John Belushi aveva sintetizzato bene il problema: «Quando pensi che a nessuno importi se sei vivo, prova a non pagare per due mesi la rata della macchina». Ma se fosse vissuto in Italia l’attore americano avrebbe alzato come minimo la soglia a sei mesi. O anche otto e più. Perché quando si parla di pagamenti, da Palermo a Trieste, da Torino a Bari, si deve tradurre il significato con ritardi. E non si tratta di uno sport innocente: procrastinare il saldo dell’acquisto di un prodotto o di un servizio, in barba alle normative europee, è uno dei punti deboli dell’intera economia italiana. Lo indicano i numeri: un’impresa su quattro sostiene che una delle conseguenza dei ritardi di pagamento è il licenziamento dei lavoratori. Non solo: sempre a causa delle dilazioni, il 39% delle aziende non ha assunto nuovo personale e il 20% è stata costretta a mandare a casa i propri collaboratori. Certo, i 26 miliardi finora rimborsati dalla pubblica amministrazione alle aziende hanno tamponato un po’ di falle e molti sostengono che Comuni, Province e Regioni stanno (in media) onorando le proprie posizioni un po’ più velocemente rispetto allo scorso anno. Tuttavia, i ritardi di pagamento riducono la liquidità aziendale, aumentano il livello delle perdite su crediti e ostacolano i piani di espansione. Senza contare il danno pregresso, che nessuno rimborserà mai: il ritardo dei pagamenti ai fornitori della pubblica amministrazione ha determinato un costo del capitale a carico delle imprese italiane di oltre 6 miliardi di euro all’anno, quasi 30 miliardi nel periodo 2009-2013. La stima è del centro studi di ispirazione liberale ImpresaLavoro di Udine, promosso dall’imprenditore Massimo Blasoni e coordinato dall’economista Giuseppe Pennisi.
È un euromalessere Non è un male solo italiano, intendiamoci. Il 55% delle oltre 10mila aziende che hanno partecipato all’indagine European Payment Index 2014 afferma di soffrire a causa dei ritardi e insolvenze di pagamento. La conseguenza della difficile situazione economia quella citata è che oggi si registra la percentuale più alta nella storia delle indagini Epi: il 36% delle aziende intervistate afferma che ritardi e insolvenze minacciano la loro stessa sopravvivenza e per il 50% rappresentano un ostacolo alla crescita della loro attività. Soffrono persino i Paesi in crescita, figuriamoci in Italia: in Germania, l’economia più grande d’Europa, per esempio, i manager interrogati nel corso dell’indagine hanno riferito che le aziende ora soffrono per la mancanza di liquidità. Circa il 35% delle aziende tedesche ha affermato che i ritardi di pagamento hanno un forte impatto sulla decisione di licenziare le persone. E la stessa situazione si fotografa altrove, con circa il 30% delle aziende del Regno Unito, il 28% in Spagna e il 25% in Francia che hanno evidenziato la stessa correlazione.
Mal comune… Nonostante la fine della recessione (perlomeno da un punto di vista statistico), il totale delle perdite a causa dei crediti inesigibili in Europa è aumentato ulteriormente dal 3 al 3,1%, pari a un totale di 360 miliardi di euro. In Europa, negli ultimi otto anni, la percentuale di perdita a causa dei crediti inesigibili è continuata ad aumentare ogni anno, anche se in Italia il livello di perdita su crediti è diminuito negli ultimi 12 mesi in maniera omeopatica: dal 2,7 al 2,6%, come conseguenza della decisione governativa di accelerare la montagna di pagamenti pregressi. In ogni caso, il valore totale dei crediti che saranno cancellati dai bilanci delle nostre aziende corrisponde a 35 miliardi di euro.
«I ritardi di pagamento innescano una reazione a catena negativa per le imprese, dove la mancanza di liquidità costringe a prendere misure restrittive. Le più colpite sono le piccole e medie aziende che rappresentano la componente principale della crescita della nostra economia», ha commentato alla presentazione dell’European Payment Index Davide Magri, amministratore delegato di Intrum Justitia Italia, società specializzata nel recupero crediti. «Le aziende europee, che sono in credito verso i propri clienti di 360 miliardi di euro, ora devono mettere a perdita tali somme e non possono investire questo denaro per la crescita della loro attività. Se tutte le fatture fossero pagate in tempo, i posti di lavoro aumenterebbero. Ecco perché la gestione del credito è una chiave fondamentale per una sana economia. Staremmo tutti meglio se le fatture fossero pagate in tempo». Sarà anche un commento interessato, vista l’attività di Intrum Justitia Italia, ma chi aspetta di essere compensato per il proprio lavoro non può che trovarsi d’accordo. Tra l’altro, non tutti concordano persino con il seppur minimo miglioramento: i dati dell’ultimo rapporto di Cribis D&B indicano nel primo trimestre 2014 una nuova riduzione nel tasso medio di puntualità, calato al record negativo del 38%, cioè 1% in meno rispetto al trimestre precedente e un crollo di quasi otto punti se il paragone è con lo stesso periodo del 2013. Secondo Cribis D&B, se lo scorso anno i ritardi di pagamenti oltre 30 giorni erano solo l’11,1% del totale, oggi la percentuale è aumentata al 16,1% (terzo peggior risultato in Europa dopo Polonia e Portogallo). Il dato negativo interessa soprattutto le Pmi. E questo nonostante la direttiva europea imponga (a parole) il rispetto delle scadenze. «Il problema è che i ritardi gravi stanno diventando la normalità, in un momento in cui oltretutto i tempi medi concordati comunque si allungano e il recepimento della direttiva Ue resta in gran parte sulla carta», è il pensiero di Marco Preti, amministratore delegato di Cribis D&B. Insomma, la situazione è critica perché il ritardo è soprattutto culturale.
Conclusioni: uno dei più famosi proverbi veneti recita: «de pagar e de morir xe sempre tempo». Ma per le imprese il rischio è che tutte e due queste evenienze finiranno per coincidere.