Il futuro è scritto nella bolletta

Secondo Nomisma la domanda dell’energia aumenterà del 23%. E l’impatto ambientale sarà pesante. Così l’industria delle costruzioni si trova davanti a una sfida. Con molte chance


C’è un documento che riassume il prossimo futuro del mondo. Strategie diplomatiche, trend dell’economia, altalena delle monete: a leggere bene quelle poche righe si può anche capire che cosa è bene fare per un’azienda. E non è un papello segreto intercettato dalla Nsa: anzi, tutti hanno avuto modo di leggere quel pezzo di carta prima o poi, ma spesso senza rifletterci. Invece, una bolletta della luce (o del gas) possono dire molto. Perché è sull’energia che si gioca il destino geopolitico nei prossimi decenni, oltre che una fetta consistente di attività economiche, come l’edilizia. L’energia e la sua gestione, l’utilizzo migliore, più efficiente e sostenibile, non sono noiosi slogan che si ripetono come un mantra nei convegni. Sono un’esigenza da affrontare subito. Basta leggere le previsioni: secondo gli analisti di Nomisma, per esempio, la domanda di energia nel mondo per i prossimi 17 anni crescerà con un incremento per il 2030 di circa il 23%. I consumi mondiali lieviteranno fino a 17,1 miliardi di Tep (tonnellate equivalenti di petrolio) contro gli attuali 13,9 miliardi. L’energia resterà, insomma, il prodotto più ricercato. E saranno guai: «La richiesta continuerà a essere soddisfatta principalmente dai combustibili fossili, che attualmente rappresentano quasi l’80%, ma che anche nel 2030 arriveranno a circa il 75%, ipotizzando una crescita sostenuta delle altre fonti non tradizionali», è la previsione del presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli. Nonostante gli sforzi, quindi, non saranno le energie rinnovabili a farla da padrone: a salire sarà soprattutto il consumo di carbone (1,4 miliardi di Tep, più di un terzo della crescita totale), alla faccia delle politiche ambientali per contrastarne l’utilizzo. Risultato: secondo le analisi dell’Agenzia internazionale dell’energia, entro il 2030 il livello di emissioni di gas a effetto serra aumenterà di circa il 7% rispetto ai livelli del 2010. Non solo: la Cina incrementerà le sue emissioni di Co2 del 40% rispetto al 2010, anche se è previsto un calo di quelle dei Paesi Ue e degli Usa, rispettivamente dell’8 e del 2 per cento. Peggio ancora, arrivati al 2030 le cose potrebbero peggiorare ancora. Secondo Nomisma Energia, sarà ancora il carbone a produrre gran parte dell’elettricità, coprendo circa un terzo della domanda mondiale, che salirà a un tasso medio del 2,4%. Seguirà la richiesta di gas e idrogeno, mentre gli incentivi sosterranno ancora le nuove rinnovabili, che però si fermeranno al 13 per cento.

Certezze incerte

Qualcuno obietta, però, che tutte queste previsioni grigie non tengono conto di quella che nei mesi scorsi è stata salutata come una rivoluzione: l’estrazione di shale oil e shale gas. Si tratta di una tecnologia utilizzata negli Usa (forse sarà implementata anche in Gran Bretagna) che permette l’estrazione di petrolio e metano dalla frantumazione delle rocce a chilometri di profondità. Una tecnologia discussa per l’impatto disastroso sull’ambiente ma che, secondo i sostenitori, sarebbe in grado di rendere gli Usa autosufficienti, con una conseguente abbondanza di petrolio per il resto del mondo. Eppure, sembra che lo shale oil dall’eccezionale aumento di 1 milione di barili al giorno nel 2011 e nel 2012 i scenderà già nel 2015 alla metà e nel 2018 a un magro +0,16 per cento. Non sorprende, quindi, che il colosso russo Gazprom abbia liquidato lo shale gas come «una bolla che presto esploderà», mentre il segretario generale dell’Opec Abdallah El Badri abbia ribadito di non vedere alcun rischio dallo shale oil americano, che pure ha ridotto l’import di greggio degli Usa. «Questo petrolio ha un alto costo di produzione e viene messo fuori mercato se il prezzo del barile scende a 60-70 dollari», ha avvertito l’emiro.

Dubbi petroliferi

Ci sono poi altre cattive notizie. La prima è che non si sa esattamente a quanto ammontino le riserve di petrolio. I più pronosticano una disponibilità del greggio per i prossimi 40 anni. Ma poi? Inoltre, pochi sanno che gran parte della materia prima (gas e petrolio) estratta dai pozzi non viene utilizzata. Si butta via. Secondo le stime della Banca Mondiale, ogni anno il gas da flaring e venting (cioè il rilascio di gas incombusti in atmosfera, finalizzato spesso a garantire le condizioni di sicurezza nelle varie lavorazioni e processi di trattamento) è pari a circa 150 milioni di metri cubi, equivalente al 30% dei consumi di gas naturale annui della Ue. Una risorsa gettata al vento, è il caso di dirlo, e che non ritornerà più.

