Un bel po’ di soldi sono arrivati: 85,4 miliardi. Un altro centinaio dovrebbe essere versato dall’Europa. A patto di rispettare i tempi. Un obiettivo che ha indotto il governo una revisione del numero di opere. Come quelle destinate al dissesto idrogeologico.
Pnrr, sigla che sta per Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, oppure per Piano Nascosto Ritardi Riprovevoli? Ma in realtà c’è poco da scherzare su un affare di quasi 200 miliardi che, tra l’altro, in parte l’Italia dovrà restituire, seppure a rate e a un ultra favorevole tasso d’interesse.
Vale la pena di ricordare che il Piano è scaturito nel clima dall’emergenza covid, che ha spinto i Paesi europei a emettere il primo debito pubblico comune pur di incentivare la modernizzazione dei Paesi aderenti (e non far precipitare il Pil).
I fondi sono stati destinati a opere capaci di trasformare il Paese, di renderlo più efficiente, con strutture adeguate. Tutto bellissimo. Fino a quando non si è scoperto che tra il dire il fare c’è di mezzo il diavolo, con obiettivi non raggiunti e un discreto caos tra i tanti progetti pensati e presentati in Europa.
Quindi, a che punto sta davvero il Pnrr? E, soprattutto, quanto sta beneficiando l’edilizia dei fondi entrati nelle casse dello Stato?
Le verifiche
Cominciamo da un dato positivo: quanti soldi hanno riempito le casse dello Stato. Al momento l’Italia ha incassato le prime tre rate da Bruxelles. L’ultima per la verità, di 18,5 miliardi, è stata ridotta rispetto al preventivo a causa del mancato raggiungimento di uno degli obiettivi. E questo è un problema che riguarda proprio la filiera dell’edilizia.
Nel caso specifico, i tecnici della Ue incaricati di verificare se i soldi europei sono stati davvero stati spesi come assicurava il governo, hanno scoperto che le residenze per studenti a cui era destinata parte degli eurosoldi sono state realizzate solo nel mondo dei sogni.
Per questo, dopo un lungo tiramolla, la Ue ha erogato ugualmente la rata, ma ridotta dei fondi non impiegati. Obiettivo che poi il governo ha segnato come conseguito. In ogni caso, finora in totale la Ue ha erogato all’Italia 85,4 miliardi su un finanziamento di 191,6 miliardi.
In attesa della quarta rata
Gli occhi sono ora puntati sulla quarta (18,9 miliardi, già richiesta) e quinta rata. Anche in questo caso, i fondi saranno erogati a patto che gli obiettivi previsti dal Piano, e decisi dall’Italia, siano raggiunti. E qui arrivano i punti dolenti.
Il Piano così come era stato concepito inizialmente, secondo il governo non è realizzabile. Per questo l’esecutivo ha proposto già a inizio anno una rimodulazione generale del Pnrr.
Purtroppo, questa revisione ha effetto su alcuni degli obiettivi. Tradotto: investimenti cancellati. Un esempio che tocca da vicino il mondo delle costruzioni: sono stati eliminati 1,2 miliardi destinati alla gestione del rischio alluvione e la lotta al dissesto idrogeologico, che avrebbero dovuto essere destinati alle Regioni.
È un peccato, visto quello che si legge sulle pagine di cronaca dopo gli eventi meteo estremi che flagellano l’Italia. Anche i presidenti delle Regioni sembra non abbiano gradito.
Inoltre, hanno spiegato sindaci e governatori, c’è il rischio di un blocco dei cantieri se, come il governo ha ipotizzato, sia utilizzata la quota regionale del Fondo Sviluppo e Coesione per rifinanziare i progetti del Pnrr rimasti al palo.
Rimodulazione
La quinta rata, legata alle proposte di rimodulazione del Pnrr inviate a Bruxelles, vede gli obiettivi da raggiungere entro fine anno scendere da 69, a cui era collegata una tranche da 18 miliardi, a 51, divisi in 30 target (erano 46) e 21 milestone (erano 23).
In 13 casi il governo ha chiesto un rinvio, mentre per sei la cancellazione e basta. Di che si tratta? Di opere di carattere locale, come impianti per il biometano, i citati interventi contro il dissesto idrogeologico, investimenti nell’eolico, ma anche digitalizzazione del traffico aereo.
Il rinvio della scadenza riguarda invece gli otto obiettivi che vanno dalla banda ultralarga nelle isole minori, allo sviluppo delle piste ciclabili urbane, fino alla semplificazione della governance dei parchi e delle aree marine protette, oltre a servizio civile universale e telemedicina. E c’è uno slittamento anche per due misure relative al settore idrico.
Sfumano anche altri 6 miliardi destinati ai Comuni: erano destinati alla sicurezza del territorio e all’efficientamento energetico degli edifici pubblici.
Per sintetizzare: il governo sostiene che i Comuni non sono in grado di portare a termine i progetti. I Comuni ribattono che senza quattrini non si va da nessuna parte.
Investimenti
Naturalmente non bisogna fare l’errore di considerare i tagli il punto centrale della questione. Anche se il governo ha cassato opere pubbliche utili, restano comunque tanti i lavori in corso e progetti che saranno realizzati.
