Molti si domandano se sia ancora possibile trovare motivi di soddisfazione nella nostra attività di imprenditori della distribuzione. Se pensiamo ai bei tempi andati ci viene il magone, ma se riflettiamo con attenzione il futuro potrà essere anche migliore
Ammettiamolo, un po’ di nostalgia dei tempi belli ce l’abbiamo. Diciamo anche solo di una decina di anni fa, quando si costruiva e si vendeva di tutto e di più, senza problemi, leggeri e leggiadri come le ballerine dell’Opéra. E questa nostalgia oggi è diventata la nostra ossessione, perché il contrasto con i tempi della crisi è troppo forte e ci destabilizza, ci fa credere di vivere in un incubo, ci fa sperare che prima o poi ci sveglieremo e questa crisi sarà solo un brutto ricordo. Ma, più o meno inconsciamente, siamo prigionieri del nostro luminoso passato, e questo legaccio virtuale ci impedisce di razionalizzare il presente. Non è che ho iniziato a studiare da psicologo, queste parole sono una frettolosa sintesi dei discorsi che sento. Perché tanti colleghi cominciano a chiedersi se non sia il caso di lasciare, visto che le cose non sono più come prima, visto che tutto oggi sembra complicato, a partire dalla drammatica domanda se sia il caso di fornire un cliente oppure no, un quesito praticamente incomprensibile, direi quasi contro natura. Sono queste le parole che fanno comprende la piega che sta prendendo il mercato della distribuzione edile, che in qualche modo ci fotografano, e sono convinto che a molti queste fotografie non piacciono. Sembra quasi che sia finita un’epoca (e infatti è finita) e che qualcuno si sia messo a rimescolare le carte per proporci un gioco che non conosciamo, un gioco che non si è mai visto ma del quale tutti parlano come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Per quello che posso capire, il nuovo che ci prestiamo ad affrontare potrebbe anche essere (finalmente, dirà qualcuno) un mercato di soddisfazione. Da questo punto di vista – e se escludiamo la soddisfazione primaria che è quella di fatturare ed essere pagati come Dio comanda – siamo già di fronte a una novità. La nuova soddisfazione non riguarda quindi unicamente l’aspetto materiale, ma quello più strettamente professionale, un segno di distinzione che finalmente ci qualifica e non permette più ai nostri interlocutori di considerarci solo un oneroso passaggio in più all’interno della filiera. La trasformazione, e questa è davvero una svolta epocale, è da strutture commerciali tollerate solo perché magari comode a strutture commerciali decisamente utili perché indispensabili ancore di salvezza nel mare mosso delle proposte tecniche che caratterizzano la nuova edilizia. Se non è una rivoluzione questa, poco ci manca. Il problema è dimenticarci come eravamo, la tentazione di sperare ancora a un clamoroso ritorno al passato è difficile da scalfire, ma basta un attimo di lucida presenza nel presente per capire che non sarà più così. E c’è anche un’altra faccenda da considerare, ovvero le tempistiche. Nel nostro mondo, i cambiamenti in passato si sono presi tutto il tempo necessario per affermarsi, non c’era fretta, si lavorava lo stesso come avvolti da un intorpidimento tecnico molto rassicurante. Oggi non è più così: le nuove tecnologie costruttive, e di conseguenza i nuovi materiali, si stanno imponendo velocemente. Non si tratta più di decidere se tenere o meno un prodotto a magazzino, ma valutare se siamo intenzionati o meno a entrare nel nuovo mercato. Nella nostra professione di intermediari fra produzione e operatori edili abbiamo sempre scelto poco, basando i rifornimenti sulle richieste dei nostri clienti. Oggi, domani, questa passività mentale deve essere eliminata dal nostro modo di pensare. La distribuzione edile deve riuscire a giocare un ruolo attivo nel nuovo, benedetto mercato, senza nostalgia per qualcosa che non esiste più, ma con l’energia, la voglia, la positività, magari anche l’entusiasmo che ogni moderno imprenditore che riesce a vedere oltre il proprio naso ha il dovere di mettere nella propria attività. Forse saremo costretti ad assistere a una pesante selezione, ma se tutto sommato fino a oggi le perdite seppur sensibili sono molto meno di quanto ci si potesse aspettare, forse la voglia di tenere duro è ancora ben salda ed è certamente una base importante sulla quale rigenerarsi. Facciamolo, senza ossessionarci, ma assaporando il gusto del nuovo che, ci piaccia o meno, comunque avanza.