Anie: riportare in Italia la produzione

Produrre in Italia: si può e si deve. È l’obiettivo dell’Anie, emerso all’assemblea annuale di categoria. Il processo di rientro della produzione delocalizzata si chiama back reshoring, che insieme a innovazione ed education sono i punti fondamentali della strategia dell’associazione. Il back reshoring, in particolare, è stato al centro di uno studio realizzato dalla Federazione con il contributo di Luciano Fratocchi, professore di Ingegneria economico-gestionale all’Università de L’Aquila. Dallo studio emerge che i settori Anie rappresentano quasi il 20% del totale del fenomeno italiano, piazzandosi in seconda posizione alle spalle solo di abbigliamento e calzature. Est Europa(38,5% dei casi) e Cina (30,8%) sono le aree geografiche da cui si ritorna di più, per un fenomeno che si origina nel 40% dei casi dalle piccole e medie imprese. Tra le motivazioni più rilevanti per il rientro, il minore controllo della qualità della produzione all’estero (“molto rilevante” per un terzo delle aziende Anie intervistate), la necessità divicinanza ai centri italiani di R&S (25%) e i maggiori costi della logistica (22%).

Claudio Andrea Gemme
Claudio Andrea Gemme

«L’ultimo decennio, a causa di due violente recessioni estremamente ravvicinate, ha cambiato la storia dell’industria manifatturiera», ha commentato Claudio Andrea Gemme, Presidente di Anie Confindustria. «Tuttavia, la new economy basata solo sulla finanza e sui servizi è fallita: senza la manifattura il Paese muore. Il nostro studio ci dice che tornare a produrre in Italia non è utopistico. Qualcuno ha già iniziato a farlo, altri lo farebbero se si creassero le condizioni per poter lavorare: abbattimento della pressione fiscale e della burocrazia, detassazione degli utili reinvestiti in ricerca e innovazione, valorizzazione del know how tecnologico e della qualità del made in Italy, promozione degli asset strategici del Paese».

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