La domanda che si fanno gli operatori della filiera dell’edilizia è semplice: che ne sarà della direttiva Case Green europea?
Perché la prospettiva di una riqualificazione del parco immobiliare italiano più obsoleto è una buona prospettiva per l’ambiente, ma anche per il business di chi produce o vende i materiali necessari.
Basti ricordare che in Italia il 55% del residenziale è stato costruito prima del 1970 e un quarto prima del 1945.
Ci sono milioni di case ancora da efficientare. Non è un segreto, però, che il governo italiano è contrario a questa prospettiva, anche se la direttiva europea al momento non sembra in discussione e, quindi, si tratta di capire come metterla in pratica. Certo, dopo il superbonus una nuova maxi spesa pubblica non è ipotizzabile.
Allo stesso tempo, negare il problema e nascondere la testa sotto la sabbia è una pratica da struzzo più che da governo. Meglio sarebbe sedersi tutti attorno a un tavolo, politici, imprese, sindacati, e discutere qual è la strada migliore per arrivare al traguardo.
Per esempio, con una pianificazione pluriennale e con tetti di spesa annui, che siano sostenibili per il bilancio dello Stato. Ancora: l’esperienza del 110% insegna che è necessaria una politica di controllo dei prezzi, per evitare la corsa dei listini.
Inoltre, da sempre gli operatori chiedono tempi certi e regole non mutevoli come una nuvola a primavera: tutto il contrario di quanto ha fatto il governo con il superbonus nei suoi due anni. Lungimiranza vorrebbe che fossero coinvolti tutti i segmenti della filiera. Per esempio, con opzioni per facilitare l’azione di Esco, utility, operatori energetici, general contractor, che possono offrire competenza e risorse finanziarie.
Anche se i proprietari di immobili sono generalmente contrari, occorre una mappa e una patente degli edifici e della loro relativa classe energetica: gli interventi andrebbero concentrati su quelli più malconci.
Se l’obiettivo della direttiva è migliorare la classe energetica, può anche essere una buona idea concepire interventi di portata e di tipo diverso che portino allo stesso risultato, senza eccessivi paletti.
Infine, i bonus di per sé non sono un danno per il bilancio dello Stato se sono indirizzati e riservati a chi ne ha effettivamente bisogno: gli incentivi, insomma, dovrebbero seguire un criterio di progressività.
di Federico Mombarone