È stato invocato, poi approvato e, infine, contestato: il nuovo Codice degli Appalti è entrato in vigore nel giugno scorso. Ed è stata subito polemica: le imprese hanno contestato la transizione a loro dire troppo veloce. In effetti, il passaggio dal vecchio sistema a quello nuovo, seppure considerato migliorativo anche dalle aziende, ha provocato nella seconda parte dello scorso anno un blocco dei lavori. Ora, però, il governo ha deciso di porre rimedio con una una raffica di modifiche (54 articoli e 245 correzioni) che dovrebbero alleggerire il trauma del passaggio. In aggiunta, si preannuncia una discussione aperta con gli attori in campo, prime tra tutte le imprese, che discuteranno eventuali modifiche alle modifiche. Insomma, una linea collaborativa, frutto dell’iniziativa del ministro alle Infrastrutture Graziano Delrio. Tra le modifiche proposte, l’eliminazione del divieto di appalto integrato, le gare sul progetto definitivo saranno ammesse per opere a prevalente contenuto tecnologico, e le pubbliche amministrazioni potranno riproporre i progetti approvati prima della riforma e bandire le gare. Altra modifica: il periodo di riferimento per ottenere i requisiti salirà da cinque a dieci anni (in pratica si passa al pre-crisi delle costruzioni). Non sarà più obbligatorio ottenere un giudizio dall’Anac (Autorità anti corruzione), ma se richiesto, farà guadagnare punti, ovviamente con un giudizio positivo. Per il subappalto il tetto del 30% si applicherà solo a lavori prevalenti e non su tutto il valore delle opere, ma è sottoposto alla decisione delle amministrazioni. La parola d’ordine, insomma, sembra quella della flessibilità. Tutta da verificare in sede di discussione.