Molte aziende lamentano di non trovare personale con adeguata preparazione. Allo stesso tempo, il 2023 si è chiuso con dati quasi record per tasso di occupazione, con oltre 23,6 milioni di persone che hanno un lavoro. Come stanno le cose?
La statistica
Se è vero, secondo la statistica, che il numero degli occupati è lievitato, con la percentuale salita al 61,5%, permangono squilibri che una politica industriale dovrebbe prendere in considerazione.
Se confrontati al 2019, in Italia sono attivi quasi 500 mila lavoratori in più, ma i dati Istat indicano che il maggior numero di nuovi assunti sia rimasto al Nord. Poco è cambiato negli anni: il 52% ha interessato le regioni settentrionali, il 21% il Centro e il 26% Sud e Isole.
Nessuna novità anche per quanto riguarda i generi, con il 64% di sesso maschile. Anche se nell’estate scorsa il tasso di occupazione femminile è arrivato al record di 52,3%. Che cosa c’è che non va, insomma? Dipende dai punti di vista.
Figure professionali
La difficoltà nell’individuare figure professionali già formate, per esempio, spinge le imprese a offrire lavoro ai più esperti, cioè ultracinquantenni. Secondo l’Istat, la maggior parte dei nuovi occupati ha più di 55 anni.
Non solo. Rispetto al 2019 nel 2023 gli occupati tra i 35 e 49 anni sono diminuiti (circa 530 mila nei primi mesi dell’anno), mentre sono aumentati quelli tra i 50 e gli 89 anni (circa 490 mila).
Per esempio, nel primo trimestre 2023 sono stati 38 mila i nuovi occupati con più di 65 anni, rispetto al 2019. Insomma, avanti i senior. E, attenzione: gli occupati con i capelli grigi non sono assunti con contratti a termine, per tamponare una falla nell’organigramma aziendale.
Al contrario, il picco di occupati è dovuto in larga parte a lavoratori a tempo indeterminato, mentre l’andamento dei lavoratori con contratto a tempo determinato è in calo.
I nuovi occupati, quindi, hanno per la maggior parte un contratto a tempo indeterminato e sono occupati in posizioni a tempo pieno.
I giovani costano meno alle aziende
La conclusione è abbastanza semplice: i giovani costano meno alle aziende, ma non sono funzionali alle mansioni da svolgere. O la scuola non li prepara abbastanza, oppure non sono interessati al tipo di mansione offerta dal mercato.
In ogni caso, c’è qualcosa che non va se le imprese preferiscono spendere di più per assumere adulti, più costosi, ma già formati.
di Federico Mombarone