Può la direttiva (in discussione) europea sulle case green essere la soluzione per efficientare gli edifici. Fabrizio Capaccioli, vicepresidente di GBC Italia, esprime consenso, ma anche dubbi in un editoriale pubblicato sul sito dell’associazione.
«Sta facendo molto discutere la direttiva europea che obbliga tutte le abitazioni a ridurre le emissioni e a raggiungere la classe energetica E entro il 2030. Il passaggio successivo è fissato entro il 2033 quando le case degli europei, italiani compresi, dovranno rientrare in classe D per poi arrivare al 2050. Il testo fa parte del progetto Fit for 55, con cui l’Unione europea vuole ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990», commenta Capaccioli, secondo cui l’obiettivo è molto ambizioso, anche se è oramai noto che oltre un terzo delle emissioni di CO2 nell’atmosfera arriva proprio dal costruito. «Il Green Building Council Italia sa bene che la necessità di rigenerare le abitazioni degli italiani è reale e di una inderogabile urgenza. Alcuni obiettano, non senza qualche ragione a loro supporto, che gli sforzi europei per giungere all’impatto zero del costruito sia inutile se si pensa all’inquinamento atmosferico prodotto da paesi come Cina, India ed anche Stati Uniti. A fronte di un’obiezione tanto vera, serve ricordare che i summit internazionali sul clima continuano fortunatamente ad esistere e a deliberare obiettivi. E che una posizione unitaria dell’Unione Europa sull’abbattimento degli inquinanti è un buon viatico per trattare con altri Paesi del mondo sulla riduzione delle emissioni nocive in atmosfera. Se l’Europa arrivasse divisa, o peggio, non avesse fissato alcun risultato cui ambire, il tema del cambiamento climatico perderebbe peso e potremmo forse considerare chiusa la partita, con le conseguenze disastrose che possiamo solo immaginare. Del resto, suonano come una condanna le parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: Siamo molto vicini al punto di svolta che renderà la catastrofe irreversibile», spiega il vicepresidente di Gbc.
Il punto, continua Capaccioli, è che agire sui consumi energetici non è sufficiente. L’approccio alla rigenerazione degli edifici necessita di essere sistemica, affinché possa rappresentare un cambiamento che impatti non solo sulle bollette a fine mese, ma sulla qualità della vita dei cittadini che vi abitano.
«Per vincere le gigantesche sfide che il nostro tempo ci impone dobbiamo guardare a ciò che già è stato sviluppato, anticipando le esigenze del pianeta e delle sfide che sono improcrastinabili. Elementi che si integrano tra loro e fanno la differenza in un settore così impattante sulla nostra quotidianità. Protocolli riconosciuti e rendicontazione trasparente, progettazione integrata e indicatori di performance, partnership pubblico-privato e innovazione sociale, circolarità e salubrità delle opere, valore per la comunità e per gli investitori».
Da questo punto di vista, nota ancora il rappresentante del Green Building Council Italia, proprio il nostro paese si riconferma saldamente nella top 10 in Europa per numero di registrazioni e certificazioni dei protocolli della famiglia Leed. Nel 2022, sono stati 96 i progetti Leed certificati in Italia, rappresentando più di 1.34 milioni di metri quadrati di superficie.
«Grazie ai protocolli è possibile misurare realmente il livello di sostenibilità di un edificio valutando diversi parametri, dai consumi fino alla salubrità indoor degli ambienti, alla loro vivibilità e alla capacità di essere facilitatori di comunità sociali sane. Oggi è possibile attuare piani di riqualificazione, certificata e misurabile, grazie all’utilizzo di protocolli energetico ambientali per edifici pubblici e privati, per risultati certi e per non bruciare soldi pubblici. Serve un piano straordinario di investimenti per rigenerare il costruito, partendo dai fondi del Pnrr che stanno contribuendo a disegnare l’Italia del futuro», commenta Capaccioli. «Più volte, nel recente passato, mi sono trovato a discutere di superbonus 110%. Penso si sia trattato di un provvedimento che andava nella direzione giusta, anche se avrebbe dovuto essere attrezzato con alcune importanti dotazioni per evitarne l’uso distorto, gli sprechi e le frodi che abbiamo dovuto registrare. Ma la strada degli incentivi è quella più adatta per aiutare gli italiani a rendere le proprie abitazioni ad impatto zero, che resta uno dei parametri per raggiungere un cambiamento vero. Un approccio che non guardi solo alla classe energetica, ma anche alla gestione delle acque, dei materiali e delle risorse e della qualità dell’aria interna agli edifici, un ecosistema che non danneggi la salute di coloro che vi abitano e che, grazie ad un sistema certificato di controllo e misura, metta al riparo da spreco di fondi pubblici».