L’ultima cabina di regia a metà ottobre, per esempio, ha stabilito un finanziamento complessivo di 1,2 miliardi per interventi di ripristino di strutture e infrastrutture pubbliche danneggiate e di riduzione del rischio residuo per incrementare la resilienza delle comunità locali.
L’investimento per i progetti in essere ammonta a 400 milioni di euro, mentre per i nuovi cantieri sono stati destinati 800 milioni. La misura prevede la pubblicazione di tutti i bandi di gara entro il 30 novembre 2023.
Allo stesso tempo, però, la stessa cabina di regia ha stabilito di avviare un monitoraggio rafforzato, con tutte le Regioni, per verificare il rigoroso rispetto del termine previsto. Insomma, diamo fiducia alle amministrazioni locali, ma non troppo.
Scuole bocciate
Un altro scricchiolio, che tocca da vicino il mondo dell’edilizia, è quello che riguarda le scuole innovative: 212 progetti per nuovi edifici altamente sostenibili.
Il 50% degli interventi gestiti e coordinati da Invitalia (Agenzia per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, di proprietà del ministero dell’Economia) non rispetterebbero i canoni della progettazione esecutiva. Bisogna, quindi, rimetterci mano.
Obiettivo è ottenere un’altra proroga. L’obiettivo era stato portato avanti con un concorso di progettazione per reclutare gli architetti chiamati a disegnare le opere poi affidate alle Province, soggetti attuatori.
Risultato: gli enti locali hanno visto arrivare le carte in ritardo rispetto al programma, oppure i lavori si sono bloccati durante la realizzazione dei progetti. Di chi è la colpa? Del governo centrale o delle amministrazioni locali? Difficile stabilirlo.
«Questa caccia alle colpe degli enti locali, l’unico comparto dello Stato che sta facendo il suo dovere come mostrano i numeri, non mi sembra l’atteggiamento migliore», ha accusato il presidente dell’Anci (l’associazione dei Comuni), Antonio Decaro.
Il superbonus
Un altro punto dolente riguarda il RepowerEu pacchetto di crediti d’imposta destinati a finanziare anche i bonus edilizi, limitati però a giovani e famiglie meno abbienti. La Ue ha acceso un faro su questo aspetto, che considera controverso nella sua impostazione.
Tra i punti che risultano come obiettivi raggiunti nel file Excel che si può liberamente scaricare dal sito governativo Italia Domani, che è quello specificatamente destinato a informare sul Pnrr, si scopre, per esempio che uno degli obiettivi considerati raggiunti è «Entrata in vigore della proroga del superbonus agganciati alla quinta rata, che scadono il 31 dicembre». Il che suggerisce una certa ironia, visto che poi l’incentivo è stato cancellato.
Il balletto
Il Pnrr si è rivelato talmente complicato da monitorare, che si assiste quasi quotidianamente a un balletto di dichiarazioni che il comune cittadino o l’impresa non sono in grado di valutare.
Per esempio, secondo il ministro per i rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, va tutto bene: «Stiamo lavorando per la quarta rata. Stiamo lavorando bene, qualcuno pensava che avremmo sconvolto il Pnrr, invece lo abbiamo semplicemente aggiornato per quegli obiettivi che non erano più raggiungibili, lo abbiamo attualizzato. Abbiamo rivisto il piano profondamente ed è stato essenziale il ruolo del Parlamento», ha scandito il 18 ottobre.
Lo stesso giorno, Antonella De Gregorio, titolare dell’hotel Urban Garden a Tiburtina (Roma), ha lamentato che i fondi del Pnrr sono in ritardo. «Se non arriva il finanziamento, devo chiudere i cantieri», ha lamentato l’impreditrice.
Norme e dettagli
Infine, oltre alle revisioni del governo, c’è il problema della burocrazia. Basta leggere la recente dichiarazione del sindaco di Firenze, Dario Nardella: «Ho un elenco di 43 adempimenti per realizzare un’opera pubblica finanziata con il Pnrr. La prima riforma da
fare è la semplificazione se vogliamo che il piano vada in porto. Occorre fare riforme vere per avere modelli sostenibili altrimenti perderemo questa grande occasione per il Paese. Serve una riforma della burocrazia e dell’amministrazione. Città ed enti locali sono l’ultimo anello di una catena troppo pesante che non reggiamo».
A proposito di burocrazia, che di per sé non è una parolaccia, ma indica le procedure da seguire (più o meno semplici, qui sta il problema). Dal prossimo gennaio, cioè dopodomani, tutte le 5-6 mila stazioni appaltanti qualificate, che hanno a che fare con opere pubbliche, dovranno utilizzare le piattaforme digitali certificate in grado di dialogare con la Banca dati nazionale dei contratti pubblici governata da Anac, l’ente anti-corruzione.
La prassi è stata introdotta lo scorso luglio. Il problema è che al momento le stazioni appaltanti che rispettano questa regola sono pochissime: solo dieci ne ha contate il Sole24Ore. Un problema in più sulla strada del Pnrr.
di Giuseppe Rossi