«Permane un orientamento ancora improntato alla prudenza nei confronti delle imprese delle costruzioni», così si legge nell’Indagine Regional Bank Lending Survey di Banca d’Italia. Che l’accesso al credito per le imprese italiane sia difficile non è una novità, che sia ancora più arduo per le imprese edili, lo evidenzia anche l’edizione di gennaio 2016 dell’Osservatorio Congiunturale sull’Industria delle Costruzioni redatto da Ance. Il documento infatti, sottolinea come nel 2007 venisse destinato al settore delle costruzioni circa il 30% dei finanziamenti erogati dalle banche (12% per investimenti in costruzioni e 18% per acquisto di immobili), quota scesa al 14% (8% per investimenti in costruzioni e 6% per acquisto di immobili) nel 2014. Un crollo che ha generato l’esigenza di diversificare le fonti dei finanziamenti per le aziende del settore edile. D’altra parte lo stesso Governatore della Banca d’Italia, nella sua Relazione annuale di un anno fa, esortava le imprese ad attivare nuovi canali, diversi dalle banche. Bisogna però aggiungere allo stesso tempo che una buona percentuale delle sofferenze bancarie hanno origine nel dissesto delle imprese del settore costruzioni. In ogni caso, su queste premesse Ance ha monitorato il mercato dei minibond: dalla loro introduzione sono stati emessi da 107 Pmi italiane, di cui solo quattro del settore delle costruzioni. Poco, rispetto alle reali necessità del comparto edile, alle prese con una vera e propria chiusura da parte del sistema bancario, commentano gli analisti dell’associazione dei costruttori che ammettono però la necessità di una riorganizzazione industriale del settore prima di promuovere la spinta verso i mercati finanziari. Anche in questo caso bisogna aggiungere però che la legge impone delle condizioni abbastanza stringenti per l’emissione di obbligazioni, per evitare che chi sottoscrive resti poi con un pugno di mosche. Certo comunque che se le imprese non effettueranno un rafforzamento patrimoniale e una ristrutturazione del debito, con un allungamento delle scadenze e una revisione dei costi per interessi, non sarà possibile accedere ai mercati. Si tratta di una strategia a medio termine. Ma nel breve Ance propone di sviluppare titoli di credito finalizzati al finanziamento delle operazioni infrastrutturali o di sviluppo immobiliare con criteri di finanziabilità calibrati sulle caratteristiche dell’investimento (e non dell’impresa emittente).
In pratica, continua Ance nel suo rapporto, i criteri di selezione farebbero riferimento non più alla redditività/fatturato dell’azienda ma al rendimento/rischiosità dell’operazione. Tali titoli dovrebbero, inoltre, essere emessi per finanziare contemporaneamente un insieme di progetti (pool) omogenei presentati da aziende diverse. In questo modo, aumenterebbe il taglio medio dei titoli e i costi di emissione sarebbero ripartiti tra diversi soggetti. Già così, sarebbe possibile abbattere la rischiosità di questi titoli in virtù della diversificazione degli investimenti e dei soggetti realizzatori. Per la prima fase, sarebbe importante prevedere una garanzia pubblica per il sottoscrittore. Si potrebbe ipotizzare anche un altro schema d’intervento: investitori istituzionali potrebbero acquistare le tranches di titoli più rischiosi (1st loss) mentre sul mercato finanziario sarebbero scambiate le obbligazioni più sicure.