L’Italia è avviata verso la transizione energetica? Forse l’edilizia è più avanti di quanto si creda, perché altri settori, come l’automotive o gli impianti di produzione balbettano. E anche la distribuzione di energia incontra difficoltà.
Insomma, è più semplice installare un pannello fotovoltaico sul tetto che realizzare un parco eolico.
L’aspetto centrale del problema rimane quello legato a un diverso consumo di energia. È opinione comune che per abbassare le emissioni di Co2 e rendere le città meno inquinate l’energia elettrica sia la soluzione più green.
Tanto che la Ue ha previsto per il 2035 lo stop alla produzione di auto alimentate a benzina o diesel, con un avvicinamento a tappe forzate al traguardo del 2050, quando nel libro degli eurosogni ogni attività produttiva avrà un impatto zero.
Investire sulle reti
Ma volere e potere hanno in comune solo la rima. Un monito arriva dallo Studio intitolato Il ruolo della distribuzione elettrica per una transizione energetica sicura curato da Ambrosetti.
Al centro dell’indagine è la rete di distribuzione, che ha un ruolo chiave per abilitare la transizione energetica.
Per evitare che l’elettrico si trasformi in un boomerang per un intero continente, secondo l’analisi, sono necessari investimenti per permettere alla rete di gestire il cambiamento di assetto del sistema infrastrutturale e far fronte ai cambiamenti climatici. Non si tratta, però, di pochi spiccioli. E le risorse? È uno dei nodi da risolvere e, per ora, non risolto.
Secondo Gianni Vittorio Armani, direttore Enel Grids and Innovability di Enel, «alla luce dei cambiamenti in atto nel sistema elettrico e di quelli richiesti per raggiungere la decarbonizzazione, il consolidamento e sviluppo della rete di distribuzione come mezzo essenziale per abilitare questa evoluzione è di fatto al centro del dibattito energetico attuale. Per sostenere questa nuova importante fase di sviluppo della rete di distribuzione attraverso capitale investito e innovazione è necessario garantire un assetto in continuità, che permetta una stabilità finanziaria e una gestione sostenibile per gli operatori della rete di distribuzione».
Parole che, in modo diplomatico, sembrano tirare in ballo Terna, la società deputata al dispacciamento dell’energia elettrica: la transizione dipende anche dalla possibilità di far arrivare l’energia ovunque.
«Il progressivo aumento della generazione distribuita da fonti rinnovabili e la maggiore elettrificazione dei consumi finali richiedono che la rete di distribuzione elettrica sia adeguata e abiliti una transizione senza strappi», è l’auspicio di Lorenzo Tavazzi, Senior Partner e Board Member di The European House-Ambrosetti e Teha Group.
«L’evoluzione del sistema elettrico e il ruolo della distribuzione richiedono nuovi importanti investimenti nella rete per garantire la continuità delle performance: in Italia nei prossimi dieci anni saranno previsti circa 6 miliardi di euro di investimenti all’anno, che potranno attivare rilevanti impatti diretti, indiretti e indotti nell’economia del Paese».
Sorpasso alternative
Gli aspetti da considerare, però, sono due. Il primo riguarda la produzione, il secondo la distribuzione. Sono ovviamente due fattori strettamente connessi.
La buona notizia è che, secondo i dati di Terna, nei primi sei mesi dell’anno la produzione da fonti rinnovabili (+27,3% rispetto al primo semestre 2023) ha superato per la prima volta la produzione da fonti fossili, che ha registrato una flessione del 19% rispetto allo stesso periodo del 2023, con una ancor più marcata riduzione della quota di quella da carbone (-77,3%).
Inoltre, da gennaio a giugno 2024, la produzione idroelettrica rinnovabile (grazie a due mesi eccezionalmente piovosi al Nord) ha raggiunto un risultato record (pari a 25,92 TWh, +64,8% rispetto al periodo gennaio-giugno 2023).
In generale, nei primi sei mesi del 2024 la richiesta di energia è stata coperta dalle fonti rinnovabili per il 43,8% (contro il 34,9% dei primi sei mesi del 2023). Si tratta del record storico su base semestrale.
Chi consuma
I dati di Terna indicano anche quali settori produttivi consumano: un aspetto che coinvolge anche la filiera delle costruzioni.
