In un mondo che grazie alla tecnologia è sempre più senza confini si assiste all’emergenza di una classe cross-generazionale di persone che ha assorbito il moderno concetto di liquidità – di baumaniana memoria – all’interno dei propri stili di vita. È la “tribù” dei nomadi urbani per la quale le condizioni di transitorietà e costante cambiamento rappresentano la norma in molti aspetti della vita: il lavoro, le relazioni, il luogo di residenza e non da ultimo la casa. Mai come in questo momento, infatti, gli spazi abitativi stanno gradualmente perdendo le loro caratteristiche di bene permanente e di proprietà a favore di configurazioni più flessibili e temporanee che mutano repentinamente al variare delle esigenze, dei bisogni e dei life stage di individui che si sentono a proprio agio a Milano come a New York e che vivono all’insegna di una mobilità sempre più spinta, sia all’interno che all’esterno delle mura domestiche. E così l’abitare diventa provvisorio. Tra le fasce di popolazione più giovani si parla di Generation Rent, sono studenti o neo-professionisti sempre on-the-move la cui vita non si concentra in un solo luogo, città o abitazione, poco abituati al possesso e inclini a spostamenti agili e veloci anche quando si tratta di traslocare e, di conseguenza, alla ricerca di nuove tipologie di accessori e arredi facilmente smontabili, spostabili e riconfigurabili.
Sulla scia di questo nomadic way of life nascono servizi innovativi come Roam, un network di abitazioni condivise che dà la possibilità di soggiornare per settimane, mesi o periodi più lunghi in diverse parti del mondo. Non si tratta di sistemazioni “vacanziere” ma di una modalità alternativa di pensare alla casa per persone che amano la vita nomade e possono lavorare in remoto. Ogni residente ha la propria camera con bagno privato, condivide cucina e living con gli altri abitanti – una dozzina al massimo – e ha a disposizione uno spazio di coworking. L’ideatore Bruno Haid stima che siano circa un milione e duecentomila le persone location-independent e non si tratta solo di giovani professionisti freelance ma anche di coppie di trentenni che sperimentano questo stile di vita prima di avere figli o coppie i cui figli sono al college e che decidono di viaggiare per il mondo per qualche anno. Sbrigare due settimane di lavoro a San Francisco, ritirarsi a Bali per finire quel libro in sospeso e poi immergersi nel vivace panorama culturale di Oakland, diventa facile quanto un click.
Designer, come Anikó Rácz fondatore del marchio ungherese Hannabi, hanno intercettato il bisogno dei consumatori di elementi di arredo che possano essere facilmente spostati e modificati anche all’interno degli spazi domestici: per adattarsi a esigenze che cambiano, a spazi limitati oppure a spostamenti frequenti. Il concept dell’Urban Nomad Sofa, infatti, nasce proprio come risposta a queste necessità. Questo divano de-strutturato è composto da due grossi cuscini rettangolari e un paio di supporti triangolari che fungono da poggia-schiena. Le diverse parti possono essere separate e utilizzate per svariati scopi: come singola seduta, come due materassini più bassi o come un letto singolo. L’assenza di struttura fissa e piedistalli rende le componenti leggere e maneggevoli nonché facilmente combinabili tra di loro. La stabilità è garantita da giunture in gomma e l’intelaiatura interna in legno e il rivestimento in tessuto sono pensate ad hoc per continui riassetti.
Questo macro-trend si declina in due interessanti micro-trend che ne rappresentano le manifestazioni concrete in ambito abitativo e progettuale: Moving Interiors e Mobile Living
Moving Interiors
Anche all’interno degli ambienti domestici è in atto un fenomeno di nomadismo. I locali sfumano uno nell’altro, le destinazioni e le occasioni d’uso si ibridano e, di conseguenza, arredi e complementi migrano da una stanza all’altra assecondando istantaneamente l’occorrenza del momento, la voglia di cambiamento o l’alternarsi delle fasi della vita. Questo significa che mobili e oggetti non sono più necessariamente legati a uno specifico spazio fisico o una camera in particolare ma si adattano, muovendosi, alla configurazione sempre più instabile degli ambienti che non viene più definita a priori e una volta per tutte. Il living si può temporaneamente trasformare in ufficio o camera da letto, la cucina viene vissuta a tutte le ore del giorno e anche i confini del bagno, la stanza considerata più intima, un po’ alla volta si aprono al resto della casa. Di qui nasce l’esigenza di elementi di arredo leggeri, portatili e facilmente spostabili che assicurino flessibilità e libertà di movimento in spazi vitali le cui dimensioni, oltretutto, si vanno progressivamente riducendo.
Mobile Living
In un mondo dinamico e mutevole, altrettanto veloci e frequenti sono i passaggi delle persone tra spazi e tempi esperienziali diversi. La ripresa di alcuni tratti tipici della nomadicità, quali spostamento, cambiamento, ricerca e scoperta, è coerente con le società instabili e in continuo mutamento in cui gli individui oggi vivono, lavorano e consumano. Individui e comunità sempre più “fluttuanti” che si trasferiscono da un quartiere all’altro, da una città o da un continente all’altro, dai contesti urbani alla campagna e che necessitano di soluzioni facilmente “impacchettabili” e trasportabili a partire dagli arredi per arrivare fino alla casa stessa. In questo contesto, architetti e interior designer sfidano il confine tra provvisorietà e permanenza, tra immobilità e mobilità, ideando strutture e mobilio che all’irrinunciabile comfort abbinano la facilità di essere montati e smontati e trasportati con il minimo impiego di tempo e risorse. A trasformarsi non è solo il modo di abitare la casa, ma il concetto stesso di edilizia residenziale. Nascono così unità abitative modulari e mobili, che ridisegnano i paesaggi in cui si innestano, arredi e interni portatili e spostabili che rispondono al bisogno di dislocazione e cambiamento. Progetti – low-cost in molti casi – versatili e sostenibili, che camminano con piede leggero sul pianeta che ci ospita.