza, quelli che hanno lasciato voragini grandi come il costo dell’abolizione dell’Imu. Prendiamo il caso di Romain Zaleski, finanziere di origine polacca, ma trapiantato in Italia, che nel decennio scorso è stato foraggiato senza limiti dai maggiori istituti. Ora le banche si sono accorte che ha un passivo di 3,2 miliardi (sì, miliardi, non milioni) e che non li rimborserà mai. A una piccola impresa manderebbero un’ingiunzione, un’istanza di fallimento, chiederebbero il sequestro dei macchinari. Pazienza se poi i dipendenti rimangono senza lavoro e l’azienda non riapre più. Con la Tassara (la holding di Zaleski), è invece in corso una lunga trattativa, un minuetto che, scommetteteci, non lascerà in mutande il vegliardo finanziere. Oppure, possiamo fare il caso dei Ligresti, che hanno lasciato un buco da mezzo miliardo dopo aver utilizzato le loro società (quotate in Borsa, per giunta) per gestire gli affari di famiglia. Per non parlare dei casi Parmalat, Cirio… E chi prestava loro i soldi? Risposta esatta: le stesse banche che lesinano fondi alle piccole e medie aziende. Che chiudono le linee di credito agli imprenditori che non utilizzano jet privati per spostarsi e non hanno figlie con la passione per l’equitazione, non hanno alberghi disastrati da piazzare in pancia alle loro società, e perfino terreni da comprare e rivendere a stretto giro di posta, guadagnandoci a spese degli azionisti di minoranza. Insomma, per farvi ascoltare dalle banche dovete prima avere almeno qualche centinaio di milioni di debiti. Poi sì che vi tratteranno con rispetto.