L’Indice Mensile dei Consumi Elettrici Industriali nella prima metà anno indica una crescita del 2,7% rispetto a giugno 2023. Ma con dati destagionalizzati e corretti per l’effetto calendario, la variazione si porta a +3,1%.
In particolare, positivi sono i comparti della siderurgia, cemento, calce e gesso, cartaria e chimica. In flessione ceramiche e vetrarie, metalli non ferrosi, alimentari e mezzi di trasporto. Stabile la meccanica.
Traguardo difficile
Consumi a parte, quanto è raggiungibile il traguardo green?
Secondo la Commissione Europea, per raggiungere l’obiettivo di completa decarbonizzazione nel 2050 l’Unione Europea dovrebbe raddoppiare il tasso annuo di installazione delle fonti energetiche rinnovabili rispetto alla media degli ultimi cinque anni. E in gran parte nel vettore elettrico, che dovrà coprire il 60% dei consumi finali europei. È un obiettivo raggiungibile?
Le proteste degli ambientalisti contro i parchi fotovoltaici e le pale eoliche dilagano, nel più classico dei fenomeni Nimby (not in my backyard, non nel mio cortile).
Un mese fa in Sardegna è scoppiata la protesta con manifestazioni e presidi: «Nella giornata mondiale del vento soffia forte in Sardegna la protesta contro la speculazione dell’energia rinnovabile, con decine di autorizzazioni per installare impianti eolici e fotovoltaici in molte zone dell’Isola, anche a ridosso di siti archeologici e di beni artistici e culturali tutelati e di pregio». La prosa è dell’agenzia Ansa.
In Calabria è bollente la contestazione al parco eolico galleggiante che Acciona, multinazionale dell’energia, vorrebbe costruire al largo della costa: giù le mani dal mare.
Nelle Marche un comitato di cittadini si oppone da mesi alla realizzazione di un parco di pannelli solari. La protesta ha portato anche a una diffida nei confronti del Comune per fermare un progetto dal controverso impatto paesaggistico.
Una battaglia non contro le fonti rinnovabili, ma per tutelare il paesaggio, sia ben chiaro, dicono i residenti. L’elenco potrebbe continuare.
Insomma, vogliamo le auto elettriche, basta con le centrali termiche, no al nucleare. Ma il pannello o la pala no, non li vogliamo.
Il fabbisogno
Nel difficoltoso cammino della transizione green, poi, c’è un altro problema. Se le auto circolanti fossero tutte o quasi elettriche, saremmo in grado di coprire il fabbisogno con le energie alternative?
Due ingegneri, Celso Osimani e Ivo Tripputi, si sono messi di buzzo buono a calcolare l’impatto. Il risultato della ricerca si è trasformato in un libro (Il futuro dell’energia nucleare).
«Un’auto elettrica di medie dimensioni e con tecnologie avanzate come la Tesla necessita di 67,5 kWh per percorrere in media 290 chilometri. Poiché le auto private in Italia percorrono in media 12 mila chilometri all’anno, ogni auto di questo tipo avrebbe bisogno di 2.800 kWh», scrivono i due tecnici.
E dato che in Italia circolano più o meno 40 milioni di auto, servirebbero per la ricarica di altrettante vetture elettriche circa 112 TWh/anno, pari alla produzione di 15 centrali nucleari da mille MWe ciascuna.
E le centrali eoliche e solari (ammesso che siano superate le proteste) possono bastare? Secondo Osimani e Tripputi per soddisfare la domanda nazionale per la ricarica delle auto elettriche dal 2035 in poi, «occorrerebbe moltiplicare per sette il parco eolico attuale».
I dati considerati sono quelli di tre anni fa, ma il ragionamento cambia poco. Da un punto di vista tecnico, bisognerebbe ricoprire di pale eoliche non solo ogni collina, ma anche ampi spazi in mare aperto, specie in Adriatico, che ha i fondali meno profondi. Difficile che gli stessi ambientalisti, che considerano le pale eoliche un attentato contro il paesaggio, siano d’accordo.
Discorso analogo per il fotovoltaico: per alimentare il parco nazionale di auto elettriche, secondo i due ingegneri, servirebbero 750 maxi impianti, che occuperebbero 1.125 chilometri quadrati di aree prevalentemente di pianura, senza boschi, senza coltivazioni e non abitate, poco meno di una provincia come Milano.
Senza contare che il picco di domanda per la ricarica della auto elettriche avviene di notte quando le auto sono ferme. Ma di notte il fotovoltaico è assente e l’eolico è spesso carente.
