Come calcolare il prezzo al dettaglio? La domanda sembra banale, dato che migliaia di retailer da anni si occupano efficacemente dei propri listini. Ed è vero che l’intuito conta, così come consolidate pratiche che per lungo tempo hanno funzionato.
Ma siamo sicuri che non si può fare di meglio? Giunti nell’anno 2025 il giusto prezzo non può più essere solo affidato alla sensibilità del rivenditore. Non a caso, la sfida ha impegnato centinaia di economisti con differenti punti di vista.
Vale la pena, quindi, di riflettere sul problema, dato che la determinazione dei prezzi ha un impatto diretto sulla redditività e la competitività di un’azienda.
Fissare il valore di un prodotto è una delle decisioni più importanti che i proprietari di un’attività o i manager delegati devono prendere. Quindi come calcolare correttamente il giusto prezzo di un prodotto?
Prezzo al dettaglio: troppo o poco?
Il quesito è fondamentale, dato che i prezzi possono fare la differenza: se sono troppo alti, il rischio è di rimanere penalizzati dalla concorrenza di altri rivenditori. Ma se sono troppo bassi a lungo andare si finisce a non coprire i costi o comprimere troppo la redditività.
Registrata questa banale considerazione, si potrebbe pensare che il listino sia frutto di un’attenta strategia studiata dal distributore. Sfortunatamente in molti, moltissimi casi, non è così.
Secondo il Global Pricing Study, un’analisi condotta dalla società di consulenza Simon Kucher & Partners, le aziende stanno radicalmente sottovalutando il potenziale di un pricing strategico. Lo studio, per esempio, ha rilevato che solo il 12% delle aziende ha identificato il prezzo come il principale motore della futura crescita degli utili.
E, secondo un sondaggio condotto negli Usa dall’Institute for International Research e da Zilliant, solo circa la metà delle aziende ha una strategia di prezzo.
È probabile che la percentuale non sia così distante in Italia. Un altro sondaggio della Professional Pricing Society ha rilevato che il 30% dei rivenditori fissa il prezzo dei nuovi prodotti semplicemente adeguandolo a quello deciso dai concorrenti più prossimi, di solito quelli più forti.
Prendere le misure sul competitor vicino sembra una modalità molto comune a livello globale.E non è sorprendente che una rilevazione abbia indicato come il 45% delle aziende di distribuzione (comprendendo tutti i settori merceologici) utilizzi ancora i fogli di calcolo come strumento principale per la determinazione dei prezzi.
La falsa fiducia
Le ragioni di questo modo di agire, così insufficiente, sono diverse. Per esempio, quando l’azienda agisce in un’economia in espansione, la domanda robusta dei beni venduti, magari abbinata a un programma di riduzione dei costi aziendali, fa aumentare i profitti senza che sia necessario dedicare troppa attenzione ai meccanismi di determinazione dei prezzi: è un po’ quello che è successo con l’ubriacatura da superbonus, quando i materiali si vendevano da soli, spesso a qualsiasi costo.
Un altro aspetto riguarda, invece, il meccanismo stesso di decisione: applicare schemi, regole o formule all’intero listino può essere costoso e, in ogni caso, impegnativo. E, inoltre, spesso i metodi studiati a tavolino dagli economisti si rivelano di difficile applicazione.
Eppure, una migliore determinazione dei prezzi è un meccanismo essenziale per il successo di un’impresa commerciale, soprattutto in un settore altamente competitivo come quello dei materiali e servizi per l’edilizia.
Come si fa il prezzo al dettaglio
Il primo passo è considerare le strategie messe a punto negli anni dagli esperti di marketing. Esiste un intero elenco di formule matematiche collaudate per determinare i prezzi al dettaglio che possono aiutare.
Le soluzioni sono diverse, ma di solito sono anche di gran lunga superiori al semplice affidamento all’istinto o a determinare la propria strategia semplicemente, come accennato, misurandola sul leader di mercato in una determinata area.
In realtà la strategia di prezzo è multifattoriale, tiene cioè in considerazione diversi aspetti.
Com’è ovvio, il prezzo al dettaglio è il costo che un cliente paga per un articolo in un dato mercato, quando viene trasferito dal produttore al consumatore. Per determinare questo importo, in linea generale al costo iniziale si aggiunge il ricarico e si ottiene il prezzo al dettaglio.
La formula più comune per calcolare il prezzo al dettaglio è quindi il modello del costo maggiorato a fattore singolo, che prevede la stima dell’incidenza dei beni e l’aggiunta al ricarico target, cioè la percentuale che si vuole ottenere dal prezzo di vendita al dettaglio.