Spazzatura elettrica

Di certo, in ogni caso, il risparmio di energia sarà uno dei punti cruciali per la vita dei cittadini e per le imprese. Tra la necessità di rendere meno energivore le case e la prospettiva di una crescita della domanda di elettricità in un mondo con sempre meno risorse, le rinnovabili resteranno un punto fermo. Fotovoltaico, eolico e biomasse rimarranno una nicchia, ma sempre più importante. E la ricerca di alternative non si fermerà: nelle scorse settimane, per esempio, un colosso dell’energia come la Erg ha annunciato che sta studiando l’ingresso nella waste energy, una definizione elegante per indicare la produzione di elettricità dalla spazzatura, una risorsa che in Italia non manca. «I rifiuti devono essere considerati alla stregua di fonti rinnovabili», ha confermato il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando. La sola attuazione della normativa Ue in materia, secondo il comitato tecnico ambiente di Confindustria, potrebbe aumentare i ricavi del settore della gestione dei rifiuti, creando più di 400mila posti di lavoro in Europa da qui al 2020, di cui 60mila solo in Italia. Chissà se il nostro futuro dipenderà dalla raccolta differenziata.

Chi ci guadagna

Per fortuna, ci sono anche buone prospettive. Di sicuro, lo sono per le aziende che puntano sul risparmio energetico. Il futuro si rivelerà positivo, infatti, per chi saprà fornire prodotti e servizi adeguati, e questo soprattutto nel settore dell’edilizia. La necessità di contenere i consumi, insomma, non sarà solo spinta da erratici bonus governativi, ma da un’esigenza sempre più pressante. Davanti a chi saprà proporre soluzioni adeguate c’è un’autostrada, ma lo spazio bisognerà saperselo conquistare:le famiglie italiane, per esempio, sono ancora poco informate sulle tecnologie, gli incentivi e le modalità per ridurre i consumi. Secondo i dati dell’Osservatorio sull’efficienza energetica 2013, il 30% dei cittadini pensa di non avere abbastanza informazioni in tema di risparmio ed efficienza. Produttori e commercianti, inoltre, devono sapere che più della metà degli italiani ritiene che le indicazioni in materia siano difficili da reperire e di ardua comprensione: c’è bisogno di un’opera di divulgazione. Non sorprende, infatti, che solo il 12% preveda di effettuare un qualsiasi intervento di efficientamento entro i prossimi 12 mesi.

Un mercato da 10,2 miliardi

L’Osservatorio, insomma, indica che aziende e istituzioni hanno molto lavoro da fare. Eppure la prospettiva di risparmiare sulle bollette rappresenta una forte spinta: il 54% degli italiani (soprattutto nella fascia di 25-54enni) è convinto di poter tagliare almeno il 20% dei costi, anche oltre il 40 per cento. Praticamente tutti (dal 90 al 98%) sono inoltre convinti che rendere la casa più efficiente sia utile per evitare gli sprechi, ottenere performance termiche migliori e per il bene delle generazioni future. L’ostacolo, oltre alla scarsa informazione, è ovviamente la insufficiente disponibilità economica. Nel sondaggio dell’Osservatorio, presentato nel settembre scorso, il 65% delle famiglie italiane ha dichiarato di avere a disposizione per l’efficientamento meno di 5mila euro, il 21% potrebbe investire tra i 5 e i 15mila euro, mentre solo l’1% potrebbe salire a 15mila euro. Non è molto, insomma, anche se a conti fatti il mercato dell’efficienza energetica domestica ha un valore complessivo di 10,2 miliardi di euro. Convincere gli italiani che risparmiare energia è un ottimo investimento darebbe nuovo impulso all’edilizia energetica italiana e permetterebbe di migliorare notevolmente le prestazioni e l’efficienza del patrimonio immobiliare esistente, con benefici per la collettività e per l’ambiente. «L’efficienza energetica è un tema più complesso rispetto a quello dello sviluppo delle fonti rinnovabili, dove il Paese è a buon punto», ha commentato Marco Pezzaglia, del Comitato scientifico di Smart Energy Expo. «I consumi energetici si sono già ridotti per la crisi ma, al di là del dato congiunturale, l’Italia ha fatto sforzi rilevanti sulla strada dell’efficienza energetica dotandosi anche di regole e procedure avanzate per il raggiungimento degli obiettivi del pacchetto clima energia 20-20-20. L’appuntamento più importante ora è il recepimento entro giugno 2014 della direttiva europea 2012/27 sull’efficienza energetica, che dà una griglia più razionale rispetto agli obiettivi stabiliti dalle precedenti direttive». La direttiva in questione è quella che interviene su due fattori cruciali della filiera energetica, ossia la fornitura dell’energia e l’efficienza nell’utilizzo dell’energia.

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