La chiamano Industria 4.0 o Fabbrica Intelligente e si basa sull’Internet delle cose. Un filo tecnologico che va dalla progettazione all’esecuzione, alla catena di montaggio e cambia il paradigma della produzione: l’intelligenza non sta esclusivamente nella macchina, ma in pratica è il prodotto a comunicare con la catena di montaggio per dirle che cosa fare esattamente. A rendere possibile tutto ciò sono le tecnologie digitali, gli strumenti per dati e analisi che si ritrovano in tutta la filiera della produzione: dalla stampa 3D, alla robotica, alle fresatrici di ultima generazione (Cnc Mills 1), ai prodotti completi dotati di intelligenza artificiale, come le automobili connesse e agli altri oggetti dell’Internet of Things. General Electric ha coniato una sua definizione, Internet industriale, ma quale che sia l’appellativo, è una sorta di rivoluzione che sta cambiando i modi di progettare, realizzare e distribuire i prodotti, e quindi sta trasformando profondamente tutti i comparti. E anche il ruolo del manager non è immune a tutto ciò. Eppure, secondo lo studio realizzato da Staufen Italia, la società di consulenza industriale, soltanto il 20% di manager e dipendenti ha le competenze necessarie al salto digitale. Realizzato su un campione di circa 200 aziende del Paese, di cui la metà Pmi nel campo della meccanica, dell’elettronica e dei componenti auto, rileva che il 70% delle aziende italiane non si è ancora posto il problema del passaggio alla quarta rivoluzione industriale.
Non solo, il 76% del campione non prevede corsi di formazione su questi temi né di rivedere in profondità modelli organizzativi e produttivi. C’è un dato confortante però: l’Italia ha superato la media europea per le applicazioni sperimentate nel settore vendite, con un 23% contro il 12% di media Ue, anche se in Europa sono logistica e gestione dei magazzini i campi dove si sperimenta di più.
Lo scarso interesse al digitale è sorprendente, ma si spera perché partito da poco, anche nel progetto Crescere in digitale, firmato dal ministero del Lavoro, Google e Camere di Commercio. Funziona così, Google organizza un corso di competenze digitali aperto giovani disoccupati tra i cosiddetti Neet (Not ingaged in education, emplyment or training) e le camere di commercio presentano quelli che hanno superato la formazione a imprese interessate a farsi una cultura digitale. In tutta Italia il programma, annunciato a settembre dal ministro Giuliano Poletti insieme a Diego Ciulli, public policy manager di Google in Italia e Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, prevede fino a 3mila tirocini della durata di sei mesi retribuiti 500 euro al mese. Le imprese potranno inserire nel loro organico per un primo periodo i giovani digitalizzatori contando sul fatto che saranno retribuiti da Garanzia Giovani, mentre per l’assunzione in seguito del tirocinante è disponibile un bonus fino a 6mila euro. Il primo incontro è stato organizzato a Firenze tra quaranta aziende del territorio e 30 giovani. Ma, come ha commentato Leonardo Bassilichi, presidente della Camera di Commercio di Firenze, mancano i numeri: «Il progetto funziona, però non si può pensare che a Firenze solo 30 ragazzi hanno bisogno di trovare lavoro nel digitale, e solo 40 imprese hanno bisogno di educarsi alla cultura digitale. Se non si sanno a sfruttare tutte le potenzialità del mondo digitale le imprese faticheranno a crescere e a svilupparsi, se non a sopravvivere».