In un determinato settore, come l’edilizia, il ricarico varia tipicamente secondo la tipologia di prodotto, con maggiorazioni predeterminate. Per esempio, sul laterizio il ricarico può essere diverso rispetto a un materiale isolante.
Le formule
Alcune semplici formule possono indicare ai rivenditori un vantaggio competitivo nei prezzi e nella fissazione degli stessi in base alle loro specifiche esigenze. Le tre più importanti considerano lo stesso risultato da diversi punti di vista.
La prima determina il prezzo al dettaglio come risultato del costo della merce a cui aggiungere semplicemente il ricarico stabilito.
Al contrario, la seconda considera il markup, cioè la percentuale che è relativa ai costi di produzione per determinare un prezzo di vendita.
Il terzo punto di vista, invece, parte dal costo dei beni come risultante del prezzo al dettaglio meno il ricarico. Sono, in sostanza, tre modi di considerare lo stesso concetto, ma partendo da fattori diversi.
Le formule fisse (oltre a quelle citate ne esistono molte altre) hanno, però, dei limiti. Innanzitutto, danno per scontato che i costi unitari medi siano lineari e stabili nel tempo, ma in realtà nessun valore rimane statico.
Inoltre, una formula applicata acriticamente non considera la dinamica della domanda, in genere supponendo che essa rimanga costante nel tempo. Ma sappiamo che così non è.
Skim Pricing
Al contrario, qualsiasi strategia volta a stabilire un prezzo ottimale deve tenere conto della ricca e intricata rete di fattori che influenzano ogni decisione di acquisto.
Non si tratta di un processo puramente pragmatico e razionale e qualsiasi formula di determinazione del prezzo al dettaglio deve essere sufficientemente flessibile per riflettere tale complessità.
Per esempio, occorre tenere conto dei processi della vendita al dettaglio, delle risorse e delle capacità dell’attività commerciale, delle esigenze reali del mercato assieme a quelle psicologiche della fascia di clienti servita.
Per questo, quando i rivenditori introducono un nuovo prodotto sul mercato possono prendere in considerazione diverse strategie di prezzo.
Una di queste è il cosiddetto Skim Pricing. Si tratta della pratica di stabilire un prezzo iniziale elevato, che sarà poi scontato strategicamente nel tempo (skimming, letteralmente la scrematura).
I vantaggi dell’implementazione di prezzi scontati quando si introduce un nuovo prodotto sono diversi.
Inizialmente il prezzo più alto attrae acquirenti più propensi a spendere, che sono meno sensibili al costo e hanno una domanda diretta sul prodotto, come avviene di solito soprattutto a livello consumer.
Quando quel segmento di consumatori è saturo, abbassare il prezzo consente ai rivenditori di ampliare l’attrattiva del prodotto.
Il prezzo di skim è consigliato quando c’è un alto livello di differenziazione del prodotto, ovvero quando non ci sono tanti oggetti simili sul mercato.
Il prodotto deve essere abbastanza speciale da meritare un prezzo iniziale più alto nella mente dei consumatori.
Prezzo di penetrazione
Un’altra strategia per determinare il listino prevede, al contrario, di stabilire il cosiddetto prezzo di penetrazione.
In sostanza, è il concetto opposto a quello dello skimming. In questo caso si tratta di stabilire un prezzo iniziale basso (si parla sempre di un nuovo prodotto) per attrarre clienti.
Il vantaggio dei prezzi di penetrazione sarebbe quello di accelerare l’adozione di un nuovo strumento o materiale e contribuire a far sì che un nuovo prodotto diventi uno standard di mercato.
Un’altra alternativa è quella dei prezzi dettati dalla curva di esperienza: è un concetto simile a quello precedente. Il prezzo della curva di esperienza si riferisce all’impostazione di un valore iniziale basso.
In questo scenario, il prezzo è correlato alla cosiddetta curva di esperienza, che giustifica il costo inferiore con l’ipotesi che i costi unitari diminuiranno con l’aumento del volume di produzione.
In sostanza, il distributore punta ad affermare un prodotto senza un forte ricarico, con la convinzione che il successo dell’articolo ne farà scendere successivamente il costo e ristabilendo così il margine desiderato.
Questo approccio può contribuire ad aumentare rapidamente il volume del venduto e aiutare a ridurre i costi di produzione unitari. Ma è una strategia che può essere utilizzata solo da catene di distribuzione di grandi dimensioni. È comunque una scommessa.
Il leader pricing
I prezzi competitivi sono invece un’opportunità quando i rivenditori operano in un contesto economico in cui il mercato è maturo ed è facile stimare la domanda, che si prevede rimanga costante.
