Il problema dell’umidità nelle costruzioni costituisce un tema di grande attualità, non solo per le cause tipiche derivanti dalle condizioni ambientali e meteorologiche, ma anche per le caratteristiche di alcuni materiali e degli effetti che nel tempo si possono verificare. Una condizione che interessa vecchi edifici realizzati con tecnologie della tradizione e poi trattati con materiali incompatibili, ma anche costruzioni più recenti realizzate talvolta con caratteristiche inadeguate.
È proprio l’acqua il fattore comune che determina gli effetti che oggi conosciamo con la presenza di umidità e condensa nelle costruzioni. L’acqua è un bene prezioso per la vita, ma in edilizia, se non adeguatamente controllato, finisce per diventare un vero problema, dannoso per le parti costruite e per la salute e il benessere più in generale.
Umidità nelle murature: cause esterne e cause interne
Proviamo a fare sintesi delle più comuni cause, degli effetti e delle possibili soluzioni. Procediamo con ordine, in primo luogo identificando le cause che possono essere esterne e interne.
Sono esterne quelle derivanti dall’atmosfera per infiltrazioni da pioggia e dal sottosuolo come capillarità di risalita.
Sono invece interne quelle derivanti dal livello di umidità relativa presente nell’aria dei locali sia per effetto di cause esterne, sia per cause accidentali. In ogni caso, l’effetto è la presenza di condense in particolare sulle superfici murarie.
Cause esterne e risalita capillare
Ci occuperemo in questo spazio delle cause esterne che coinvolgono le strutture murarie e determinano i fenomeni più comuni e insidiosi riscontrabili anche all’interno dei locali abitativi, con particolare interesse per i fenomeni provenienti dal basso, ovvero di risalita per capillarità dal terreno.
Per comprendere meglio questi fenomeni può essere utile richiamare alcuni principi di idrologia di base, con i passaggi dell’acqua nei diversi stati fisici, in particolare da liquido a evaporazione (che interessa la formazione di umidità nelle strutture murarie a contatto con il terreno per risalita capillare) e da aeriforme a liquido (relativo alla formazione di condense superficiali all’interno dei locali).
Solo con una chiara e circostanziata conoscenza delle origini dei diversi fenomeni è possibile intervenire sulle cause e non sugli effetti per eliminare o almeno limitarne l’azione.
Umidità per risalita capillare
Partiamo dal caso più comune di umidità per risalita capillare, considerato che l’umidità nei muri comporta una serie di effetti e disagi per la formazione di efflorescenze, muffe e funghi e nei casi estremi anche danni strutturali.
L’acqua meteorica (stato liquido) penetra nel muro e nel terreno (con una temperatura minima di oltre 4 gradi) e si distribuisce nel sottosuolo per assorbimento, impregnando le fondazioni del muro (se non adeguatamente isolate) per contatto diretto. L’innalzamento della temperatura esterna determina l’inizio del processo di risalita capillare (stato di evaporazione) dal terreno attraverso la struttura muraria, favorita dalla porosità caratteristica di ciascun materiale.
L’effetto nel tempo si manifesta con il degrado della muratura, passando per tutti gli strati dei materiali (intonaco, stabilitura, pittura, eccetera). Un processo che, se non controllato nel tempo, risulta irreversibile con il deterioramento dei rivestimenti, degli intonaci e delle malte di allettamento che legano i manufatti.
Il fenomeno si manifesta solo in parte all’esterno, quando la muratura (supporto permeabile) risulta incompatibile con la finitura superficiale poco o per nulla traspirante (alcune pitture o rivestimenti plastici), impedendo di fatto il passaggio del vapore acqueo e determinando la decoesione dello strato superficiale (esfoliazione).
La presenza di leganti idraulici (cemento) contenuti nelle malte e negli intonaci in presenza di forte umidità e a basse temperature soprattutto in fase di presa, tendono a liberare una quantità di calce libera in parte solubile in acqua. L’evaporazione dell’acqua favorisce la reazione della calce con l’anidride carbonica presente nell’aria determinando il deposito di sali.
Sono le cosiddette efflorescenze saline che dipendono proprio dal deposito dei sali di carbonatazione che poi determinano il degrado. L’acqua, infatti, non è corrosiva di per sé, ma la combinazione con i sali minerali contenuti nel terreno e la risalita per capillarità nella struttura muraria veicola i sali in forma idrosolubile, che si accumulano nei pori del materiale.
Ma è durante la fase di evaporazione, per innalzamento della temperatura, che si verifica un aumento della pressione e del volume dei sali. La conseguenza è la rottura dei pori e il deterioramento del materiale con l’espulsione dei sali sottoforma di cristalli verso gli
strati più esposti.
