È più dolorosa una mazzata sulla testa improvvisa oppure un colpo equivalente, ma atteso? Il senso comune propende per la prima ipotesi, ma è un errore: il dolore alla testa è esattamente lo stesso e i danni provocati non sono diversi. È quello che è accaduto con la procedura di infrazione europea nei confronti dell’Italia. Si tratta, per chiarire i termini agli euroscontenti, di un procedimento il cui meccanismo è stato approvato e votato anche dal governo italiano e dal suo ministro dell’Economia, giusto pochi mesi fa. Insomma, non è un proditorio attacco dei burocrati di Bruxelles all’Italia, ma la conseguenza della riforma del Patto di stabilità, visto e approvato dallo stesso attuale governo italiano. Premesso questo: è sorprendente che i media abbiano accolto la notizia con un’alzata di spalle. In realtà la procedura d’infrazione impatterà sensibilmente con il portafoglio di privati cittadini e imprese.
La procedura di infrazione
In sintesi, la procedura per deficit eccessivo, che coinvolge anche altri sei Paesi, è stata aperta perché lo Stato spende molto più di quanto incassa. Quanto? nel 2023 il 7,4% in più. Immaginate una qualsiasi impresa che fattura 100 mila euro, ma ne spende 107,4 mila. Quanto potrebbe andare avanti? Se il rosso fosse una tantum, a causa di una recessione improvvisa, una pandemia, un’invasione di cavallette, la perdita potrebbe anche essere assorbita senza drammi. Se, però, si tratta di un deficit ricorrente e se, in più, è registrato mentre non c’è ombra di recessione e l’economia tira, allora è frutto di malafinanza. È il caso dell’Italia. La deviazione dalla retta via (il famoso limite del 3%) non è stata considerata temporanea e limitata, dalla Commissione europea che, secondo, gli impegni (ripetiamo: sottoscritti anche dall’attuale governo) deve tappare la falla.
Le conseguenze
Come? Adottando azioni significative entro sei mesi, a cui segue un percorso di aggiustamento che dura generalmente più tempo, in media tra i tre e i cinque anni. Riassumendo: questo governo e i prossimi si troveranno a dover aggiungere un buco in più nella cintura. Anche perché se l’Italia non si adeguerà sono previste sanzioni che aumentano nel tempo e potrebbero causare anche lo stop ai fondi strutturali o di coesione del bilancio europeo. Se c’è ancora qualche stolto che desidera una Italexit, con relativo fallimento di cittadini e imprese, dato che il debito pubblico mostruoso non sarebbe più sottoscritto dai mercati, farebbe bene a meditare sulla propria capritudine.
Quindi, qual è il costo della procedura d’infrazione per l’Italia? Il governo deve garantire un aggiustamento di almeno lo 0,5% del deficit strutturale all’anno, che equivale a spanne a 10 miliardi. C’è però, un rischio peggiore: che il governo si avvalga in sostanza della possibilità dilatatoria concessa dalla legge Ue. La riforma del Patto di stabilità approvata introduce un periodo di transizione (fino al 2027) in cui l’aggiustamento richiesto deve considerare l’incremento negli interessi che si è avuto nel periodo, nonché la necessità di completare gli investimenti previsti dai Pnrr nazionali. In sostanza, la correzione può essere spalmata su più anni. Perché questa è la soluzione peggiore? Perché invece di mettere a stecchetto il bilancio pubblico per un tempo più breve, lo vincola a spendere meno per più anni, con una dieta che si riverbera sugli investimenti (come quelli appena tagliati per il rischio idrogeologico) e, dunque, su imprese e cittadini per lungo tempo. Meglio ingoiare una pillola amara subito che un cucchiaio di sciroppo tutte le sere.