Rivenditori edili: da soli o in gruppo?

Insieme o da soli? Una domanda che rimbalza nella mente dei rivenditori edili e degli imprenditori della distribuzione edile da almeno un ventennio.

Ognuno sino a oggi ha risposto a modo suo, anche perché la congiuntura degli ultimi anni ha posto il problema in secondo piano. Ma domani?

Ovviamente, in un convegno dedicato ai temi più attuali del settore della distribuzione edile nazionale, come è stato quello organizzato da YouTrade lo scorso ottobre, non poteva mancare uno dei temi più cari e dibattuti: il progressivo processo di concentrazione delle rivendite di materiali edili.

Il fatto che se ne parli diffusamente da una ventina d’anni non toglie quel velo di attualità che avvolge sempre queste discussioni.

Quanti rivenditori edili si sono chiesti almeno una volta se sia il caso o meno di entrare a far parte di una organizzazione commerciale? Presumo tutti, per poi rispondersi in modo affermativo o negativo, ma comunque la grande maggioranza.

Un altro fatto è che, magari, vent’anni fa i dubbi erano più o meno trascurabili, oppure la necessità di una decisione non così pressante.

In vent’anni, però, il mercato è fortemente mutato, anche gli imprenditori della distribuzione hanno cambiato anche più volte il loro punto di vista, valutato le opportunità e i rischi.

L’idea di perdere il pieno controllo della propria azienda un tempo era considerato un forte deterrente, oggi la cosa fa un po’ meno paura, anche perché tutti hanno capito che far parte di un gruppo, un consorzio, un’insegna, eccetera, non significa affatto rinunciare alla propria visione imprenditoriale, e che questa identità imprenditoriale può addirittura diventare più completa ed efficace nel momento in cui si creano nuovi punti di riferimento per la propria attività.

C’è poi un altro fattore non trascurabile: che piaccia o meno, il percorso di concentrazione, già avvenuto in altri settori merceologici, va avanti imperterrito, e non accenna a fermarsi.

E, molto spesso, la rivendita che aderisce ha immediati vantaggi competitivi come l’accesso a marchi per lei fino ad allora irraggiungibili, la possibilità di sfruttare determinate economie di scala, contratti commerciali più convenienti, e poi quel qualcosa di immateriale ma comunque percettibile che riguarda il fatto di far parte di una comunità, commerciale fin che si vuole, ma comunque fonte di collaborazioni, confronti e soprattutto servizi che ben difficilmente uno potrebbe avere lavorando da indipendente.

Sia ben chiaro: queste righe non sono e non vogliono essere uno spot per le aggregazioni di qualsiasi natura, anche perché, e non è la prima volta che lo scrivo, è necessario considerare il valore e la valenza dei multipoint, dove un’unica proprietà è probabilmente in grado di gestire in modo ancora più efficace le sfide del mercato, soprattutto dal punto di vista decisionale.

Ma la forza economica per creare efficaci multipoint non è da tutti, soprattutto nel nostro mercato che rimane pur sempre molto polverizzato, spesso sottodimensionato e destinato ad accedere solo a determinate commesse economicamente sostenibili. Insomma, il famoso nanismo di cui tanto si è parlato.

Quindi, quando il settore della ristrutturazione va a gonfie vele, come è stato negli scorsi anni, anche i piccoli riescono a ritagliarsi una discreta fetta di mercato.

Oggi, però, quando ci attendiamo un brusco calo della manutenzione straordinaria, principale mercato dei rivenditori edili e dei suoi clienti, e mentre il settore dei lavori pubblici sta decollando, ecco che il problema emerge. È avvenuto in passato, avviene ora, e probabilmente avverrà anche in futuro.

È vero che il settore dei lavori pubblici, grazie al fenomeno tanto criticato quanto mai sopito dei subappalti, qualche briciola dal tavolo dei grandi contratti la fa cadere, ma la rivendita edile deve iniziare a ragionare in modo diverso perché, tanto per fare un esempio, secondo una recente ricerca dell’Osservatorio Multicanalità Ferramenta, il dato medio del fatturato della ferramenta attraverso le vendite online ha raggiunto il 20% del totale, quadruplicando la sua percentuale in sei anni.

Il trend è questo, e immagino che anche altre categorie di prodotti stiano mostrando la stessa tendenza. Un concorrente in più? Certo, e non lo scopriamo adesso.

Ecco dunque che il processo di concentrazione cui accennavo all’inizio può rivelarsi utile, se non provvidenziale, per intraprendere percorsi di differenziazione o di accrescimento dell’offerta, di crescita culturale e di scambio di informazioni e di esperienze, tutti valori che saranno con molta probabilità indispensabili per competere nei prossimi anni.

di Roberto Anghinoni

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il commento
Inserisci il tuo nome qui