Più produzione
Insomma, per alimentare un futuro parco auto completamente elettrico, bisogna aumentare a dismisura la produzione di corrente e le energie alternative non sono sufficienti.
Inoltre, poi (è il secondo aspetto del problema), l’energia bisogna distribuirla: secondo Motus-E, associazione che monitora le installazioni di colonnine per la ricarica, in Italia a marzo 2024 erano attive 54.164 punti di ricarica destinati alle auto elettriche su un numero di auto elettriche in circolazione che ha raggiunto la cifra di 226.799 unità.
Quindi, un punto di ricarica ogni quattro auto, contando però che una parte delle colonnine private è a uso di una sola vettura.
La Lombardia guida, si fa per dire, la disponibilità con 10.158 punti di ricarica. Seguono il Piemonte (5.841), il Veneto (5.167), il Lazio (5.141) e l’Emilia-Romagna (4.516).
Rare colonnine
È interessante anche un altro aspetto: solo una minima parte delle colonnine sono a corrente continua, per una ricarica relativamente rapida.
La maggior parte (83%) delle colonnine opera a corrente alternata, quella che si usa in casa, e con una potenza massima fino a 49 kW, mentre il restante 17% utilizza corrente continua (Dc), con potenze superiori ai 50 kW: in sostanza sono i punti di ricarica Tesla o quelli che si trovano in autostrada.
Chi acquista un’auto elettrica sa, in ogni caso, che il tempo impiegato per la ricarica dipende molto dalla potenza della colonnina di ricarica stessa commisurata al tipo di vettura.
Inoltre, le batterie non assorbono l’energia in modo omogeneo: quando arrivano all’80%, per esempio, l’immissione di energia è molto più lenta.
Un’auto di grandezza media, con 50 kWh di batteria (come una Renault Zoe o Tesla Model 3) ci mette circa 6.5 ore per ricaricare gli accumulatori con una colonnina da 7.4 kW.
Se, però, si utilizza l’energia domestica, per esempio in un condominio o in una villetta con la classica fornitura di 3 kW, per fare il pieno alle batterie (quando sono quasi scariche) ci vuole il doppio, circa 12 ore.
Le colonnine di ricarica per auto elettriche pubbliche, ammesso di trovarne una disponibile, hanno però una potenza superiore a quelle domestiche: almeno 22 kW. In questo caso la stessa auto media (esclusi quindi Suv o vetture del segmento D e superiori) si ricarica in circa 2 ore, sempre con batteria da 50 kW.
I fortunati che possono utilizzare una colonnina da 50 kW aspetteranno solo un’ora, mentre con una rara stazione elettrica da 350 kW solo, si fa per dire, 25 minuti.
Uno svantaggio per chi è spesso in viaggio, ma un risparmio per chi usa l’auto casa-ufficio e ricarica l’auto la notte, sempre che non debba utilizzare anche una lavatrice o lo scaldabagno elettrico, che sottraggono energia dai 3 kW disponibili: secondo l’Enel, un’auto elettrica comporta un risparmio annuo di circa un migliaio di euro. Certo, al momento acquistarla costa di più.
Più pannelli sui tetti
Pannelli fotovoltaici e colonnine di ricarica, in ogni caso, sono un aspetto che coinvolge le imprese che si occupano di distribuire le attrezzature del fotovoltaico e gli impianti connessi.
Lo testimonia l’analisi presentata da Ambrosetti: nel 2023 in Italia sono state effettuate oltre 370 mila connessioni, sette volte il numero registrato dieci anni fa, a riprova dell’importanza che sta assumendo la generazione elettrica decentralizzata, con impianti di produzione di energia relativamente più piccoli e più vicini ai consumatori finali.
E questo introduce un altro aspetto: se rendere le abitazioni meno energivore, e magari completamente autonome grazie al fotovoltaico, è un obiettivo più raggiungibile rispetto a quello di puntare sull’auto elettrica, perché non concentrarsi sulla riqualificazione degli edifici?
Anche considerando che la direttiva Case green dell’Unione Europea è stata approvata anche con il voto del governo italiano, oltre che del Parlamento di Strasburgo.
Anche gli aspetti legati alla distribuzione sarebbero risolti o, perlomeno, diluiti. Forse la filiera delle costruzioni potrebbe alzare la voce per farlo presente.
di Giuseppe Rossi