C’è lo shock petrolifero al contrario, con il calo dei prezzi del greggio e c’è, invece, il rischio vero dello shock sull’energia proveniente da fonti rinnovabili. Accade in Gran Bretagna, dove il recente annuncio del governo di voler sospendere gli incentivi (Renewables Obligation) previsti per gli impianti eolici ha seminato il panico (quasi come è successo in Italia) paventando il crollo dell’industria del settore. Già, perché se da un lato il Paese è il terzo produttore mondiale di energia ricavata dalle turbine a vento (con una potenza installata di 12,440 megawatt), basta vedere come è arrivato a questo risultato per capire il perché di tanto allarmismo. Agli inizi del Duemila, Germania, Danimarca e Spagna producevano l’85% dell’eolico del continente grazie a una politica di forti aiuti, mentre il Regno Unito si era escluso dal club pionieri di questa fonte rinnovabile. Due anni dopo l’avvio dei Ro (Renewables Obligation) la situazione è completamente mutata e nel giro di due lustri i tre paesi ex-leader sono scesi a una percentuale del 47%, a dimostrazione del peso degli incentivi. La stessa cosa sembra riporsi ora oltre la Manica, perché il governo conservatore, che nel 2014 aveva promesso di mantenere i sussidi fino al 2017, dopo le scorse elezioni ne ha anticipato la fine ad aprile 2016. Una mossa decisa per avviare una riforma più generale del mercato dell’energia elettrica del Paese e in linea con gli orientamenti europei, che chiedono al settore di contare solo sulle proprie forze e alla politica di scoraggiare i sussidi. Il problema è che i piani di investimento su grandi progetti infrastrutturali devono essere predisposti con largo anticipo, e l’industria più che denaro vuole in questo caso certezze. Ma sembra che il vento sia cambiato. Monica Battistoni