Il cosiddetto leader pricing (che nei Paesi aglosassoni chiamano anche umbrella pricing) prevede che un rivenditore si assuma il rischio di essere il primo a modificare i prezzi, con l’aspettativa che i suoi concorrenti rispondano facendo lo stesso.
I rivenditori che adottano il leader pricing avranno spesso prezzi più alti rispetto ai loro concorrenti in generale e, il più delle volte, avranno anche la quota di mercato più alta per il loro prodotto.
Una variante è il parity pricing: implica che un rivenditore mantenga un prezzo relativo costante con i suoi concorrenti o semplicemente adotti i prezzi di mercato prevalenti.
Il pricing di parità è consigliato solo per i rivenditori che operano in un mercato maturo e hanno costi elevati.
Le linee di prodotto
Quando un rivenditore offre diversi prodotti o servizi correlati (per esempio, materiali e consulenza sull’utilizzo, oppure sulla progettazione) può prendere in considerazione altri mix per determinare il prezzo al dettaglio.
Una strategia è quella dei prezzi dei prodotti complementari: prevede la definizione di un prezzo basso per il prodotto principale e di uno alto per i suoi accessori o prodotti correlati.
È un classico in ambito consumer: se il rasoio in offerta costa poco, sono invece care le lamette di ricambio, idem per le stampanti, offerte a prezzi di costo, ma con un prezzo delle cartucce di inchiostro di ricambio piuttosto alto.
Lo stesso criterio si può però applicare anche all’ambito professionale. Per esempio, un servizio gratis o scontato legato all’acquisto di un prodotto.
Anche la strategia di determinare interi pacchetti di prezzi implica che un rivenditore offra più prodotti correlati, o uno principale e i suoi accessori come fossero un’unica unità a un prezzo più basso rispetto a quello che si avrebbe se ogni prodotto fosse venduto separatamente.
È stato dimostrato che il raggruppamento dei prezzi è una strategia altamente efficace per incrementare le vendite, poiché induce gli acquirenti a credere di concludere un buon affare.
Customer value
Un’altra strategia è quella del customer value pricing: in questo caso il rivenditore offre diverse versioni di un prodotto.
Per esempio, lo strumento di lavoro più costoso della linea con tutte le funzionalità, mentre altre iterazioni dello stesso prodotto con sempre meno funzionalità sono offerte a prezzi sempre più bassi. Questa strategia aumenta le vendite in un mercato a bassa crescita.
Un ultimo consiglio: se un rivenditore offre una linea di prodotti che spazia in modo significativo da quello molto economico a quello più costoso, i clienti acquisteranno quasi invariabilmente i prodotti più convenienti e ignoreranno quelli più dispendiosi.
La pratica indica che i rivenditori dovrebbero evitare grandi differenze di prezzo nella stessa gamma per incoraggiare gli acquirenti a considerare i prodotti più costosi.
Quali prezzi al dettaglio funzionano meglio?
Tutti i rivenditori sanno che i numeri sul cartellino del prezzo hanno non solo un valore concreto, ma anche un impatto psicologico, come confermano numerosi studi sul comportamento degli acquirenti.
Per esempio, per materiali o prodotti di valore più modesto gli acquirenti tendono a essere più attratti dai prezzi che terminano con i numeri dispari: 1,3,5,7 o 9 (ma soprattutto 5 e 9).
Funziona bene anche il prezzo che ha un numero appena sotto lo zero, come 0,39, 0,99 ma anche 7,95. Uno studio ha persino scoperto che i consumatori sono meno propensi ad acquistare un articolo quando il prezzo ha un numero pari.
Per esempio, è accettato di più un prezzo di 11,99 euro piuttosto che 10,44 euro. Secondo queste conclusioni, il numero finale dispari suggerisce agli acquirenti che stanno ottenendo uno sconto.
Ma, attenzione: questo meccanismo non vale per tutti i prodotti. Al contrario, se si considera la gamma più alta, il meccanismo si inverte: un prezzo che termina con 9 porta con sé la connotazione di sconto, ma anche di qualità inferiore e servizio scadente.
Quindi, per prodotti di fascia alta può essere più efficace terminare il prezzo con lo zero. Difficile stabilire se questo concetto possa essere applicato anche in ambiti come l’edilizia: probabilmente funziona per prodotti come ceramiche, porte, finiture.
Un altro aspetto che riguarda la magia dei numeri è quello relativo alla prima cifra di un prezzo, che è considerata la più significativa. Per esempio, i consumatori sono più disposti a tollerare un aumento di prezzo da 20,51 euro a 20,57, rispetto a un aumento da 29,99 a 30,03, anche se nel secondo caso la differenza del maggiore costo è inferiore.
di Giuseppe Rossi