Nuova direttiva europea contro il greenwashing

Greenwashing

Il Parlamento europeo precedente ha approvato un provvedimento per limitare il greenwashing, ovvero le pratiche di marketing che hanno l’obiettivo di far sembrare più naturali o sostenibili prodotti che non lo sono.

Con il nuovo Parlamento europeo, la debuttante Commissione di Bruxelles e i mutati equilibri politici seguiti alle elezioni di giugno, cambierà anche la policy green della Ue? È lecito chiederselo.

Una delle decisioni del Parlamento della precedente legislatura, per esempio, riguarda una delle pratiche che tocca da vicino il mondo della produzione, anche quello legato all’edilizia: il cosiddetto greenwashing.

Dato che essere sostenibili, amanti della natura e probabilmente buoni nell’animo è diventato un dovere non solo sociale, ma anche di marketing, sono molte le imprese che in pochi anni si sono scoperte un’anima verde, ma senza che sia cambiato molto nel loro processo produttivo. Una pratica che si chiama, appunto, greenwashing: mostrarsi più amici dell’ambiente di quando si sia in realtà.

I divieti dell’Europa per limitare il greenwashing

Per limitare questa furbizia il Parlamento europeo nel gennaio scorso ha approvato una direttiva con cui vieta le dichiarazioni ambientali generiche e altre informazioni fuorvianti sui prodotti, mentre autorizza a utilizzare solo i marchi che garantiscono sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche.

Inoltre, ha introdotto l’obbligo di rendere le informazioni sulla garanzia dei prodotti più visibili, oltre a introdurre un nuovo marchio di estensione della garanzia.

Insomma, l’obiettivo del provvedimento è quello di migliorare l’etichettatura dei prodotti e, allo stesso tempo, di vietare l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti.

E nonostante le resistenze che attraversano gli schieramenti politici in fatto di salvaguardia ambientale, la direttiva è stata approvata con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni, quindi a larga maggioranza.

Cosa comporta la direttiva anti greenwashing?

Ma che cosa comporta la direttiva? Se sarà applicata nel concreto, vieta l’uso di indicazioni ambientali generiche. Alcuni esempi di definizione che sono vietati: rispettoso dell’ambiente, rispettoso degli animali, verde, green, naturale, biodegradabile, a impatto climatico zero o eco. Più precisamente: sono vietati se il prodotto o il processo di produzione non è certificato.

Un altro aspetto controverso riguarda il termine sostenibilità. Anche in questo caso il bollino blu è demandato a sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche. Anche se va aggiunto che non tutte le autorità pubbliche, influenzate a loro volta dalle dinamiche elettorali, sono in grado di stabilire che cosa sia sostenibile e che cosa non lo è.

Un altro aspetto che impatta sul mondo della produzione, compreso quello per l’edilizia, riguarda il divieto delle dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni. Una decisione che può far venere la pelle d’oca ai produttori di materiali energivori o di derivazione chimica.

Nel mirino della direttiva è anche la durata dei prodotti: per questo le informazioni sulla garanzia dovranno essere più visibili. Non solo: sarà creato un nuovo marchio armonizzato per dare maggiore risalto ai prodotti con un periodo di garanzia più esteso.

Per contro, è vietato aggiungere indicazioni infondate sulla durata (come dichiarare un numero di cicli di utilizzo che non si rivela esatto in condizioni normali), oltre alle false dichiarazioni sulla riparabilità di un prodotto.

di Alessandro Bonvicino

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