Il 2016 è iniziato sotto una cappa di nubi nere. La frenata, più brusca del previsto, della Cina ha tagliato le gambe ai mercati finanziari e getta una cupa ombra sulle aziende che esportano nel Paese di Mezzo. La guerra del petrolio allontana sia gli obiettivi di inflazione al 2%, sia le prospettive di un’economia in ripresa. A questo si aggiungono il dittatore pazzo di turno (leggi: Corea del Nord) e i fanatici pazzi (leggi: Isis), con la conseguente tensione tra islamici sunniti e sciiti. Insomma, c’è tanta benzina per il fuoco dei pessimisti.
Nonostante questo, ci sono anche cinque buone ragioni per credere che il 2016 potrebbe riservare più di una soddisfazione. E non occorre essere fan dell’ottimista numero uno, Matteo Renzi, per sostenere che l’anno appena iniziato abbia alcuni traguardi a portata di mano. Proviamo a elencarli:
1 Riqualificazione mon amour. Il ministro alle Infrastrutture, Graziano Delrio, lo ha promesso intervenendo durante la fiera Condominio Expo: l’adeguamento degli edifici è una priorità del governo. Un obiettivo ribadito successivamente sulle colonne del Corriere della Sera. È lecito pensare, quindi, che alle parole seguano i fatti e che il bonus casa rinnovato ogni anno si evolva in una legge più organica, capace di dare un ulteriore impulso al processo di riqualificazione, con il coinvolgimento delle Esco (Energy service company).
2 Più tecnologia. Non c’è aspetto dell’attività umana che non sia condizionato dalla tecnologia: l’edilizia non fa eccezione. Ma le imprese che progettano materiali devono impegnarsi a distribuire qualche utile in meno e a investire di più. In ogni caso, non siamo messi male: è vero che secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2013 l’Italia ha investito l’1,26% del Pil in Ricerca&Sviluppo, una cifra che è al di sotto della media Ue (2%) e degli obiettivi di spesa fissati dall’Europa per il 2020 (3%). Però allo stesso tempo questo pone la ricerca italiana al settimo posto al mondo. Insomma, dobbiamo migliorare, ma la base di partenza c’è.
3 Addio impicci. Dopo la riforma del lavoro e il taglio delle tasse (15,4 miliardi secondo la Cgia di Mestre), il governo è chiamato all’impresa più ardua: la riforma della pubblica amministrazione. Che non significa solo semplificare le procedure, ma anche introdurre un nuovo modo di operare per i dipendenti pubblici, finora esentati dalla minaccia di licenziamento, al contrario dei nuovi assunti nel settore privato. I capitoli della riforma, messa a punto dal ministro Marianna Madia, sono molti. Tra questi si può ricordare quello che taglia la burocrazia per «semplificare e accelerare, fino al dimezzamento dei tempi, le operazioni in caso di rilevanti insediamenti produttivi, opere di interesse generale». Nel provvedimento è prevista anche la possibilità di attribuire poteri sostituitivi al premier. Altro aspetto interessante: secondo la riforma, in caso di contese tra amministrazioni centrali su nulla osta e altri concerti sarà il capo del governo a decidere, dopo un passaggio in consiglio dei ministri. È stato fissato anche un tetto per ottenere il sì: massimo 30 giorni, che diventano 90 in materia di ambiente, cultura e sanità. Sulla stessa linea le misure per sbloccare la conferenza dei servizi. Insomma, sulla carta il provvedimento potrebbe mettere il turbo a una serie di opere lasciate a metà oppure ostaggio della sindrome nimby (not in my backyard).
4 Effetto profughi. D’accordo, migliaia di migranti provocano un problema sociale di grandi proporzioni. L’impatto culturale, ma anche economico di tante persone sradicate dal proprio Paese e, diciamolo, non sempre osservanti degli standard della nostra educazione e cultura, continueranno a provocare scosse, ribellioni e intolleranze. Inevitabile? Forse sì. Ma c’è anche un altro risvolto che non si può ignorare. Se risulta difficile pensare a un rimpatrio (dove? come?) di persone che in grande maggioranza fuggono dalla guerra, è necessario convincersi a farle convivere sul territorio. È vero che il problema della casa è anche degli italiani, i quali sono i primi pretendenti di un alloggio. Ma allo stesso tempo non si può pensare a centri di accoglienza permanenti o a eterne tendopoli. Insomma, meglio una banlieue che una baraccopoli. Risultato: l’edilizia sarà chiamata in qualche modo a dare una abitazione ai profughi. Quanto potrà incidere questo fenomeno? In Germania la domanda di abitazioni per i migranti (anzi, i migrati), accompagnata da un contributo di 13 miliardi di euro del governo nel 2016 per ristrutturare strade e ponti, dovrebbe far salire le vendite del settore edilizio del 2,5 per cento, raggiungendo l’anno prossimo i 235 miliardi di euro.
5 Seminare gli impianti. Non solo disagio sociale per l’arrivo dei migranti, ma anche incertezza e paura crescenti: nel 2016 aumenterà la domanda di sistemi di sicurezza. E l’elettronica è ormai una parte integrante dell’edilizia, anzi è il settore che aumenta di più. Ma i sistemi di sicurezza, dalle porte intelligenti alle telecamere di sorveglianza, hanno bisogno ormai di un elemento indispensabile: la connessione con internet. Il quinto obiettivo da raggiungere è, insomma, un altro dei «pallini» dell’esecutivo: dotare tutti gli italiani di accesso alla rete digitale. Il buon proposito migliore, per tagliare questo traguardo, è quello dell’Enel, che ha costituito una società che porterà la banda larga via fibra ottica nelle case. Come? Con la sostituzione dei contatori dell’elettricità con altri più moderni, che faranno da hub per far arrivare la connessione a tutti (si spera). Con questo viatico, l’automation building diventa a portata di mano per qualsiasi edificio. Non resta che farlo capire agli italiani.