L’altezza di risalita capillare dipende dalla tipologia del materiale e dalla dimensione dei pori. Materiali con pori compresi tra 1 e 10 μm (laterizi e malte) subiscono maggiore altezza di risalita. Materiali con pori dimensionalmente inferiori presentano altezze di risalita considerevoli, ma con minore velocità. Se i pori hanno dimensioni superiori a 100 μm l’altezza di risalita è modesta perché la depressione interna ai pori è limitata.
Ci sono, poi, anche altri fenomeni intimamente connessi allo stato fisico dell’acqua come il passaggio da liquido a solido (gelo) che ne causano un aumento di volume, ma nella maggior parte dei casi i cristalli di sale rappresentano il fattore più importante di deterioramento, in particolare possiamo parlare di carbonato di calcio, ma anche di cloruri, solfati o nitrati.
Meno frequente è, invece, il nitrato di potassio, comunemente conosciuto come “salnitro”, più difficile a formarsi se non si manifestano condizioni particolari in un ambiente adatto, con una concentrazione sufficiente di ammoniaca ossidabile derivante da sostanze azotate in decomposizione.
Deumidificazione: intonaci o cemento di calce?
Partendo dal presupposto che non vi sia una soluzione unica e migliore in assoluto per affrontare il tema dell’umidità nelle murature, ma che sono note tecnologie in grado di tenere sotto controllo il problema e che se adeguatamente utilizzate anche di risolvere situazioni difficili.
Senza entrare troppo nel merito degli aspetti fisici delle funzionalità, ma per comprenderne meglio l’efficacia, possiamo evidenziare la differenza tra intonaci macroporosi di natura cementizia e calci idrauliche naturali, richiamando il concetto di porosità dei materiali, come caratteristica strutturale della massa che presenta piccoli spazi vuoti (pori) in grado di assorbire un fluido ed essere permeabili all’aria.
Entrambi i leganti, semplificando, provengono dalla cottura di rocce calcaree ad altro contenuto di carbonato di calcio, ma si differenziano per il basso grado di cottura delle calci (circa 900 gradi) rispetto a quello elevato dei cementi negli altoforni (tra 1250 e 1500 gradi) dove avviene la completa fusione con la trasformazione in clinker.
Questa differenza determina nei cementi maggiore coesione delle particelle con più resistenza meccanica, ma scarsa porosità, mentre al contrario nelle calci la minore tenacità corrisponde a una consistente porosità.
Secondo questa suddivisione, i cementi risulterebbero più idonei a impieghi strutturali (confezionamento di calcestruzzi e cementi armati) mentre le calci a complementi di finitura (intonaci e stabiliture). Una distinzione in parte condivisibile, ma non in senso assoluto.
Infatti, le malte idrauliche a base di calce per allettamento e intonaco sono state utilizzate dall’antichità fino a primi anni dell’Ottocento, quando la rivoluzione industriale ha permesso la costruzione di forni a elevato rendimento per ottenere la fusione del clinker e quindi la fabbricazione dei cementi, comunemente poi utilizzati nella maggior parte delle costruzioni fino ai giorni nostri.
Solo in epoche più recenti si è ripreso a utilizzare i materiali della tradizione riscoprendone le caratteristiche di base, sia per una maggiore compatibilità nei risanamenti murari, sia per i concetti di sostenibilità nella bioedilizia.
Se da un lato le calci idrauliche naturali presentano una maggiore porosità naturale e risultano più idonee per il confezionamento di intonaci deumidificanti (quindi da preferirsi rispetto ai cementi soprattutto negli interventi su vecchi edifici storici costituiti da murature della tradizione composte da mattoni e calce), dall’altro possiamo affermare che i leganti cementizi, se adeguatamente additivati con specifici aeranti, risultano altresì idonei per intonaci deumidificanti macroporosi (per interventi su strutture più recenti costituite da murature di blocchi e cemento).
Sostenibilità dei materiali
Oggi si tende a considerare con maggiore attenzione il tema della sostenibilità dei materiali secondo il principio del ciclo di vita dei materiali LCT (Life Cycle Thinking) considerando il percorso dall’estrazione della materia prima, passando per la produzione e l’impiego in cantiere, fino al reintegro nell’ambiente come rifiuto riciclabile, ovvero come materia seconda che ritorna prima LCA (Life Cycle Assessment).
Inoltre, assume particolare importanza individuare prodotti e materiali che possano assicurare negli interventi anche la qualità dell’aria interna IAQ (Indoor air quality) considerata di fondamentale importanza ai fini del benessere e del comfort abitativo.
Sotto questo profilo le calci risultano più sostenibili dei cementi per il minore consumo di energia ed emissione di CO2 nella fase di cottura (decarbonatazione) con un riassorbimento fino al 60% nella fase di impiego (carbonatazione) rispetto allo 0% dei cementi.
di Daniele Menzio (da YouTrade n.115)
Leggi anche:
Iglu’, il sistema Daliform Group contro l’umidità di risalita
Mural e BioMural, i premiscelati Locatelli per il risanamento e la deumidificazione