In un clima che invita all’ottimismo – dalle riflessioni dell’Ance e di altre Associazioni sulla ripresa alle miriadi di agevolazioni/benefit/fondi per le scuole, per le zone a rischio sismico, i condomini decrepiti, e così via – vien da chiedersi come mai, in generale, lo scorso anno la distribuzione edile abbia dovuto sopportare un altro pesante segno meno. Da quel che sento, anche quest’anno pochi brillano, piccoli segnali positivi, e la mia impressione è che il nostro specifico mercato stia vivendo una difficoltà ancora più pericolosa di quella conclamata degli scorsi anni, dove era ben visibile e generalizzata. Ora si sviluppa in modo un po’ più subdolo, perché ammantata, appunto, di un ottimismo “esterno” che poco ha a che fare con la realtà “interna”.
Che tutti quanti si abbia bisogno di un po’ di serenità economica e anche finanziaria è fuori di dubbio, che la si cerchi disperatamente è comprensibile, ma forse dobbiamo dedicare maggiore attenzione alla situazione attuale di quanta ne avevamo riservata ai tempi della crisi, perché la torta non solo si è rimpicciolita, ma è anche diventata difficile da masticare. L’idea che la produzione abbia bisogno della distribuzione è ancora abbastanza radicata, anche se si moltiplicano i canali di vendita – non ultimo ma per ora ininfluente il mercato web, per ora, ribadisco – e anche il valore del presidio del territorio continua a essere importante, in un mondo che sta cancellando i suoi confini, eliminando le sue barriere, smantellando le sue consuetudini distributive.
La mia impressione, e spero che sia solo una impressione, parte dalla considerazione che la produzione abbia certamente bisogno della distribuzione, ma non di una distribuzione qualsiasi, come era un tempo. Ed è vero anche il contrario, ovvero che la distribuzione ha un forsennato bisogno della produzione e, anche in questo caso, non di una produzione qualsiasi, come era un tempo. Ma i rivenditori faticano ad ammetterlo, soprattutto nel caso delle aggregazioni commerciali in genere, dove la presunzione di forza è maggiore, una sorta di mancata consapevolezza di come il mercato sia oggi cambiato nei suoi basici presupposti. Sui rapporti fra questi due nemici/amici si è scritto anche fin troppo e se ne è parlato oltre ogni dire. Resta il fatto che il problema rimane in attesa di una soluzione, e il mondo intanto va avanti.
Il nuovo mercato ha eliminato il vocabolo “qualsiasi”, una definizione in voga per decenni ma oggi improponibile per più di un motivo. E ciò per la distribuzione tradizionale è un problema davvero grosso perché, soprattutto dove l’offerta generalista è ancora dominante, dove i materiali tradizionali giocano ancora un ruolo di primo piano – senza apparente motivo, perché si costruisce pochissimo – la mancanza della richiesta del “qualsiasi” è una vera e propria calamità che si abbatte sulle prospettive future. Anche da questo immagino dipenda il segno meno in congiuntura, ed è quindi abbastanza conseguente che i primi mesi del 2016 siano stati ancora deboli.
Ma ovviamente c’è di più. La ciclicità della nostra economia di settore non è solo di natura, appunto, economica. La mia impressione è che oggi, sia detto sempre in generale, la distribuzione indipendente o aggregata che sia non sappia ancora bene dove andare. E la cosa suona strana perché il mercato che cresce intorno a noi è lì da vedere. Ma siamo ancora eccessivamente legati ai prezzi e alle marginalità per fare scelte radicali, troppo legati alle consuetudini per aver voglia di capire se i prodotti che distribuiamo sono adatti a ciò che il nuovo mercato pretenderebbe. Siamo ancora troppo (e forse giustamente) impauriti per comprendere che l’ottimismo non è un concetto che deve arrivare da fuori, ma che deve nascere dentro le nostre strutture di vendita attraverso il cambiamento delle nostre abitudini soprattutto mentali.
Chi oggi imposta la sua politica commerciale sulla spremitura dei fornitori – lo so, il verbo è brutto, ma di questo stiamo parlando – dimentica, o finge di dimenticare o, peggio, non si rende conto, che il prodotto tecnico ogni giorno diventa sempre più importante, e che il sostegno, appunto tecnico, del produttore è essenziale per favorire le vendite. Il mercato non permette né sprechi, né cieca tolleranza, il rischio di essere emarginati è forte. In un mercato che fatica a concepire l’essenziale concetto di “rete” si costruiscono ancora barriere anacronistiche che andavano bene sì e no trent’anni fa. È questa l’impressione che mi impressiona. Ma, forse, è proprio solo una trascurabile impressione.
(Roberto Anghinoni)