Tutta la verità (sorprendente) sulla certificazione Leed

Nello standard Leed (Leadership in Energy and Environmental Design) esistono quattro programmi di costruzione per poter includere il maggior numero di tipologie edili. Ma poi, oltre a questi prerequisiti, esiste anche un nutrito elenco di crediti, ossia ulteriori pratiche fondamentali per rispondere alle necessità del singolo edificio e specifiche caratteristiche di sostenibilità volute dal proprietario o dal costruttore.

Inchiesta-verità 

Uno studio di avvocati americano, Stuart D. Kaplow, specializzato in regolamentazione edilizia sostenibile per il real estate, si è divertito a individuare su un campione di oltre 4 mila progetti, quale di questi crediti ha una percentuale di assegnazione maggiore e quale, invece, ha i numeri più bassi. Ecco chi è in cima e in fondo alla classifica. Sul podio c’è «Ottimizzazione della performance energetica» (EA c1) che, in pratica, significa il raggiungimento di livelli di prestazioni energetiche superiori ai valori minimi richiesti dalla normativa, in modo da ridurre l’impatto economico ambientale associato all’uso eccessivo di energia. Allo studio legale risulta che 3.927 dei 4.039 progetti considerati, ossia il 97% abbia ottenuto questo rating. Mentre quello che ha come obiettivo la riduzione dell’uso e l’esaurimento di materie prime limitate e materiali rinnovabili in cicli di lunga durata, sostituendoli con materiali rapidamente rinnovabili (MR c6), si attesta sul 2%. In pratica, solo 87 progetti su 4.039 l’hanno ottenuto.

Troppa fantasia?

L’intento del credito, secondo gli estensori dell’analisi, è nobile, ma fissa sul 2,5% la quota richiesta di questo tipo di materiali sul totale utilizzato e che siano prodotti da costruzione ricavati da piantagioni con un ciclo di raccolta di 10 anni o minore. Insomma, si tratta forse di un obiettivo idealistico e difficilmente attuabile in un edificio reale: quale costruzione contiene una quantità significativa di cotone, lana, grano, paglia, sughero, mais o gomma? In più, il materiale deve essere raccolto senza causare danni agli animali o se prodotto da un animale, per esempio la pecora, questa deve essere in grado di continuare a rigenerare il materiale. Non esiste un elenco accettabile di prodotti rigenerati in 10 anni, e anche il legname non soddisfa questo parametro. Così, c’è chi suggerisce di iniziare a produrre la plastica con l’etanolo derivato dal mais (anche se, per la verità, anche su questo stanno sorgendo forti dubbi sostenibilità) oppure se sono meglio la moquette di lana di pecora e i pannelli realizzati con gli scarti agricoli essiccati e pressati. Monica Battistoni

Tegole composte da paglia di canapa, gomma da pneumatici e plastica riciclata.
Tegole composte da paglia di canapa, gomma da pneumatici e plastica riciclata.

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